lunedì 26 novembre 2018

Cremona by night







martedì 20 novembre 2018

Palazzo Malvicini Fontana a Piacenza

Edificio del XII secolo. La facciata è grandiosa a tre ordini di finestre, il cortile ha un porticato con colonne binate.  Palazzo da scoprire


sabato 3 novembre 2018

San Francesco Spinelli

“Padre dei poveri e degli infelici più infelici”, padre Spinelli era animato dall'ansia di portare la Chiesa più vicina all'uomo" e di costruire una società più umana e cristiana. Ripercorrere il suo itinerario terreno significa addentrarsi nel clima, nella cultura e nel fervore cristiano di un'epoca segnata da una singolare presenza dei cattolici in ambito sociale.
Francesco Spinelli nasce a Milano, il 14 aprile 1853, da genitori di origine bergamasca. Seguendo i genitori, che erano al servizio dei marchesi Stanga, abitò anche per qualche tempo in Cremona, dove frequentò le elementari e ricevette la Cresima nella parrocchia di Sant’Agata. Ospite di uno zio sacerdote, frequentò il liceo a Bergamo e qui, entrato in Seminario, venne ordinato sacerdote nel 1875.
Nell’autunno è a Roma per il Giubileo, nella basilica di Santa Maria Maggiore si prostra ai piedi della culla di Gesù Bambino: “Mi sono inginocchiato, piansi, pregai, e sognai uno stuolo di vergini che avrebbero adorato Gesù in Sacramento”. Sogno, visione, intuizione? Per don Francesco l’incarnazione storica di Gesù continua con l’incarnazione quotidiana del Pane Eucaristico, quale presenza d’amore per tutti, da adorare e servire nei poveri.
Il 15 dicembre 1882, fonda, insieme a Caterina Comensoli, l’Istituto delle Suore Adoratrici, a Bergamo. Preso infatti dalla passione per Dio e per gli uomini, egli dà vita ad un Istituto, il cui scopo è “attingere l’amore più ardente dall’Eucaristia celebrata e adorata per riversarlo sui più poveri fra i fratelli”. Egli per primo spende la sua vita in ginocchio davanti all’Eucaristia e davanti ai fratelli, in cui vede la presenza di Gesù da amare e da servire con amore e compassione incondizionata.
Il 4 marzo 1889, causa un dissesto finanziario, in cui involontariamente è coinvolto, viene licenziato dalla diocesi di Bergamo e accolto nel clero di Cremona dal grande cuore di mons. Geremia Bonomelli. A Rivolta d’Adda continua l’Istituto delle Suore Adoratrici.
Lungo la sua vita, costellata di grandi prove, vive e insegna l’arte del perdono più smisurato, perché di fronte al nemico si può applicare solo “la vendetta di un infinito amore”.
Muore il 6 febbraio 1913 a Rivolta d’Adda (CR). È beatificato da san Giovanni Paolo II il 21 giugno 1992 presso il Santuario di Caravaggio, proclamato santo il 14 ottobre 2018 in Piazza S. Pietro da Papa Francesco.

lunedì 30 luglio 2018

La Società dei Militi a Cremona

Si trattava di una società, risalente al XIII secolo, alla quale appartenevano i più ricchi ed eminenti abitanti della città e del suo territorio.
Da un antico scritto - a cura di Astegiano, Codex Diplomaticus Cremonae cit., doc. 111, pp. 215-217 - si legge che
"A Cremona, con la grande precocità che la contraddistingue, prima del 1210 si contrappongono già due forze politiche cittadine organizzate in società, come avverrà più tardi nelle altre città: i militi e il popolo.
Le lotte intestine provocano l`intervento del vescovo, che nel fare opera di pacificazione pronuncia un arbitrato; al di là delle disposizioni specifiche, pur interessanti per comprendere la dinamica politica cittadina, ciò che si vuole sottolineare è il riferimento alle famiglie popolari computate ormai fra i grandi consorzi nobiliari: ciò sta a significare che l`incremento raggiunto da famiglie originariamente non aristocratiche le aveva portate a imitare quel ceto maggiorente anche nella composizione familiare, al punto di farle considerare dall`opinione comune come famiglie ormai quasi del tutto «nobili».
In seguito venne costruito uno degli edifici più ineteressanti della Piazza del Comune, la Loggia dei Militi, luogo rappresentativo dove la società si riuniva per decidere le azioni da intraprendere.
Oggi la Loggia dei Militi è un monumento architettonico di notevole prestigio che si affaccia sulla piazza, cuore pulsante del centro storico cittadino. (cremonacitta.it)

mercoledì 4 luglio 2018

Mathijs Adriaan Heyligers, liutaio dall'Olanda a Cremona

Olandese di nascita, dove studia e si diploma al Liceo Scientifico, Mathijs Adriaan Heyligers nel 1975 decide di dare risposta agli impulsi della sua passione per la musica e si trasferisce in Italia, a Cremona.
Qui, sotto la guida del Maestro Giorgio Cè, inizia gli studi presso la Scuola Internazionale di Liuteria che proseguiranno, dal 1977, nella Scuola di Liuteria di Parma con i Maestri Renato Scrollavezza e Pietro Sgarabotto, dove si diploma nel 1980.
In quegli anni conoscerà Satu Jalas, violinista finlandese, nipote di Jean Sibelius, e sotto la sua guida seguirà il corso di violino al Conservatorio "A. Boito" di Parma.
La grande volontà di vivere pienamente l'arte liutaria lo porterà a perfezionarsi anche nel restauro, con i maestri Gimpel Solomon e Bruce Carlson.
L'acquisita conoscenza tecnica e pratica degli strumenti ad arco gli permetterà di interpretare al meglio le esigenze dei suoi clienti.
Gli strumenti firmati Mathijs Adriaan Heyligers vengono realizzati su specifica ordinazione, e sono prodotti sullo stile dei più importanti Maestri liutai del passato, con l'utilizzo delle antiche tecniche della tradizionale Liuteria Classica Cremonese.
Suonati dai più importanti concertisti in ogni parte del mondo, come Itzak Perlman, Ruggiero Ricci e Shlomo Mintz che hanno riconosciuto la qualità dei suoi strumenti, gli stessi vengono regolarmente utilizzati per la registrazione di prestigiose incisioni discografiche.
Per la sua attività di restauro degli strumenti antichi sono di fondamentale importanza i continui contatti con colleghi restauratori in tutto il mondo.
Heyligers partecipa ogni anno a numerosi congressi in varie parti del mondo, approfondendo i molti aspetti che riguardano la costruzione ed il restauro degli strumenti ad arco, ed ampliando la cerchia di conoscenze e colleghi che risultano fondamentali, in particolar modo, per l'attività di restauro degli strumenti antichi.
Nelle corde di Mathijs Adriaan Heyligers c'è anche la trasformazione ed il restauro di strumenti barocchi originali e sono numerosi gli strumenti prestigiosi che passano tra le sue mani.
Ha personalmente curato la prima e spettacolare trasferta del violino Guarneri del Gesù "Il Cannone" (ex-Paganini da Genova) e della viola Stradivari "Paganini" (da Tokyo) a Maastricht, per concerti e registrazioni con Shlomo Mintz.
Gli strumenti di Mathijs Adriaan Heyligers sono stati esposti in tutto il mondo. Riconoscimenti prestigiosi li ha conseguiti nei concorsi internazionali come Salt Lake City (USA, 1982), Kassel (Germania, 1983) e Cremona.
La preparazione e la profonda conoscenza di quest'arte, unita ad una naturale capacità comunicativa, lo ha visto al centro di progetti musicali, pubblicazioni, programmi radiofonici e televisivi.
Mathijs Adriaan Heyligers è membro fondatore del Consorzio Liutai "A. Stradivari" di Cremona, di cui è stato Vice Presidente ed è socio fondatore dell'Associazione "Liuteria Parmense".
Accoglie visite presso il suo laboratorio, solo su prenotazione, che si colloca nel centro della città, alle spalle del Museo del Violino. (da cremonacitta.it)

PALAZZO CITTANOVA a Cremona

Il palazzo Cittanova di Cremona venne costruito nel 1265 all'esterno dell`antica città romana.
Costituì, insieme al palazzo Trecchi ed alla chiesa di Sant'Agata, il nuovo nucleo dell'espansione medioevale della città, per volere della fazione dei "popolari" .
Questa si contrapponeva infatti a quella dei "notabili" che aveva il suo centro nella più antica piazza del Comune, con il palazzo comunale, che venne imitato per la realizzazione del nuovo edificio.
La facciata sulla piazza presenta una facciata a due piani: quello inferiore costituito da un porticato su pilastri con arcate gotiche su pilastri, coperto da un tetto a cassettonato ligneo e quello superiore, in mattoni e coronato di merli a freccia, con quattro trifore, che illuminano un unico grande ambiente.
Per tutto il XII secolo vi si riuniva il "Consiglio della Città Nova".
Nel 1412 era divenuto sede della corporazione ("università") dei mercanti di fustagno.
Nel 1756 divenne una caserma e nel 1805 sede dell'archivio notarile, con modifiche ed adattamenti che accompagnarono i mutamenti di funzione.

Dopo un restauro della fine del XX secolo, attualmente è utilizzato per congressi e manifestazioni che si svolgono nell'ampio salone posto al primo piano al quale fa da appoggio una saletta più piccola a pianterreno. (da creemonacitta.it)

lunedì 18 giugno 2018

San Giovanni in Canale a Piacenza

La basilica di San Giovanni in Canale è un tempio fondato nel 1220 dai Domenicani. Intitolata inizialmente a S. Giovanni verrà poi detta in Canale a ricordo dei canali che un tempo alimentavano gli orti e azionavano i numerosi mulini della zona. Intorno al 1522 la chiesa fu sottoposta a intense modifiche, forse attuate dall'architetto Tramello che comportarono l'arretramento della parte absidale, la copertura a volte del soffitto (in origine a capriate) e aggiunte decorative sulla facciata. Durante il XVII e il XVIII secoli si abbellirono le pareti interne con stucchi e nel 1730 Giuliano Mozzani realizzò un nuovo altare maggiore. Agli inizi del XIX secolo fu poi eretta in fondo alla navata sinistra, la vasta cappella del Rosario, su disegno dell'architetto Tombae con la consulenza di Antonio Canova. Espulsi i domenicani il complesso subì nel corso dell'Ottocento, alterne fortune che influirono negativamente sulle sue strutture. Nella prima metà del nostro secolo comunque, operazioni di restauro provvidero definitivamente al recupero delle originarie sagome gotiche e rinascimentali.
In questa occasione si intervenne anche sulla facciata, inserendovi un rosone a sostituzione di una precedente apertura trifora, decorando a mosaico le tre monofore poste nella parte terminale della facciata a capanna, e chiudendo i due accessi posti ai fianchi del portale mediano. Uscendo dalla cappella, e varcando una porta collocata in fondo alla navata destra, si attraversa la sagrestia raggiungendo il chiostro dell'antico convento dei domenicani, oggi solo parzialmente sfuggito alla rovina del tempo. (da marcostucchi.com)

mercoledì 16 maggio 2018

Palazzo Comunale Castelverde

Il Palazzo sede del Comune si trova nel centro del capoluogo. Si tratta di un edificio di impostazione rinascimentale. Il suo aspetto ha subito, nel corso del tempo, alterazioni e mutamenti. Particolarmente rifatto è l'interno che è stato adattato alle necessità dell'ufficio comunale: rimangono tuttavia della vecchia struttura stucchi, cornici e fregi pregevoli oltre a tracce più essenziali della linea architettonica.
II palazzo fu residenza estiva dei conti Visconti di Marcignana, i quali, fra le altre proprietà, avevano in Cremona la casa signorile dell'ex Collegio Canossiane.
Nel 1711 essi acquistarono a Castagnino il podere Colenghi.
Non si sa se il palazzo fosse anteriore alla loro venuta o se essi stessi lo fecero edificare.
La dimora era circondata da un Grandioso parco: questo particolare induce a farne risalire la costruzione durante il secolo XVIII.


domenica 13 maggio 2018

Duomo di Piacenza: Polittico di legno policromo

L'interno della cattedrale di Piacenza, edificata a partire dal 1122, è magnifico e grandioso. E' diviso in tre navate su poderosi pilastri, con sovrastanti loggette dei matronei.
Dietro l'altare maggiore è situato un imponente polittico di legno policromo.
Si tratta di una splendida opera del 1447 realizzata dall'intagliatore Antonio Burlengo e dal doratore Bartolomeo da Groppallo.

SANTO SEPOLCRO a Piacenza: una Basilica da scoprire


Un monumento di notevole architettura, da visitare a Piacenza, è la Basilica di San Sepolcro. L'edificio sacro si trova in Via Campagna a pochissima distanza dall'altra, più famosa, Basilica di Santa Maria in Campagna. Entrambe le chiese sono state progettate dall'architetto piacentino Alessio Tramello.
La Basilica del Santo Sepolcro fu eretta nel 1055, come abbazia benedettina con annesso convento, per ospitare i numerosi pellegrini che percorrevano la Via Francigena, la grande arteria romanica che portava da Canterbury a Roma, passando anche per Piacenza. Abbandonata dai Benedettini, la Basilica fu acquisita dai monaci Olivetani nel 1484, e ricostruita tra il 1488 e il 1520, su disegno del Tramello, seguace del Bramante. Il complesso venne chiuso dai decreti napoleonici del primo Ottocento e passò nel 1817 agli Ospedali Civili. Il tempio fu riaperto al culto del 1903.
La facciata, imponente e severa, è spartita da sobri contrafforti e mostra una forte verticalità, accentuata dal timpano centrale sopraelevato. Il portale seicentesco conserva – al centro del frontone spezzato – l’emblema degli Olivetani.
Attiguo alla chiesa è l’ex monastero degli Olivetani, ora inglobato nell’ospedale civile. Il fabbricato racchiude un piccolo chiostro, costruito alla fine del Quattrocento, con portico terreno e decorazioni in cotto, e un cortile più ampio caratterizzato da colonne in granito e aperture a bifora. Sembra che colonne e capitelli siano opera dello scalpellino milanese, Donato Mandelli (morto nel 1510), ricordato come collaboratore del Tramello.

sabato 28 aprile 2018

SALITA AL PORDENONE - Basilica di Santa Maia di Campagna a Piacenza

Gli affreschi pordenoniani della cupola della Basilica di Santa Maria di Campagna (Piacenza) visti da vicino, come mai prima. Un evento (dal 4 marzo al 10 giugno 2018) che riscopre il “Camminamento degli artisti”, percorso che - come spesso amava ricordare il compianto Ferdinando Arisi - veniva utilizzato dagli studenti dell’Istituto d’arte piacentino Gazzola per vedere gli affreschi del Pordenone non dal basso verso l’alto e studiare in quel modo anche la prospettiva (alcuni vi scrissero anche il loro cognome, con graffiti tuttora visibili). Nella cupola è percorribile una galleria circolare aperta sull’esterno della città, il cui panorama è così leggibile a 360 gradi.
La Salita - restaurata dalla Banca di Piacenza secondo le indicazioni della Sovrintendenza - è stata dotata di un assito-piazzola (il camminamento è unico e va quindi utilizzato sia per la salita che per la discesa) dove i visitatori potranno sostare ricevendo informazioni, oltre che da appositi cartelloni informativi, dalle guide reclutate tra studenti e neo laureati. Notizie sul Pordenone ma anche sulla storia della Basilica. (Valeria Poli)

Ecco alcune immagini che ci regalano meravigliose suggestioni




mercoledì 21 febbraio 2018

La vita monastica a Cremona XI secolo - François Menant


In diocesi di Cremona si contano, nel corso della sua storia, più di 60 monasteri e priorati, in gran parte governati da una delle forme della regola di san Benedetto.
Il monachesimo cremonese non può certamente vantarsi di antiche case o di capi di congregazioni influenti al di fuori della diocesi, tuttavia la vita monastica in diocesi fu sempre curata tra la fine del X e la fine del XVIII secolo.
In questi otto secoli, il periodo tra la metà dell' XI e il corso del XIII rappresenta la fase di maggior fioritura, in tutti i campi: entusiasmo spirituale, potenza economica, influenza sul mondo caratterizzano i monasteri cremonesi dell’epoca, che si moltiplicano rapidamente e beneficiano di notevoli donazioni(1).

Le origini: S. Lorenzo (990) e i precedenti leggendari
Quasi fino all'anno Mille non vi fu alcun insediamento monastico nella diocesi. In seguito. in epoche diverse, furono messe in circolazione delle leggende e fabbricati dei falsi per «invecchiare» alcuni monasteri, ponendo la loro fondazione nel periodo longobardo o nel X secolo; tuttavia la critica moderna ha dimostrato la vanità di tali pretese. Cosi — fra gli altri — un documento redatto dai monaci di Nonantola tentava di far risalire l'esistenza di S. Silvestro al 753 e un falso diploma di Berengario I certificava la fondazione nel 626 di un monastero di S. Pietro a Soncino. D'altronde S. Benedetto di Crema sarebbe stato fondato al termine del VI secolo, secondo una fantasiosa tradizione raccolta da Pietro Terni nel XVI secolo(2).
La più antica presenza monastica debitamente attestata a Cremona data in realtà soltanto dal 927 ed è assai modesta: si tratta della chiesa di S. Silvestro, all'epoca una semplice «cella», cioè una piccola casa senza alcuna autonomia, appartenente alla grande abbazia di Nonantola(3). Il primo vero monastero della diocesi, S. Lorenzo, compare il 31 maggio 990, nel giorno in cui il vescovo Olderico, che l’ha appena costruito nel sobborgo nord-est della città, lo dota generosamente assegnandogli l'immensa proprietà di Piadena (che verrà presto usurpata da Bonifacio di Canossa) e numerose altre proprietà. Il vescovo dispone che i monaci, posti sotto la sua tutela, vivano secondo la regola
di san Benedetto. Nel 1021 il vescovo Landolfo a sua volta dona a S. Lorenzo la chiesa urbana di S. Vittore, che diventerà priorato per almeno due secoli.
Malgrado gravi disordini provocati dall'incuria dell'abate poco prima del 1040, S. Lorenzo rimane uno dei grandi monasteri cremonesi, reso illustre nel XIV secolo dalla cronaca di Alberto de Bezanis; rimane oggi ancora la chiesa del  XII secolo notevolmente rimaneggiata(4).

La fine dell' XI secolo: i grandi monasteri riformatori
Il primo terzo dell' XI secolo assiste al subitaneo moltiplicarsi dei monasteri cremonesi: non meno di sei vengono fondati in città ed altri sei o sette nella regione di Crema, nella quale il movimento di espansione cessa all’inizio del XII secolo. Queste fondazioni, destinate a durare parecchi secoli ed alcune con un ruolo molto importante, presentano caratteristiche del tutto particolari al loro sorgere, poiché sono per lo più ispirate ai due grandi movimenti operanti nella Chiesa del tempo: la riforma gregoriana e l'ordine di Cluny.
Il primo monastero e S. Tommaso, fondato nel 1066 da una coppia di cittadini, Cremoxianus Treseverti e Roza, intorno ad una chiesa che avevano edificata poco tempo prima; istituiscono un collegio di sei preti casti e dotti che vivranno in comunità grazie ad una piccola rendita fondiaria: viene rapidamente adottata la regola di san Benedetto, com'era nel desiderio dei fondatori, e il monastero passa sotto la diretta autorità del papa. La chiesa è consacrata nel 1078 da Bonizone di Sutri, grande figura della riforma ecclesiastica. S. Tommaso — di cui rimane oggi soltanto il nome di una via — sarà uno dei grandi monasteri di Cremona fino al XVIII secolo.
Nel medesimo periodo il notaio Ardingus e la moglie Edina costruiscono S. Pietro Po in riva al fiume, nel quartiere commerciale, e inseguito l'offrono in dono alla Sede Apostolica nel 1071. L’abate Cristoforo è a capo dei primi patarini della città (1067-1068), segno indicativo dello spirito nel quale fu fondata questa comunità; così pure la dedicazione a Pietro e Paolo riflette l'ispirazione pontificia. Nel 1078 Gregorio VII precisa la completa indipendenza del monastero dal Vescovo; S. Pietro Po conserverà una certa influenza fino al XVIII secolo; è rimasta la chiesa e sono stati conservati notevoli archivi.
Nel 1076 s’insedia a Cremona l’ordine di Cluny: Alberto da Fontanella, sua moglie e due altri abitanti della città offrono alla grande abbazia della Borgogna un terreno vicino a S. Pietro Po per costruirvi un priorato. La sua rendita comprende soltanto quattro mansi (fondi agricoli), ma un privilegio pontificio del 1132 indica che nel frattempo vi erano state aggiunte, probabilmente come donazioni, otto chiese rurali e quella urbana di S. Ippolito; il medesimo privilegio vi unisce una decima chiesa, quella d’Olmeneta. Non si conosce bene la storia successiva di S. Gabriele, che non sembra aver esercitato grande influsso sulla città; nel 1367 conta ancora 4 monaci e scompare prima
del XVI secolo(5).
Tre anni dopo (1079) viene fondato un monastero femminile e offerto alla Sede Apostolica dal conte di Sospiro Bernardo: S. Giovanni Evangelista della Pipia si trova sull’omonimo corso d’acqua, a nord-est delle mura. La sua dotazione è notevolmente più alta di quelle degli altri monasteri: consiste in un intero paese, Pescarolo, con castello e signoria, oltre che in alcune terre in altri luoghi. Riparleremo di questa grande comunità che, dopo una grave decadenza, conobbe nel XIII secolo un
nuovo splendore sotto la regola cistercense.
Nel 1089 l’abate di Nonantola fonda a sua volta un monastero, S.Benedetto, concedendo ad un gruppo di donne di stabilirsi su un terreno vicino alla città: la comunità avrà sorti alterne nel XII e XIII secolo.
In data incerta, prima del 1090, sorge infine l’ultimo della serie dei monasteri urbani: S. Salvatore, dovuto all'iniziativa del cremonese Atto, figlio di Astolfo, e offerto alla Sede Apostolica. I pochi documenti rimasti degli archivi di S. Salvatore testimoniano nel XII e XIII secolo un’esistenza tranquilla, sotto la tutela del papa e dei discendenti del fondatore.
I monasteri rurali creati nel medesimo periodo si concentrano intorno a Crema. Nel 1079 si costituiscono prima due dipendenze (cellae) del priorato cluniacense di S. Paolo d’Argon, fondato presso Bergamo dal conte Giselberto IV(6): questi dona, fra gli altri beni, la chiesa della S.ma Trinità di Crema e quella di Ombriano con il castello, in rovina, del luogo: ambedue dipendono dalla diocesi di Piacenza che inglobava una parte del territorio Cremasco. E difficile dire se dei monaci vi abbiano risieduto in seguito. Argon acquisisce inoltre, prima del 1095, S. Pietro di Madignano dove alcuni monaci vivono almeno fino al 1367.
Il 1° dicembre 1097, un cugino di Giselberto IV, il conte Enrico,fonda alle porte di Crema e offre a Montecassino (caso unico nell’Italia settentrionale) il priorato di S. Benedetto, largamente dotato di terre e di chiese nei dintorni. S. Benedetto rimarrà fino al XVIII secolo sotto la tutela di Montecassino. La donazione è fatta "con l'approvazione di tutto il popolo di Crema" di cui Enrico è signore; essa avviene in circostanze molto particolari: nel momento in cui la contessa Matilde scatena una lotta secolare tra Crema e Cremona, assegnando a quest'ultima l'Insula Fulcheria, cioè la piccola regione dove Crema estendeva la propria influenza (1 gennaio 1098). La fondazione di S. Benedetto e la sua dipendenza da un monastero molto lontano ed esente (ciò indipendente dalla giurisdizione episcopale) hanno un obiettivo politico preciso: dare un centro d'unità spirituale ai Cremaschi e sottrarre all'autorità del vescovo di Cremona il maggior numero possibile di chiese rurali.
Per tutto il XII secolo S. Benedetto assumerà il ruolo di sostegno religioso della indipendenza cremasca (7).
I conti di Bergamo fondano ancora un altro monastero nella diocesi di Cremona, S. Fabiano di Farinate (oggi comune di Capralba), offerto alla Sede Apostolica da un gruppo di fratelli o cugini di questo lignaggio nel 1114(8). Si tratta di una piccola comunità femminile, posta sin dal 1169 sotto l'autorità della badessa di S. Damiano di Dovera, probabilmente per la sua povertà. S. Daminao stesso fu probabilmente fondato dalla famiglia da Dovara, una delle grandi famiglie feudali di Cremona, i cui inizi restano oscuri, lo si conosce meglio dopo il 1169: a quell'epoca è una piccola comunità indipendente, la cui influenza è solamente locale monache s'insediano a Lodi nel XV secolo mentre quelle di Farinate raggiungono Crema(9).
Un ultimo monastero creato in quel periodo, sempre nella stessa regione, è S. Ambrogio di Rivolta d’Adda, sottoposto alla Sede Apostolica nel 1106 dal gruppo di monache che si reano insediate presso una chiesa preesistente. Sopravvive fino al 15580, poi viene riunito al Monastero Maggiore di Milano.
All'altra estremità della diocesi, in quel periodo esiste già il monastero maschile di S. Maria della Geronda; nel 1101 il vescovo di Trento lo cede all'abate di S. Tommaso d'Acquanegra sul Chiese (diocesi di Brescia). E un episodio molto oscuro, come il resto della storia della Geronda; si sa soltanto che gli edifici monastici erano pressoché deserti all'inizio del XIV secolo.
L'improvviso moltiplicarsi dei monasteri alla fine dell' XI secolo non è certamente casuale: si tratta di una modalità d'espressione, in terra cremonese, della riforma della Chiesa nei suoi vari apsetti e sfumature. La fondazione di quattro monasteri urbani sottoposti a Roma (S. TOmmaso, S. Pietro Po, S. Giovanni della Pipia, S. Salvatore) rappresenta un elemento essenziale della pataria(10). I primi due sorgono proprio allorché si scatena la lotta contro il Vescovo e il clero corrotto:
l'abate di S. Pietro P0 è il capo dei patarini, S. Tommaso è consacrato da Bonizone di Sutri e gli atti di fondazione delle due comunità sono carichi di diffidenza verso il vescovo e di precauzione per proteggere l'indipendenza dei monaci. Nel medesimo periodo i monaci di S. Lorenzo abbracciano anch’essi il partito della riforma: sono oggetto delle persecuzioni del vescovo e Bonizone sarebbe venuto a morire in mezzo a loro.
Le circostanze della fondazione di S. Giovanni della Pipia sono più sfumate: Bernardo di Sospiro si trova ancora a fianco del vescovo poco tempo prima e la fondazione sembra costituire il primo atto
della sua conversione alla riforma. Riguardo alla creazione di S. Salvatore, realizzata in un’epoca in cui i riformatori hanno appena ottenuto il trionfo, si inserisce di fatto nella via tracciata da essi. Vivai di preti puri e baluardi della lotta contro una gerarchia corrotta, i monasteri hanno una posizione particolare nell’Italia padana del tempo: a Milano, come a Piacenza, i monasteri cittadini sono ostili ai patarini(11).
Forse la scarsa presenza di buoni sacerdoti spinse i riformatori cremonesi a insediare dei Benedettini (a Milano la stessa situazione porta a rivolgersi ai Vallombrosani).
I monasteri femminili poi sono i luoghi di preghiera indispensabili per il successo della riforma e diventano utili per impedire di nuocerealle donne che, esaltate nel proprio zelo, pretendevano poteri esorbitanti come la predicazione: la presenza di monasteri benedettini serve anche, ottenuta la vittoria, a canalizzare l'entusiasmo dei laici patarini e a restaurare l'ordine in una Chiesa la cui gerarchia è distrutta e il cui clero è quasi tutto indegno.
I priorati cluniacensi e S. Benedetto di Crema si inseriscono in un contesto totalmente diverso: i progressi recenti della storiografia(12) hanno dimostrato la creazione di una serie di priorati cluniacensi in Lombardia durante la lotta per le investiture, tra il 1060 e il 1090 circa, ad opera di un gruppo di potenti castellani, di grandi vassalli dei vescovi, fedeli all'imperatore ed ostili ad una riforma radicale della Chiesa che avrebbe minato alla base il loro potere (feudi, canonicati, patronato sulle chiese, influenza sui vescovi...). La loro concezione di riforma è più moderata e vorrebbero vederla diretta da un clero regolare autonomo dai vescovi, secondo il modello di Cluny.
Giselberto IV mette in atto tali concezioni quando fonda Argon e gli dà le chiese rurali che possiede. Enrico di Crema sceglie di porre S. Benedetto sotto l'autorità di Montecassino e non di Cluny, per motivi congiunturali (in quel caso di politica familiare), ma la concezione complessiva del progetto non differisce molto da quella delle fondazioni cluniacensi. S. Gabriele costituisce un caso un po’ diverso nella rete cluniacense lombarda: è l'unico priorato cittadino ed i suoi fondatori sono cittadini senza legami conosciuti con il gruppo dei grandi benefattori feudali di Cluny; la donazione di otto cappelle rurali richiama tuttavia da vicino le dotazioni di altri priorati cluniacensi e suggerisce che S. Gabriele goda di simpatie tra i castellani del contado. Comunque, il significato di tale fondazione, nel 1076, appare chiaro: si tratta di una reazione contro la pataria in quel momento trionfante e, forse, della ricerca di una via moderata, senza compromessi né con il vescovo né con i patarini.
La fondazione di tutta una serie di monasteri alla fine del secolo XI assume un ruolo importante e molto preciso nelle lotte religiose e politiche che agitano la Cremona dell'epoca. Le particolarità di ognuno dei due gruppi di monasteri -  dipendenti dal pontefice o da Cluny e da Montecassino - esprimono la scelta di ognuno dei due partiti che si dividono la classe dirigente.
Quanto ai monasteri di Farinate, di Rivolta e di Dovera (per quanto si possa parlare di quest'ultimo in assenza di fonti coeve), sono creati in ambiente rurale ed aristocratico che richiama, a volte molto da vicino (Farinate), quello degli amici di Cluny; ma sono offerti alla Sede Apostolica. La data della loro donazione a Roma (1106, 1114) spiega perché escano dallo schema ora tracciato: a quell’epoca il grande conflitto per la riforma è terminato e il fatto di mettere un monastero sotto l’autorità
papale non riveste ormai più il significato polemico che poteva avere venti o trent'anni prima.

Studio da "Diocesi di Cremona" a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L Vaccaro
Editrice La Scuola 1988

François Menant (nato nel 1948) è direttore di ricerca presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, dopo aver svolto attività di ricerca e di insegnamento all’École Normale Supérieure di Parigi, all’École Française di Roma e alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Le sue ricerche hanno per oggetto gli aspetti sociali, politici ed economici della Lombardia dei secoli X-XIII
Tra le sue opere: Campagnes lombardes du Moyen Âge. L’économie et la société rurale dans la région de Bergame, de Crémone et de Brescia du Xe au XIIIe siècle (Ecole française de Rome 1993), e in italiano, Lombardia feudale. Studi sull’aristocrazia padana nei secoli X-XIII (Vita e Pensiero 1992).


NOTE
1- Per indicazioni complete sulle fonti e sulla bibliografia riguardanti i diversi monasteri
ci permettiamo rinviare a MENANT, Les monastères. Daremo i riferimenti precisi dei documenti
citati soltanto in caso di impossibilità di reperirli con l'aiuto di questo repertorio.
Segnaliamo, tuttavia, qui di seguito i principali archivi e biblioteche con le relative
segnature.
ASC, Archivio Storico Comunale, INV. VIII/1: Ospedale S. Maria della Pietà, Pergamene;
Inv. VIII/5 cassette 30-31: S. Pietro Po,
BSCR. Pergamene Barbieri (S. Martino di Robecco); Pergamene del Fondo Statale (S. Cataldo
e chiese varie).
Archivio della chiesa di S. Agata di Cremona, Pergamene.
ASM, Archivio diplomatico,Pergamene per fondi: Crema, S. Benedetto, cartt. 141—144; Cremona,
S. Agostino, cart. 150 (documenti provenienti S. Abramo al Morbasco, S. Lorenzo di
Genivolta, S. Leonardo in Capite Mosae, S. Leonardo del Ponte di Preda; Cremona, S. Benedetto,
cart. 155 (S. Leonardo in Capite Mosae, S. Maurizio di Casanova; S.Lorenzo, cart. 166
(S.Lorenzo, S.Eusebio, S.Tommaso,S.Giovanni nel Deserto); Cremona, S.Giovanni della Pipia,
cart. 172; Cremona, conventi vari, cart. 178 (S.Pietro Po e altri); Lodi, SS.Cosma e Damiano,
cart. 186 (SS. Cosma e Damiano di Dovera).
Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, Raccolta Morbio, vol. 25, n. 1 (ms. sec. XVI):
S. Martino di Robecco.
Biblioteca civica di Lodi, Registrum factum per me Alberto de Vignate [...] de maiori parte
scripturarum et bonorum monasterii SS. Cosma et Damiani [...] ac Fabiani de de Farinate,
ms. 1493.
Halle an der Saale (D), Universitats-und Landesbibliothek, Raccolta Morbio (pergamene)cart.
II, III, XVI (Cremona. chiese varie).
Per una informazione complessiva sul monachesimo italiano del medioevo, si veda PENCO, Sto-
ria del monachesimo.
2- Discussione di questo caso e di alcuni altri: MENANT, Les monastères, p. 13, n. 2 e sotto i
diversi nomi dei monasteri.
3- CDL, n. 890.
4- Sugli inizi di S. Lorenzo si veda in ultima analisi G. VOLTINI, S. Lorenzo in Cremona.
5- GUALAZZINI, Il priorato.
6- SIGISMONDI, Il priorato; MENANT, Les Giselbertins.
7- SCHIAVINI TREZZI, Il monastero; PIASTRELLA, I beni; MENANT, Les Giselbertins. Sulle circo
stanze politiche si vedano gli atti del congresso Crema 1185.
8- MENANT, Les Giselbertins.
9- Su S. Damiano: KEHR, Italia Pontificia, VI/1, p. 258; Biblioteca Civica di Lodi, Registrum
factum per me Albertum de Vignate [...] de maiori parte scriptorarum et bonorum monasterii
SS. COsme et Damiani [...] ac S. Fabiani de Farinate, ms. 1493. ASM, Archivio Diplomatico,
Pergamene per fondi, cart. 186: SS. Cosma e Damiano; MANARESI nn. CVIII e CXXVII; gli archivi
di S. Fabiano di Farinate (MENANT, Les monastères, n. 2).
10- Cfr. il mio contributo Da Liutprando (962) a Sicardo (1185): «La Chiesa in mano ai laici
e la restaurazione nell'autorità episcopale» da "Diocesi di Cremona" ED. La Scuola 1988; ZERBI,
I monasteri cittadini, p. 287.
11- SCHIAVINI TREZZI, Il monastero, pp. 78-79; ZERBI, I monasteri cittadini, p. 287.
12- Cfr. Cluny in Lombardia, inoltre L'Italia nel quadro dell'espansione europea.






martedì 20 febbraio 2018

Liutprando da Cremona (920 - 972) - Antapodosis - Liber de legatione constantinopolitana

L' opera di Liutprando da Cremona viene giudicata malamente dagli storici e relegata con qualche sufficienza nell' area della letteratura. Sicuramente molti suoi giudizi sono falsati dalla partecipazione dell' autore in prima persona agli eventi che riferisce, ma è altrettanto vero che nessun libro di quell' epoca ci racconta con altrettanta "verità" le vicissitudini, gli intrighi, le rumorose avventure, le efferatezze e i delitti di un secolo che ha visto scorrazzare lungo la penisola gli eserciti selvaggi e arraffoni di Ungari, Longobardi, Franchi, Sassoni, Goti, che si contendevano territori, città e castelli. Conservo una edizione delle Opere di Liutprando da Cremona (La restituzione, Le gesta di Ottone I e La relazione di un' ambasceria a Costantinopoli) in un solo volume di 271 pagine a cura di Alessandro Cutolo, pubblicata da Bompiani nel 1945. Erano anni di faticosa e avventurosa editoria e i libri venivano stampati su pessima carta che oggi si sbriciola sotto le dita. Non mi risulta che da allora questo splendido libro sia stato ristampato. Similmente alla Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, pubblicato invece più volte e qualche anno fa anche dalla Mondadori-Fondazione Valla, è assai più che un libro di storia, è la cronaca in presa diretta di un' epoca turbolenta, una letteratura a metà fra la tragedia e la farsa: intrighi politici e battaglie, aneddoti, cattiverie e notizie inedite. Chi sapeva per esempio che Arnolfo di Carinzia figlio naturale di Carlomanno re dei Franchi Orientali, dopo la sua ultima spedizione nella Penisola e dopo avere ricevuto la corona di re d' Italia, morì in Germania divorato dai pidocchi? I libri accademici non prendono in considerazione questi molesti parassiti. Ma una morte tanto strana non può essere una invenzione, dev' essere vera per forza. Carattere ombroso e insofferente, al ritorno da una missione presso Costantino VII imperatore di Bisanzio, Liutprando cade in disgrazia presso Berengario II e deve rifugiarsi in Sassonia. Dopo la lite e la fuga si mette al servizio di Ottone I, "gloriosissimo e invittissimo", e si vendica di Berengario e di sua moglie Villa scrivendo La restituzione (Antapodosis).
Frammento dell'opera Antapodosis
"La lingua non può dire - scrive Liutprando - e la penna non può scrivere quanto numerosi dardi menzogneri, quali rapine, quale immensa empietà essi abbiano, senza causa, adoperato contro di me, contro la mia casa, la mia parentela, la famiglia mia". Più che un libro di storia questa Restituzione è dunque un libello pieno di rancore, scritto con la penna intinta nel veleno. Visto che con le armi non gli era riuscito di tener testa alla arroganza bizantina in Puglia e Calabria, Ottone I pensa di ricorrere alla diplomazia e invia a Costantinopoli il vescovo di Cremona per intavolare una trattativa di matrimonio tra il figlio e una principessa Porfirogenita. Naturalmente la missione doveva fornire anche informazioni sulla efficienza militare dei Bizantini. L' astuto imperatore Niceforo Foca capisce subito il doppio intento della missione e tratta il vescovo Liutprando come una spia. Dopo averlo fatto aspettare davanti alla porta di Costantinopoli insieme al suo seguito per una notte intera sotto la pioggia, lo tiene praticamente recluso per tutta la durata della difficile missione. I dispetti e le intimidazioni si susseguono per tutta la durata del soggiorno che si protrae per quattro mesi, tanto da esasperare l' inviato di Ottone che, al ritorno, si vendica dell' insuccesso della sua missione con una relazione diplomatica velenosissima, appunto la Relazione di un' ambasceria a Costantinopoli (Liber de legatione constantinopolitana). L' imperatore Niceforo Foca viene descritto come "uomo davvero
mostruoso, un pigmeo con la testa grossa, che sembra una talpa per la piccolezza degli occhi, imbruttito ancora da una barba corta, larga, folta, brizzolata, deturpato da un collo alto un dito, con una chioma prolissa e fitta che orna una faccia di porco, nero di pelle come un Etiope (col quale non vorresti mai imbatterti nel cuore della notte!) grosso di ventre e magro di natiche, con i piedi piatti, vestito con una veste di bisso vecchissima e divenuta, per l' uso quotidiano, fetida e ingiallita ecc.". Altrettanto feroci sono le osservazioni sul cibo infarcito di aglio, affogato nell' olio e condito con una disgustosa salsa di pesce, del vino imbevibile perché condito con resina e pece. Gli incidenti diplomatici si susseguono senza tregua durante il disgraziato soggiorno del vescovo di Cremona nella capitale dell' Impero bizantino: a tavola viene data la precedenza a un legato bulgaro "che cinge una pesante cintura di rame come un selvaggio" e Liutprando si alza dal tavolo e se ne va. Durante i colloqui Niceforo rifiuta di riferirsi a Ottone con il titolo di "basileus" (imperatore) ma lo nomina come "rega", o re, in segno di disprezzo. E quando Liutprando viene invitato a una battuta di caccia all' onagro si rifiuta di togliersi il cappello che lo ripara dal sole mentre l' etichetta esige che in presenza dell' imperatore nessuno possa stare a capo coperto. Alla fine della sua Relazione Liutprando afferma "dico e dico il vero" ben sapendo invece quanta malizia aveva posto nelle sue parole. Della corte di Bisanzio, nota per le raffinatezze, il lusso, la ricchezza e il fasto delle cerimonie, si riceve qui una immagine pessima, a correzione delle meraviglie che se ne dicevano allora in ogni parte del mondo. Storia e "invenzione" da recuperare per il piacere della lettura.LUIGI MALERBA  da Archivio di Repubblica ( ricerca.repubblica.it)