giovedì 15 gennaio 2015

Le stagioni del nostro lavoro, storia della Coldiretti cremonese

"Le Stagioni del nostro lavoro" è una interessante pubblicazione, realizzata nel 1996, che racconta le vicende dell'organizzazione Coldiretti di Cremona.
Il testo senza il nome degli autori, tra i quali però si individua la mano del prof. Giovanni Borsella, vuole fare un excursus storico sulla Coldiretti, una associazione decisiva per il raggiungimento della democrazia in Italia.
"Accingendoci a raccontare la vicenda - così iniziano i redattori - abbiamo riportato tra noi chi pareva morto, ma non lo è: sia per quel radioso mistero della Comunione dei Santi, ricordato da Stefano Parmigiani nella celebrazione del 50° di fondazione della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti di Cremona, sia perché la storia evoca e rende presente chi è vissuto in epoche passate anche se non ebbe in testa la corona, anche senza titoli nobiliari, senza avere avuto gli onori del mondo.
La vera storia è una faccenda tremendamente seria vissuta nel quotidiano.
Nella contemporaneità dei coltivatori diretti recuperata nel corso dei secoli e - in particolare - nei fondatori della Federazione di Cremona, abbiamo avuto conferma che molto del suo futuro era già contenuto nelle origini; che quindi neppure questa generazione di operatori può legittimamente vantarsi di essere l'ombelico del mondo; è come se tutto fosse la variante di un tema originario.
Il nostro racconto non è destinato a professionisti della cultura.
Perciò abbiamo scritto in modo leggero, sintetico, a volte sbrigativo, quando invece avremmo voluto indulgere a colloquiare più a lungo con i coldiretti romani o longobardi, con quelli del 1400...del 1800, con Zanotti e Vercesi, con Padovani, Cremaschini, Bonzanini e tanti altri amici di un tempo."


Celti e Romani nel Cremonese
Il testo si si sofferma sule varie vicende dell'agricoltura a partire dalla preistoria ai giorni nostri.
In questo post presento una pagina dedicata al periodo dei Celti e Romani nel Cremonese
I Celti, noti anche come Galli, arrivano nel IV secolo dai paesi d'Oltralpe e giungono fino a Roma.
Nel Piadenese sono state rinvenute numerose tombe celtiche ad inumazione con i corredi funebri (armi in quelle degli uomini; ornamenti in quelle femminili).
Alcune vennero rinvenute dietro la locale Latteria sociale frammiste a tombe romane.
Sempre nel museo di Piadena è possibile osservare il corredo di un guerriero (spada di ferro nel fodero, punta di lancia).
Grazie agli scritti di grandi storici romani conosciamo l'origine e lo sviluppo della romanizzazione dal 218 a.C alla fine della nostra "opulenta e grande" città di Cremona (Plutarco), «splendida» (Strabone).
Fu la prima città fondata a nord del Po per contrastare l’avanzata di Annibale.
Venne fondata contemporaneamente a Piacenza sulla destra del Fiume.
I romani dovettero combattere contro i Celti che conoscevano solo l’arte della guerra e l’agricoltura.
A Cremona e a Piacenza arrivarono rispettivamente 6.000 capi-famiglia (praticamente una legione) con i propri magistrati, gli agrimensori che misurarono poco più di 200 iugeri di terra per ogni famiglia (50-60 ha), il doppio rispetto ai «coloni» stanziati a Piacenza.
Con un’estrapolazione un po’ abusiva possiamo dire che i nostri «maiores» furono dei «coltivatori diretti» romani che parteciparono al rito religioso della fondazione di Cremona il 31 maggio 218 a.C.: uno dei magistrati, col capo coperto dalla toga guidava un aratro trainato da un toro (a sinistra) e da una bianca giovenca, tracciando il perimetro delle mura, l’area sacra cioè sotto la protezione degli dei.
Lo storico Livio ci dà nelle sue «Historiae» una sequenza filmica del rito.
Circa 30 anni dopo il Senato romano inviò altre 3.000 famiglie rispettivamente a Cremona e a Piacenza per la «scarsità dei Coloni».
Polibio vanta «l’abbondanza di grano», la «ricchissima produzione di panico e di miglio, l’abbondanza di ghiande... La grande quantità di suini macellati in Italia per l’alimentazione privata e per gli eserciti si ricava tutta dalla pianura padana.
I prodotti alimentari sono molto abbondanti ed a buon mercato».
Una importante rete stradale collegava il Cremonese a Brescia, Milano, Brescello, Rimini, Roma; la via Postumia da Genova ad Aquileia lambiva l’attuale piazza Lodi a Cremona.
In questa città di coldiretti fiorirono scuole, templi, palazzi, un ginnasio; entro le sue mura (Cremona aveva una superficie di 25 ha) mossero i primi passi personaggi che si distinsero nella Capitale come Virgilio, Quintiio Varo, Furio Bibaculo, Allèno Varo.
Poi venne la tragica fine della «ricca e prospera» Cremona descritta da Tacito. Era il 69 d.C..
I reperti archeologici confermano l’alto tenore di vita di questa città agricola e commerciale (Pontiroli, 1974): brandelli di strade selciate, splendidi pavimenti musivi, capitelli finemente lavorati, rocchi di colonne, architravi, costose epigrafi funerarie, bassorilievi, steli tombali, l’attrezzatura quotidiana (lucerne, ed embrici, olle cinerarie, anfiore, mattoni, tegole spesso marchiati) lasciano immaginare l’immane catastrofe del 69 d. C., quando il nostro territorio fu teatro delle prime due guerre civili di epoca imperiale; nella seconda guerra in ottobre dello stesso anno Cremona avrà ben 40.000 morti. Tale fu l’orrore di quel macello, che nessuno volle comprare sul mercato - scrive Tacito - i prigionieri provenienti da Cremona.

Nessun commento:

Posta un commento