sabato 10 gennaio 2015

Primo Mazzolari: La pieve sull'argine. L'uomo di nessuno

E' un romanzo che contribuisce a far conoscere meglio il prete e scrittore, di origine cremonese, che ha lasciato un segno nella storia recente della chiesa.
Scritto nel 1951, quando Mazzolari fu messo a "riposo forzato", dopo la sconfessione della rivista Adesso da parte della gerarchia ecclesiastica, si tratta di un racconto fortemente autobiografico.
Il protagonista è don Stefano Bolli, lo pseudonimo che lo stesso don Primo usava per firmare i suoi articoli su "Adesso", il quindicinale da lui fondato.
Sono riflessioni di vita nate con rapidità sorprendente, infatti il materiale non è stato attinto dai depositi della fantasia , ma dalla realtà della vita di Mazzolari.
Si tratta di una esperienza pastorale che si colloca nel periodo tra le due grandi guerre.
Si può definire, come scritto nella prefazione di Aldo Bergamaschi di:
"venti anni di storia, venti anni di resistenza, venti anni di tormento pastorale in un confronto costante con quelli di casa, con i lontani, con i pastori smarriti, con i poveri, con i ricchi, con la chiesa, cono lo stato, con il suo cuore di carne.

Le guerre
Emblematico è l'incontro del protagonista, don Stefano, con un suo professore di Seminario che sentendolo parlare in modo duro contro quanto hanno avuto responsabilità nella guerra esclama:
"Faccio fatica a riconoscerti, don Stefano: mi sembri un altro.
Sei partito interventista e torni comunista".
E don Stefano a lui:
"Se invece di dirci - e la voce gli tremava - che ci sono guerre giuste e ingiuste, i nostri teologi ci avessero insegnato che non si deve ammazzare per nessuna ragione, che la strage è inutile sempre, e ci avessero formati ad una opposizione cristiana, chiara, precisa e audace, invece di partire per il fronte, saremmo discesi sulle piazze.
E noi, in buona fede, abbiamo creduto che bisognava finirla una buona volta coi prepotenti d'ogni risma, e siamo partiti come per una crociata.
Perché a noi non importava né Trento né Trieste, né questa né quella revisione di confini; a noi importava fare il punto, chiudere una sedicente civiltà cristiana e preparare una svolta umana della storia.
Ora, i saggi sono i neutrali, gli oppositori, gli imboscati".
Riflessioni di grande intensità che ci presentano in maniera chiara il pensiero pacifista di Mazzolari.

Prendere in mano il cuore
Un'altro aspetto significativo dell'esperienza pastorale di Mazzolari è l'umanità.
“C’è tanto posto per il cuore in ogni nostra decisione!”, e bisogna permettere agli altri di pensarlo.
Il problema consiste, piuttosto, nel ripulire dalla vergogna ciò che è veramente umano: ed è umano che il cuore abbia bisogno di colmare la propria solitudine.
“Sento che ci vogliono braccia per tutto quello che è umano” dirà don Stefano al vescovo scongiurandolo a “slargare le braccia” e a prendere “in mano il cuore”. Nell’agosto del 1920 don Stefano aveva scelto il suo lavoro, “dopo la secolarizzazione di don Lorenzo”.
La figura di colui che abbandona il sacerdozio per formarsi una famiglia emerge in questo racconto e Primo Mazzolari, in nome della sua fede, non chiude alcun dialogo mai, né presume di essere al sicuro.
Don Lorenzo è diventato il dott. Lorenzo Ferretti.
Primo Mazzolani sa che ognuno di noi può diventare la cosa più strana.
Ognuno aveva camminato la propria strada: don Stefano aveva seguito Qualcuno, don Lorenzo la sua coscienza o un Cristo della coscienza; ma don Stefano non aveva più scritto a don Lorenzo, perché non si sentiva “sufficientemente fermo per un discorso in cui don Lorenzo avrebbe potuto avere ragione”, almeno sul piano dei fatti e delle persone.
Nella problematica del confronto don Primo Mazzolari non ha nulla di “sicuro” da opporre sul piano storico, perché la verità non ha un “luogo”, un “vestito”, uno splendore accecante nelle dimensioni “umane”.
Per questo il rispetto dell’altro è squisito:
“Quando due strade sono troppo diverse e l’uno non sa e l’altro non sa, oppure fanno entrambi fatica a camminarle, non conviene scambiarsi un’esperienza non condotta sino in fondo”.
Le “certezze” di don Primo Mazzolari non hanno mai una fissità deterministica; ma fanno capo a elementi personalistici.
L'unica sicurezza per il cristiano è mettersi in cammino e sempre in discussione
Nel romanzo il dott. Ferretti chiede il battesimo del figlio ed intuisce l’imbarazzo interiore di chi ha dei “canoni” cui badare:
“Capisco come la notizia che mi sono sposato non ti debba far piacere; ma non era bene che per rimanere fedele a una promessa, che non rispondeva più a una mia vocazione, mi dimenticassi di fare l’uomo.
Ho mantenuto l’orrore d’ogni dissipazione e d’ogni volgarità”.
Il lacerante problema di coloro che abbondano il sacerdozio è qui risolto nel più umano dei modi: nessuna disquisizione giuridica, ma un principio chiarissimo che Primo Mazzolari mette in bocca a don Lorenzo.
La tesi sostenuta, indirettamente, è questa: una legge ecclesiastica che inibisce la collocazione del cuore costringe un uomo a vivere una vita contro natura, perché calpesta l’umano in nome del divino.
Primo Mazzolari non si mette mai sul piedistallo della sicurezza, quando il “valore” Cristo non è in discussione.
La sua stessa vocazione è una decisione, che si rinnova momento per momento come la fede:
“Io ho deciso come ho deciso, e non sono pentito: ma scegliere non vuoi dire risolvere.
Non sono da capo, però sono sempre in cammino e così scoperto che se non avessi la grazia di guardare oltre gli uomini... “.

L'ascetismo fuori dall'umanità
Le riposanti sicurezze degli asceti da strapazzo - come scrive nella prefazione Aldo Bergamaschi - sono nel racconto di Mazzolari squalificate in nome di un dinamismo interiore che non si lega a nessun fariseismo.
"Nessun bene ha un argine sicuro" ripete don Primo a tutti gli estremamente soddisfatti delle loro scelte.
Perorando la causa del suo amico don Lorenzo, don Stefano, ovvero Mazzolari, trova il pensiero statico di una gerarchia monolitica legata al diritto canonico.
Il monsignore Vicario dinanzi alle parole di Don Stefano:
"forse basterebbe un po' di cuore come per il prodigo..."
Così risponde:
"Il prodigo, il prodigo?
Vi deve piacere assai questa parabola.
Non dimenticate che c'è anche la parabola dei rami secchi, che vengono tagliati e messi s bruciare.
C'è anche l'invitato senza veste nuziale e sapete la sua sorte... in tenebras exteriores, capite?
Hanno visto un po' di mondo, questi giovanotti e ne sono rimasti abbacinati.
E pretendono che la chiesa si pieghi ai loro miraggi.
E' una cosa solida, sapete, la chiesa: una pietra, et super hanc petram: e con le pietre non si fanno patti, giovanotto."
Ecco in questi brevi tratti l'immagine della staticità della chiesa che rimane nella sua impietrita certezza di verità.

La profezia di Mazzolari
Nelle pagine di presentazione Aldo Bergamaschi profondo conoscitore di Mazzolari così si esprime:
"Primo Mazzolari nulla ha scritto per diletto, neanche questo romanzo; ogni parola, se non è un colpo di frusta, è un urlo interiore, un indicatore stradale per viandanti smarriti o esitanti; un testo di pastorale per i nuovi preti.
Pagando un debito alla sua sofferenza "per la Chiesa", vuol mostrare come lo stile rivoluzionario di chi sta "dentro" sia diverso da chi va "fuori"; ma non vuole anche mostrare come chi "esce" non oltrepassa mai la soglia del suo cuore.
Lo "spazio" ecumenico, prima di estendersi "oltre" la Chiesa, deve passare "dentro la Chiesa."
La figura di Mazzolari , in questo testo, a mio avviso, emerge in tutta la sua grandezza.
La sua profezia è stato un dono prezioso alla chiesa e le sue parole,oggi più che mai, vanno riprese e attuate.

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