domenica 6 novembre 2016

Nicolò Govoni: UNO

Il libro di Nicolò è stato scritto per aiutare  i bambini dell’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home in India protagonisti del romanzo.

‘Uno’ è il sogno di quando ero bambino.
Il sogno di quando perdevo i denti da latte e gli adulti mi chiedevano: ‘Cosa vuoi fare da grande?’ E io, con loro sorpresa, anziché il cowboy, l’astronauta o il calciatore, rispondevo: ‘Lo scrittore!’
‘Uno’ è il sogno di quando ero ragazzino, e i genitori dei miei compagni di scuola non volevano che i figli giocassero con me, perché ero diverso.
‘Uno’ è il sogno di un adolescente che sfuggiva alla solitudine rifugiandosi nei libri. Scendeva le scale di cellulosa, si chiudeva la copertina alle spalle come fosse una porta blindata, e lì si chiedeva: ‘Ma chi sono io?’
Solo che poi il sogno si spegne. Come una lucciola. Se la stringi troppo nel palmo della mano la sua luce palpita, e infine svanisce. Muta. Sepolta.
‘Uno’, infine, smise di essere il mio sogno. E io smisi di scrivere.
Sono stato bocciato, due volte. Ho avuto problemi con la legge, e me la sono vista brutta. Ho litigato con ogni singolo membro della mia famiglia, e ci siamo detti il peggio, ancora e ancora. Ho avuto problemi con i miei coetanei. Ho iniziato a vedere uno psicologo. 
E mi sono innamorato. Un amore dolce, metallico, ossessivo. 
Ero spezzato, con quell’ingenuità di cui solo gli adolescenti sono capaci.
Avevo vent’anni, e non ne potevo più di me stesso.
Decisi di partire.
Per far fronte alla critica condizione economica famigliare vendetti tutto quello che avevo in camera: scarpe, camicie, videogiochi, libri e fumetti, maglioni, giocattoli, orologi.
Un giorno di marzo, circondato dagli amici più cari, comprai alla cieca e di nascosto un biglietto aereo per l’India. Poi decisi di unirmi a un progetto di volontariato internazionale che mi spedì in un piccolo orfanotrofio del Sud.
A vent’anni, insoddisfatto e asfissiato dalla realtà che mi circondava, spinto da questo impulso a scoprire il mondo con i miei occhi, partii. 
Quel giorno ricominciai a scrivere.
‘Uno’ non è la storia di un eroe. Non è la storia di un volontario. Non è nemmeno la storia di un bravo ragazzo. ‘Uno’ è la storia di un ragazzo impaurito e profondamente arrabbiato e perso da sempre, che nel cercare la sua strada in un mondo che lo credeva sbagliato, trova un mondo suo. Un mondo di piccoli orfani pronti a diventare fratelli, di un uomo destinato a diventare un secondo padre, e di una donna la cui semplice esistenza è una prova di libertà.
E così, ‘Uno’ mi ha salvato.
Ci sono voluti quasi tre anni. Tre anni di scrittura, riscrittura, rappresentanza editoriale, editing, grandi speranze e delusioni, per giungere alla pubblicazione, oggi.
E oggi è per voi, è per voi che scrivo. Per chiunque abbia orecchio per ascoltare e un po' di spazio dentro di sé, nel profondo, per accogliere una storia che non è solo mia, ma di tutti noi, uomini o donne, operai o ingegneri. Perché ‘Uno’ racconta di quel momento nella vita che noi tutti attraversiamo: il cambiamento. La crescita.
‘Uno’ è la storia della vita che cambia.
In conclusione, quella che avete davanti è la storia di un grande viaggio. Ma non solo un viaggio intrapreso, gridando, sul tetto di un treno diretto al Taj Mahal, bensì un viaggio a fondo nel petto dei personaggi, indagando le problematiche individuali e sociali dell’India moderna, dalla condizione femminile all'alcolismo, dall’industrializzazione ai matrimoni combinati.
‘Uno’ è un intreccio di amore, morte e fede, solitudine, inadeguatezza e felicità, abbandono, perdita, nostalgia e speranza, nella spasmodica ricerca che accomuna tanto un ragazzo di vent'anni quanto un uomo di cinquanta: la ricerca dell'identità.
Vivere questa storia ha cambiato la mia vita per sempre. Spero che leggerla possa rendervi felici.
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I proventi delle vendite del libro saranno totalmente devoluti in beneficenza ai protagonisti del romanzo, i bambini dell’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home






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