martedì 19 dicembre 2023

I vescovi Mosconi e Galli

 

Cari fratelli e sorelle, cari presbiteri, onorevoli autorità, è una gioia per me ritrovarmi tra voi per ricordare, in questo tempo di attesa del Natale, due Vescovi, due Pastori cresciuti in questa terra, in diverso modo legati alla mia vita di Vescovo: a 35 anni dalla sua morte Mons. Natale Mosconi (1904-1988) e a 15 anni dalla sua morte Mons. Maurizio Galli (1936-2008). Al Vescovo Galli, Pastore della Chiesa di Fidenza dal 1998 al 2007, mi lega la formazione in Seminario, che lo ha visto per me come per don Angelo, il vostro parroco, insegnante di Lettere, Animatore in Teologia e Rettore del Seminario di Cremona sia durante gli anni di Teologia come quando sono rientrato dagli studi come insegnante di Teologia in Seminario. In questi anni, ho apprezzato in don Maurizio la passione e l’originalità, unite alla libertà: tre caratteristiche importanti per un educatore. Tre caratteristiche passione, originalità e libertà - che forse sono proprie di questa terra, perché le ho incontrate anche nel magistero e nell’azione pastorale di Mons. Natale Mosconi, Vescovo di Comacchio dal 1951 al 1954 e poi Amministratore apostolico dal 1969 al 1976 e Arcivescovo di Ferrara dal 1954 al 1976, che ho conosciuto personalmente solo in alcune celebrazioni in Seminario e a S. Abbondio, e a cui sono succeduto sulla cattedra episcopale di Ferrara-Comacchio, le due Chiese dal 1986 unite e che sono state le Chiese del Vescovo Mosconi. I Vescovi Galli e Mosconi sono stati, poi, fino all’ultimo, straordinari testimoni di carità, in prima persona. Con lo sguardo al Vescovo Galli e al Vescovo Mosconi, ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio, in questo tempo di Avvento, in preparazione al Natale del Signore. La pagina del profeta Isaia parla del dono della consolazione. Dio consola il suo popolo, lo accompagna dopo l’esilio a Babilonia, prospettandogli un tempo nuovo. La consolazione di Dio è la cura del suo popolo come un Pastore. La consolazione è uno dei pilastri del discernimento spirituale, secondo S. Ignazio. La consolazione fa crescere la fede, la speranza e la carità e ogni gioia interiore, perché l’uomo fa ogni cosa pensando a Dio, al suo stile. I Vescovi Mosconi e Galli sono stati uomini della consolazione, perché hanno curato, in parole e opere il popolo loro affidato, con una preferenza per i poveri e i piccoli, “come un pastore fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”, camminando sulle strade della carità non solamente nelle grandi cose, bensì soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita (cfr. G.S.38). A Comacchio Mosconi ha creato un orfanatrofio, il Pio XII, e si è impegnato nell’assistenza alla Diocesi più povera d’Italia, come gli disse Pio XII: “Va in una terra di grande miseria come Lei non ha mai visto. Situazione cancrenosa. La gente di Comacchio non ha più speranza. Non crede nella solidarietà sociale”. Anche a Ferrara Mons. Mosconi s’impegnerà nella tutela dei sordomuti e degli anziani costruendo il Betlem, la casa di chi soffre. Il Vescovo Galli a Fidenza non fu da meno, continuando un amore ai piccoli e ai poveri che lo aveva distinto a Cremona, con uno stile personale di povertà che meravigliava tutti coloro che lo incontravano e un’apertura intelligente al mondo della cooperazione e dell’associazionismo. Entrambi non rimandando mai di un giorno la loro azione di carità, accompagnata sempre da una preghiera intensa, “da una “santità nella condotta e nelle preghiere” – come ci ha ricordato la lettera di Pietro – con quello spirito di attesa, che non è mai rassegnazione, ma impegno per la giustizia e la pace e il bene comune. I Vescovi Mosconi e Galli sono stati uomini di giustizia. Mai si sono arresi alle ingiustizie, ma hanno pagato con la vita le loro scelte. Il Vescovo Mosconi si impegnerà per la bonifica e la riforma agraria, invitando a visitare queste terre don Primo Mazzolari, che scriverà delle pagine durissime in ‘Ho visto il Delta’, contro le ingiustizie dei latifondisti e lo sfruttamento dei lavoratori, per una distribuzione equa della terra, memore anche dell’azione di un altro illustre soresinese, l’on. Guido Miglioli (1879-1954), il fondatore del sindacalismo bianco, uno dei primi popolari, che nella sua vita mise sempre al centro la giustizia sociale. Infatti, la riforma agraria nel Delta fu “un esperimento di civiltà contadina cristiana”, guidato da due cremonesi: il Vescovo Natale Mosconi e il prof. Bruno Rossi, Presidente dell’Ente Delta Padano. Ci sono pagine molto forti sulla giustizia scritte nel giornale ‘La Croce’, il settimanale diocesano di Comacchio da lui fondato. Per il suo impegno per la giustizia Mons. Mosconi subirà gli attacchi dei comunisti sia a Comacchio che a Ferrara, affrontandoli con lo stesso coraggio con cui aveva affrontato i fascisti, quando era direttore della ‘Vita Cattolica’ di Cremona, rischiando il carcere e il campo di concentramento.

La pagina evangelica di oggi segna l’inizio del Vangelo di Marco, forse il Vangelo più antico. L’inizio di questo Vangelo, di questa storia di Gesù, vede un protagonista, Giovanni il Battista, un uomo che sceglie la penitenza, la povertà, ma anche la giustizia. In Giovanni Battista leggiamo il ritratto dei Vescovi Mosconi e Galli, Pastori che hanno annunciato il Vangelo, hanno aiutato a vivere le virtù della fede, della speranza e della carità – le virtù a cui il Vescovo Mosconi dedicherà la sua prima lettera pastorale - , invitando a guardare sempre a Cristo, il Signore. Tutta la loro vita è stata, in parole e opere, un annuncio del Vangelo, della storia di Gesù. “Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva – scrive papa Francesco -, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza! Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di amore. Se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche. Il messaggio correrà il rischio di perdere la sua freschezza e di non avere più “il profumo del Vangelo” (E.G. 39) – conclude papa Francesco. Nelle parole e nella vita dei Vescovi Mosconi e Galli abbiamo sempre sentito questo “profumo del Vangelo”. Cari fratelli e sorelle, raccogliamo oggi questa passione, originalità e libertà dei Vescovi Mosconi e Galli, vostri concittadini, cristiani, cresciuti in questa Chiesa antica, in questa terra in cui l’amore ai poveri, ai piccoli, alla giustizia ha generato uomini e donne che hanno trasformato il mondo in una famiglia umana, in una fraternità. L’Avvento, tempo di attesa del Natale, giorno dopo giorno, ci renda capaci di essere testimoni della gioia del Vangelo, uomini e donne di giustizia e di pace.


Omelia a Soresina di mons. Giam Carlo Perego - 09/12/2023

giovedì 11 maggio 2023

Bella e... possibile

La partita educativa adulti-adolescenti", un'opera che affronta un tema di grande attualità e rilevanza: l'educazione dei giovani, cercando proprio di andare in profondità. In un mondo sempre più complesso e frenetico, l'educazione rappresenta una sfida sempre più grande per i genitori, gli insegnanti e gli adulti che si trovano ad avere a che fare con adolescenti. In questo contesto, l'ultimo libro di Marco D'Agostino, prete cremonese, si presenta come una guida preziosa per tutti coloro che cercano di comprendere il mondo dei giovani e di fornire loro gli strumenti necessari per affrontare le sfide della vita CONTINUA

lunedì 23 gennaio 2023

Castelverde: il ricordo di Mons. Pietro Gardinali


 

Le parole di mons. Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara


Cari fratelli e sorelle, cari confratelli, onorevoli autorità, è una gioia per me essere tra voi oggi per celebrare l’Eucaristia in memoria di Mons. Pietro Gardinali, vostro parroco per quasi 50 anni, a ottant’anni dalla sua morte, avvenuta durante la tragedia della Seconda guerra mondiale, nel 1943. Ricordare un parroco non è semplicemente un atto di riconoscenza, ma il ricordo del passato nella fede. Infatti, come ci ha richiamato papa Francesco in un passaggio dell’enciclica Lumen fidei, “Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa” (L.F. 38). E’ un ricordo e una memoria viva. Ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio, Parola di vita, Parola di speranza. La pagina del libro di Isaia parla del popolo d’Israele come di un ‘servo’, come anche il profeta è un ‘servo’. E il ‘servo di Javhè’ è colui che sarà “luce delle nazioni”, per portare la salvezza del Signore “fino agli estremi confini della terra”. Leggiamo nella figura del Servo la profezia del Messia, destinato non solo al popolo di Israele ma a “tutti”, a “tutte le nazioni”: riconosciamo la figura di Gesù Cristo, che Giovanni il Battista, nella pagina evangelica che abbiamo ascoltato, per primo riconosce come “Agnello di Dio”, “Figlio di Dio”. Ma nella figura del Servo leggiamo anche una ministerialità che nella Chiesa è esercitata in forme diverse: dai ministeri istituiti – lettorato, accolitato, catechista- aperti a uomini e donne; dai ministeri ordinati del diaconato, presbiterato e episcopato. Una ministerialità, come ci ha ricordato l’inizio della lettera ai Corinzi dell’apostolo di Paolo, che sente la responsabilità dell’annuncio del Vangelo, seminando grazia e pace. Una ministerialità che per il presbitero ha al centro la carità pastorale, cioè la capacità di incontrare il mondo, nelle sue gioie e speranze, tristezze e angosce, soprattutto dei poveri e dei malati – come recitano le prime parole della Costituzione conciliare Gaudium et spes – per portare a tutti la gioia del Vangelo, con una preferenza per i più poveri e i malati. La vita presbiterale di Mons. Gardinali, in particolare i 48 anni di parroco a Castelverde, è stata guidata da questa carità pastorale, inserendosi in un movimento caritativo e presbiterale che ha caratterizzato la Chiesa tra Ottocento e i primi decenni del Novecento, sostenuto dalla Dottrina sociale della Chiesa, con uno sguardo alle vecchie e nuove povertà e la moltiplicazione di strutture di carità. Il pensiero e l’azione sociale del vescovo di Cremona Geremia Bonomelli avevano segnalato anche la grave situazione di povertà e sfruttamento nelle campagne, l’insalubrità delle case, con la conseguente diffusione della pellagra, della tubercolosi, con una situazione di malati cronici che interessava anche il Comune di Castelverde e Tredossi, come anche i moniti di un parroco predecessore, don Agostino Mondini. Don Mondini inveiva contro i padroni con parole durissime :“Guai a Voi, o padroni, che non rispettate nel lavoratore dei campi e delle officine la dignità di uomo e di fratello, che negate un compenso adeguato alle dure fatiche, che lo insultate talvolta e mandate al lavoro le donne già prossime alla maternità”– come ha ricordato il compianto Valerio Farina in un saggio ‘La carità di Castelverde’ . Sull’esempio del Vescovo e del parroco predecessore, Mons. Gardinali, avendo constatato da giovane sacerdote, come vicario a Cignone nel 1891 l’importanza di una casa di riposo – fondata dal parroco di Stagno don Mori nel 1888 - arrivato a Castelverde come parroco nel 1902 apre l’Opera pia, poi intitolata al Redentore, un ospedale per i malati cronici, ma anche una casa per i disabili, per i quali organizzò anche un’azienda agricola per avviarli al lavoro. L’apertura dell’Ospedale sarà anticipata dalla nascita della S. Vincenzo, che educherà i laici alla carità e seguita dalla costruzione dell’asilo per l’infanzia, realizzato “in memoria dei morti della Guerra del 1915-1918”, a sue spese, a sostegno delle donne lavoratrici e delle famiglie di Castelverde. Per la cura di queste opere, che formano una vera e propria ‘Cittadella della carità’ Mons. Gardinali chiamerà per i primi cinque anni le suore Canossiane e poi le Suore Adoratrici: una presenza di carità fondata sull’Eucaristia. Ed era l’Eucaristia anche il centro della vita e della spiritualità di Mons. Gardinali: come memoria di Cristo, morto e risorto da testimoniare, come dono che invita alla condivisione, come segno di speranza che aiuta a guardare oltre. La forma eucaristica della sua vita ispirava l’azione pastorale di Mons. Gardinali: per evangelizzare e per promuovere ogni persona della comunità di Castelverde a Lui affidata. Un’azione pastorale che era partita dall’attenzione ai giovani, creando il circolo giovanile, primo passo per la costituzione dei diversi rami dell’Azione Cattolica, curando la predicazione e la formazione spirituale delle famiglie, educando i giovani a coniugare impegno religioso e impegno sociale e politico. Il 12 gennaio 1943, Mons. Gardinali vi lasciava, ma restavano e restano le sue opere segno di fede, speranza e carità, ma soprattutto il ricordo di un parroco pastore e guida, che si rinnova anche oggi. Cari fratelli e sorelle, cari confratelli, Papa Francesco nella Lumen fidei ci ha ricordato che “l’Eucaristia è atto di memoria, attualizzazione del mistero, in cui il passato, come evento di morte e risurrezione, mostra la sua capacità di aprire al futuro, di anticipare la pienezza finale” (L.F. 44). Anche la Liturgia eucaristica che oggi celebriamo lo ricorda, unendo alla memoria di Cristo, della sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione, la memoria dei suoi testimoni fedeli, come lo è stato il vostro parroco Mons. Pietro Gardinali, a ragione definito “l’uomo della carità”. Infatti, il ricordo di quanti, come Mons. Gardinali, in mezzo a un contesto non facile, sono stati capaci di recuperare la dignità delle persone, dei poveri e degli ultimi in particolare, e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità - come ci ha ricordato Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti – fa bene alla comunità: “Fa molto bene fare memoria del bene” (F.T. 249).
 
Casteleverde 15/01/2023

domenica 11 settembre 2022

Giovan Battista Trotti detto il Malosso: un pittore cremonese

Un artista del tardo Rinascimento da conoscere maggiormente è Giovan Battista Trotti detto il Malosso (Cremona, 1555 - Parma 1619). Sembra sia stato Agostino Carracci, pittore e incisore, (Bologna 1557 - Parma 1602) con cui Trotti ha lavorato insieme nel tribunale di Parma, a dargli il soprannome di "il Malosso" (il cattivo osso).

Erede di Bernardino Campi
“Si è formato presso la bottega di Bernardino Campi (Cremona 1522 - Reggio Emilia 1591), di cui non fu solo l’allievo prediletto, ma anche erede, poiché ne sposò la nipote Laura Locatelli”: cosi ne parla dottoressa Raffaella Poltronieri, dottore di ricerca presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e autrice del volume ‘Il Malosso e la sua bottega’, Scalpendi Editore, Milano 2019, in una intervista a Il nuovo Torrazzo, settimanale cattolico di Crema.
“Nel 1575 Malosso - aggiunge la Poltronieri - ereditò lo studio del maestro, che, vista la mancanza di figli, nel 1577 gli donò anche la metà dei suoi averi: sapendo che al momento del lascito dello studio Giovan Battista aveva vent’anni e che la formazione era di almeno tre, possiamo ipotizzare che il suo arrivo in bottega sia avvenuto intorno al 1571. Sicuramente la sua istruzione si basò innanzitutto sulla pratica del disegno: pur sostenendo la necessità di ritrarre al naturale, Bernardino utilizzava anche modellini di gesso o cera; ricordiamo, infatti, che tra i beni ereditati dal Malosso vengono citati ben 1.320 disegni a stampa, la cui funzione era probabilmente legata alla pratica della copiatura da parte degli allievi, soprattutto per la conoscenza dei modelli classici”.

La sua bottega
Una volta ereditato lo studio, Malosso entrò a far parte dell’Università dei Pittori Cremonesi. “Dai documenti di questa università - precisa la studiosa dell’arte - si capisce che l’artista iniziò a formare una bottega con aiutanti intorno alla metà degli anni ottanta del 500’. Da qui cominciò a realizzare una quantità di opere notevole, diventando il punto di riferimento per la produzione di pale d’altare a Cremona e in città limitrofe, ma continuando a lavorare anche a soggetti profani per alcune famiglie nobili. In gioventù aveva ad esempio lavorato per i Gambara a Verolanuova e a Vescovato. Il periodo più prolifico però sono sicuramente gli anni novanta del Cinquecento, quando riuscì a occupare la sua équipe in più luoghi contemporaneamente: si tratta cicli di affreschi all’interno di chiese piuttosto lontane tra loro, ovvero a Salò, Piacenza, Soresina e Cremona, dimostrando di avere un numero di allievi elevatissimo e completamente formato per dipingere uniformandosi allo stile del maestro”.

Pittore di corte dei Farnese
La svolta nella sua carriera avvenne però nel 1604, quando diventò pittore di corte dei Farnese a Parma, lasciando comunque aperto, a quanto pare, anche il suo studio cremonese. “Nel 1609 Ranuccio I - puntualizza Raffaella Poltronieri - lo insignì del titolo di Cavaliere, diventò precettore di disegno di Ottavio Farnese e cominciò a dedicarsi anche a discipline artistiche diverse dalla pittura, progettando, ad esempio, apparati effimeri, paramenti sacri, giardini, fontane e dirigendo una squadra di artisti per la decorazione del Teatro Farnese, dimostrando così si essere un artista eclettico e sempre pronto a mettersi in gioco”.

La morte a Parma
Nel luglio del 1618 alcuni problemi di salute costrinsero Trotti a tornare a Cremona, ma il periodo di riposo fu breve a causa delle sollecitazioni del duca di Parma a riprendere i lavori, come progettista di apparati effimeri, per l’arrivo a Piacenza del granduca di Toscana Cosimo II.
Trotti, nella città farnese, dispose le sue ultime volontà in un codicillo datato 9 giugno 1619 e solo due giorni dopo, l’11 giugno, morì a Parma, dove venne sepolto nell’oratorio della SS. Trinità.
Volta della navata centrale della chiesa di San Pietro al Po attribuita alla bottega del Malosso



sabato 10 settembre 2022

La parrocchiale di San Pietro


 



Ho trovato un'analisi interessante del 1858, a firma di Cesare Cantù, sulla parrocchia di San Pietro al Po in
Cremona. Cesare Ambrogio Cantù (Brivio 1801 - Milano 1895) è stato uno storico, letterato, politico, archivista e scrittore. Nel suo libro "Grande Illustrazione del Lombardo-veneto " Volume Terzo, si trova una descrizione dei monumenti e delle opere d'arte della parrocchia di San Pietro.

"La chiesa fu edificata nel secolo XI, riordinata nel XV, occupata dai Benedettini dal 1068 al 1439, che vi fondarono l'ampio monastero, nel quale ebbero poi stanza i canonici Lateranensi di sant' Agata, poi i Carmelitani di san Bartolomeo, indi i Cherici regolari di San Paolo, i padri della Missione; soppresso ogni ordine di frati, divenne parrocchia dei preti secolari nel 1808. Il disegno della basilica a tre navi, del più splendido ordine corintio, vuolsi di Andrea Palladio, ma pare di Colombino Ripari canonico cremonese del 1550. Il quadro del secondo altare a man destra, la Deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro, è di Lattanzio Gambara, bresciano, scolare di Giulio Campi.
La Beata Vergine del terzo col bambino, i santi Cosma e Damiano e un devoto genuflesso, trasportata or ora della chiesa sussidiaria di Sant'Angelo, è tavola unica di Gian Francesco Bembo del 1524, artista scarso di opere, ma grandissimo di merito e uno de' primi ristoratori della pittura lombarda. La Natività del quarto altare è del Malosso del 1583, prima eravi un Martirio di Giacomo Palma del 1593, ora nel refettorio dai restauri impudenti.
 [Santa Maria Egiziaca - Malosso 1602]

La conversione di santa Maria Egiziaca in fondo alla navata destra è forse la miglior tela del Malosso del 1602, a cui appartiene altresì il paradiso frescato sulla volta.
Il famoso presepio del secondo altare della navata opposta è di Bernardino Gatti del 1549 , trasportato a Parigi e restituito. Dei quadri degli altari che seguono, la Sacra Famiglia è di Antonio Campi, di Giulio gli affreschi mirabili della Circoncisione; il Martirio di Santa Cecilia di Gervasio Gatti del 1601 col suo ritratto in figura di soldato.
Da questa chiesa si trasportò in Brera a Milano la copia della santa Cecilia di Raffaelo, benissimo condotta da Antonio Campi, ma di lui vi rimasero all' altar maggiore la Beata Vergine col bambino e molti santi, tela dipinta nel 1575, e il bellissimo affresco dell' Elia sul carro di fuoco del 1580 sulla volta della sagrestia. Il Giudizio universale della cupola, le Sibille e gli altri affreschi del presbitero appartengono a Gregorio Lamberti fiorentino del 1607, mentre gli affreschi degli archi e de' contrarchi sono dello stesso Antonio Campi del 1579.
I piccoli soggetti a fresco delta volta maggiore del tempio, rappresentano le Virtù e i loro simboli sono del Malosso; quelli delle volte laterali dei Campi, del Masserotti, del Natali, del Lodi e d'altri stimati maestri d'architettura, d'ornato e di figure. Ai lati della porta grande, l'incontro di San Gioachino e sant'Anna in legno è l'unico lavoro dello Scutellari cremonese del 1540, la Deposizione della croce e la Pietà del Riccò del 1522.
[Moltiplicazione dei pani e dei pesci di B. Gatti (1522)]
Nel antico refettorio sta a fresco, il capolavoro di Bernardino Gatti del 1522, ma ormai roso dagli anni e maltrattato dagli uomini, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, con trecento figure d'ogni sesso ed età, maggiori del vero e in diverse foggie d'abiti, di nudi, di volti, di attitudini e di mosse, di gruppi e rilievi; vero miracolo dell'arte. In esso vuolsi sieno effigiati Lutero, Calvino, Beza e l'autore.
Questa parrocchia ha due chiese sussidiarie, Santa
[La chiesa di Santa Lucia]

Lucia che dicesi eretta da Teodolinda, fu prima parrocchia, poi concessa nel 1583 ai Somaschi, che v'ebbero convento; ha un quadro del Malosso del 1504, la Beata Vergine col bambino e altre figure uno del Masserotti e un altro d'ignoto. Le belle statue in legno dell'Angelo custode e del Crocifisso sono forse del Bertesi. Testè scalcinatosi il muro dell'andito dalla porta minore comparvero bellissime teste di antica maniera e di audace colorito, certo del 1400 e da meritare la diligenza di scoprire il tesoro nascosto e conservarlo.
La chiesa di Sant'Angelo, prima de' Santi Cosma e Damiano, poi dei Santi Vitale e Geroldo, credesi edificata anch'essa nel secolo VII, ricostruita nel secolo XV; occupata dai Benedettini, poi eretta in priorato, indi ceduta ai Francescani, che vi fabbricarono il cenobio, divenuti ora il Ritiro delle zitelle pericolanti.
[Chiesa di Sant'Angelo, poi San Vitale, ora Centro Culturale]

Fu spogliata di quadri di prim'ordine, il detto del Bembo, uno di Bernardino Campi una copia del riposo in Egitto del Correggio fatto da Bernardino Gatti. Dei pochi che rimangono sugli altari uno è del Malosso del 1585, l'altro è pur di lui, ma su disegno del suo maestro Bernardino Campi. Sulla volta del coro eravi, lavorato a fresco, come in duomo, dal Boccaccino, un grandioso Redentore irradiato d'oro coi quattro animali simbolici; ma i barbari nostri e de' nostri tempi l'hanno coperto di bianco e forse di calce. Dicesi ciò fosse imposto da un benefattore per dar lume alla chiesa: ma se fu pazzo o ignorante non dovevano esser pur tali quelli che accettarono l'eredità a tal prezzo? nè essi potranno mai pretendere il titolo di savj e d'illuminati, finchè non rintegrino, o lo tentino almeno, quel capo d'arte, che non può che essere che sublime. Sulla parete della facciata avvi una buona scultura in marmo del beato Antonio da Cremona, morto a Vercelli nel 1475.(Quel che rimane di questo edificio sacro, "Ex Chiesa di SanVitale", è ora un centro culturale situato in Piazza Sant'Angelo 1) In questa parrocchia eravi il Monastero della Colomba (ora cangiato in case private), costrutto da Bianca maria Visconti, ornato di affreschi d'uno dei Bembo. In una stanza terrena vedevasi testè ancor dipinto il muro e la volta con un Apollo in mezzo alle muse".