venerdì 30 dicembre 2016

TERRA AMATA Castello Soresina Vidoni

Nei pressi di Cremona e nei dintorni di Castelverde si trova questo suggestivo complesso architettonico molto interesante e poco conosciuto.
La Villa Castello è  del sec XV della scuola di Francesco Dattaro.
La prima notizia che abbiamo su Francesco Dattaro, detto Pizzafuoco, è dell'ottobre 1557 quando fu eletto architetto della Fabbrica del duomo di Cremona, succedendo al padre Gabriele.
Al Dattaro è generalmente attribuito palazzo Affaitati (1561-70) a Cremona, dove si evidenziano riferimenti a Giulio Romano.
Vengono attribuite al Dattaro anche la ristrutturazione delle chiese di S. Pietro al Po (1573-75) e di S. Lucia, la facciata di S. Abbondio e la chiesa di S. Maria del Canipo (1585) a Cremona.

L'edificio di Terra Amata presenta una pianta quadrangolare orientata secondo i punti cardinali (tipica quindi del castello padano di pianura) e formata da corpi di fabbrica che delimitano un cortile centrale. 
In corrispondenza dei quattro angoli sono collocate delle torrette sporgenti sia in pianta che in alzato. Due torri poste nel mezzo dei corpi di fabbrica meridionale e occidentale, pure esse sporgenti in pianta, conferiscono toni monumentali ai due ingressi di mezzogiorno e di ponente. 
Tutta l'architettura dell'edificio è fortemente improntata ai caratteri stilistici propri dell'epoca - il Cinquecento - in cui la costruzione fu eretta.
Terra Amata è una frazione del comune di Cremona che sorge a settentrione del capoluogo, in posizione isolata nella campagna, a breve distanza dalla strada per Soncino. 

Sotto il profilo ambientale e paesaggistico l'abitato si configura come un caratteristico nucleo rurale della vasta e fertile pianura agricola cremonese, nella quale si trovano gli altri significativi nuclei rurali fortificati del comune di Castelverde, quali castello Trecchi a Breda dei Bugni, villa Schinchinelli a Cavallara, villa Sommi Picenardi a Licengo, villa Vernaschi a Ossalengo e la cascina Mancapane a San Martino in Beliseto. 
In questo caso però la tipologia è propria della residenza castellata quattro-cinquecentesca, nella quale rientra a pieno titolo il Castello Soresina Vidoni, elemento preminente del nucleo di edifici rurali al quale appartiene. 
Si tratta infatti di una significativa reinterpretazione di forme castellane, mentre il richiamo del suo impianto planivolumetrico al tipico castello trecentesco lombardo di pianura è così evidente da far ipotizzare che l'edificio sia stato costruito sulle fondamenta di un preesistente fortilizio, come del resto sarebbe avvenuto in alcuni dei sopraccitati nuclei rurali fortificati (castello Trecchi a Breda dei Bugni e villa Vernaschi a Ossalengo). (da lombardiabeniculturali.it)

Attualmente l'edificio è adibito a residenza di campagna privata con accesso molto blindato, infatti viene vietato ogni ingresso anche per fare solo qualche foto...
Ecco alcune immagini dall'esterno che sono riuscito a realizzare




martedì 27 dicembre 2016

Buone Feste da Piazzetta dei Mercanti a Piacenza


lunedì 5 dicembre 2016

FEDERICO BENNA, insegnante con la passione per il teatro e il suo monologo "Spaccato in due" sulla vicenda di Gianluca Firetti

Federico Benna, insegnante cremonese, ha portato in scena un suggestivo e toccante monologo sulla storia di Gianluca Firetti, giovane perito agrario e calciatore di Sospiro (CR), che a soli 18 anni si è ammalato di tumore osseo ed è morto, dopo due anni di malattia, nel 2015.
Ho assistito a due stralci del suo monologo presentati agli studenti dell'Itas di Piacenza, che qui riporto in video e ne sono rimasto coinvolto.
Sono pezzi commoventi che esprimono al meglio il teatro - meditazione.
Questo lavoro presentato interamente in diverse occasioni a Cremona è veramente un'opera carica di emozioni.
Ci racconta Federico che:
"Non è uno spettacolo 'religioso' o da vedersi solamente da credenti.
Chiunque davanti al dolore e alla morte ha rabbia, disperazione, si pone domande, ha paura, cerca speranza...
Gianluca Firetti ha passato tutte queste fasi, poi ha cominciato a fare spazio alla fede e lì ha trovato un senso al suo dolore."




domenica 6 novembre 2016

Nicolò Govoni: UNO

Il libro di Nicolò è stato scritto per aiutare  i bambini dell’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home in India protagonisti del romanzo.

‘Uno’ è il sogno di quando ero bambino.
Il sogno di quando perdevo i denti da latte e gli adulti mi chiedevano: ‘Cosa vuoi fare da grande?’ E io, con loro sorpresa, anziché il cowboy, l’astronauta o il calciatore, rispondevo: ‘Lo scrittore!’
‘Uno’ è il sogno di quando ero ragazzino, e i genitori dei miei compagni di scuola non volevano che i figli giocassero con me, perché ero diverso.
‘Uno’ è il sogno di un adolescente che sfuggiva alla solitudine rifugiandosi nei libri. Scendeva le scale di cellulosa, si chiudeva la copertina alle spalle come fosse una porta blindata, e lì si chiedeva: ‘Ma chi sono io?’
Solo che poi il sogno si spegne. Come una lucciola. Se la stringi troppo nel palmo della mano la sua luce palpita, e infine svanisce. Muta. Sepolta.
‘Uno’, infine, smise di essere il mio sogno. E io smisi di scrivere.
Sono stato bocciato, due volte. Ho avuto problemi con la legge, e me la sono vista brutta. Ho litigato con ogni singolo membro della mia famiglia, e ci siamo detti il peggio, ancora e ancora. Ho avuto problemi con i miei coetanei. Ho iniziato a vedere uno psicologo. 
E mi sono innamorato. Un amore dolce, metallico, ossessivo. 
Ero spezzato, con quell’ingenuità di cui solo gli adolescenti sono capaci.
Avevo vent’anni, e non ne potevo più di me stesso.
Decisi di partire.
Per far fronte alla critica condizione economica famigliare vendetti tutto quello che avevo in camera: scarpe, camicie, videogiochi, libri e fumetti, maglioni, giocattoli, orologi.
Un giorno di marzo, circondato dagli amici più cari, comprai alla cieca e di nascosto un biglietto aereo per l’India. Poi decisi di unirmi a un progetto di volontariato internazionale che mi spedì in un piccolo orfanotrofio del Sud.
A vent’anni, insoddisfatto e asfissiato dalla realtà che mi circondava, spinto da questo impulso a scoprire il mondo con i miei occhi, partii. 
Quel giorno ricominciai a scrivere.
‘Uno’ non è la storia di un eroe. Non è la storia di un volontario. Non è nemmeno la storia di un bravo ragazzo. ‘Uno’ è la storia di un ragazzo impaurito e profondamente arrabbiato e perso da sempre, che nel cercare la sua strada in un mondo che lo credeva sbagliato, trova un mondo suo. Un mondo di piccoli orfani pronti a diventare fratelli, di un uomo destinato a diventare un secondo padre, e di una donna la cui semplice esistenza è una prova di libertà.
E così, ‘Uno’ mi ha salvato.
Ci sono voluti quasi tre anni. Tre anni di scrittura, riscrittura, rappresentanza editoriale, editing, grandi speranze e delusioni, per giungere alla pubblicazione, oggi.
E oggi è per voi, è per voi che scrivo. Per chiunque abbia orecchio per ascoltare e un po' di spazio dentro di sé, nel profondo, per accogliere una storia che non è solo mia, ma di tutti noi, uomini o donne, operai o ingegneri. Perché ‘Uno’ racconta di quel momento nella vita che noi tutti attraversiamo: il cambiamento. La crescita.
‘Uno’ è la storia della vita che cambia.
In conclusione, quella che avete davanti è la storia di un grande viaggio. Ma non solo un viaggio intrapreso, gridando, sul tetto di un treno diretto al Taj Mahal, bensì un viaggio a fondo nel petto dei personaggi, indagando le problematiche individuali e sociali dell’India moderna, dalla condizione femminile all'alcolismo, dall’industrializzazione ai matrimoni combinati.
‘Uno’ è un intreccio di amore, morte e fede, solitudine, inadeguatezza e felicità, abbandono, perdita, nostalgia e speranza, nella spasmodica ricerca che accomuna tanto un ragazzo di vent'anni quanto un uomo di cinquanta: la ricerca dell'identità.
Vivere questa storia ha cambiato la mia vita per sempre. Spero che leggerla possa rendervi felici.
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Clicca qui per leggere un estratto di “Uno”: www.nicologovoni.com

I proventi delle vendite del libro saranno totalmente devoluti in beneficenza ai protagonisti del romanzo, i bambini dell’orfanotrofio Dayavu Boy’s Home






Nicolò Govoni: la storia di un giovane cremonese

Mi chiamo Nicolò Govoni, ho 23 anni, sono originario di Cremona, ma vivo in India da due anni, dove studio giornalismo. Mi sono trasferito qui per continuare una missione di volontariato intrapresa ormai tre anni orsono presso Dayavu Home, un piccolo orfanotrofio situato in Tamil Nadu, uno degli stati più poveri dell’India meridionale. Questa decisione ha cambiato per sempre la mia vita.

Amo: leggere, fare esperienza di ogni tipo, avere ragione ed essere contraddetto.
Disdegno: le melanzane, le menzogne e l’ignavia.
Desidero: avere un impatto positivo sul mondo.


 C O N T I N U A! sul sito di Nicolò

giovedì 20 ottobre 2016

CREMONA ROMANA

Mosaici pavimentali domus del Labirinto rinvenuti in via Cadolini
Della Cremona romana oggi purtoppo rimane ben poco, però, dai resti che sono stati ritrovati, si può evincere come doveva essere suggestiva questa citta. Insieme con la gemella Piacenza, sulle sponde del Po, erano località interessanti e punti di passaggio importanti. L'articolo di Treccani.it a cura di N. Degrassi, un po' datato, ma ugualmente significativo, descrive in modo sintetico e chiaro le vicende della Cremona romana.
    La città fu fondata, come colonia di diritto latino, dai Romani nel 268 a. C., sul luogo di un precedente abitato, e fu uno dei centri fortificati che poterono resistere all'assalto punico e gallico. Scipione nel 218 a. C. vi fece svernare le truppe. Dopo il 191 a. C. fu rinforzata con nuovi coloni; nel 9o a. C. ebbe la cittadinanza e divenne municipio iscritto alla tribù Aniensis. Parteggiò per Bruto, e Ottaviano ripartì il territorio fra i suoi veterani nel 40 a. C.; fu piazza-forte dei Vitelliani nel 69 d. C. e poi saccheggiata e rasa al suolo. Risorse per opera di Vespasiano; assai importante militarmente e commercialmente per il porto sul Po e il transito della via Postumia. A queste notizie storiche non corrispondono ampi ritrovamenti archeologici né epigrafici, anche se la relativa abbondanza di mosaici ci testimonia la ricchezza della città antica. La città moderna conserva ancora il reticolato della primitiva colonia romana; elementi di massicciata stradale antica sono apparsi, tra l'altro, all'angolo di via Verdi e corso Vittorio Emanuele e presso Porta Po. Non rimane però in vista alcun monumento della città romana; le fonti antiche ricordano il Foro e alcuni templi, tra cui quello della dea Mefite. Sembra che l'area a N-E della città antica serbi le tracce di un campo militare permanente. In occasione di lavori edilizî, sono venuti in luce in varie località del centro cittadino resti di edifici con numerosi mosaici pavimentali a variata decorazione policroma, solitamente geometrica, generalmente di ottima fattura. È da ricordare, tra l'altro, il complesso dei mosaici rinvenuti nel 1952 in via Cadolini, appartenente ad un edificio signorile con ambienti termali. Accanto a più comuni decorazioni geometriche, è la rappresentazione di Teseo che uccide il Minotauro, al centro del Labirinto cretese; un'altra sala è pavimentata, di variati, preziosi marmi. Tra gli altri ritrovamenti, va ricordato un complesso di vasi di bronzo trovati in un pozzo romano in via Diaz.
 Museo Civico. - Le collezioni archeologiche del Museo Civico Ala Ponzone, oltre ai mosaici di cui si è detto e ad alcuni pezzi particolarmente notevoli, quali il busto ritratto di Q. Labieno Parthico, probabilmente di ricostruzione, comprendono materiale preistorico e archeologico del territorio cremonese e in particolare di Calvatone (Betriacum): notevole un resto di cassaforte della legione IV Macedonica proveniente da Cremona.
Bibl.: Manca un'opera complessiva. Qualche notizia di topografia della città romana inNot. Scavi, 1908, pp. 309 e 1912, p. 426; in Bollett. Storico Cremonese, 1948-49, Notiziario(Pontiroli). Per il busto di Labieno, C. Albizzati, in Historia, IV, 1930, p. 634; per la cassaforte: Not. Scavi, 1887, pp. 209-221; cfr. Dessau, Inscrip. Lat. Sel., n. 2283.

mercoledì 22 giugno 2016

Marco D'Agostino - Gianluca Firetti: SPACCATO IN DUE l'alfabeto di Gianluca

Leggere il libro “Spaccato in due” di Gianluca Firetti e Marco D’Agostino significa immergersi in una storia che apre il cuore, commuove, ma soprattutto fa comprendere come tanto dolore è intorno a noi.
Ci sono tante famiglie che hanno a che fare con malattie inesorabili e magari ci sono accanto e non ce ne accorgiamo.
Diventa un’esame di coscienza sui nostri “enormi” problemi che sembrano insormontabili, ma che invece sono ben poca cosa dinanzi a testimonianze come queste.
Conosco Marco D’Agostino, prete cremonese, un amico, so quanto le sue parole vogliono cogliere nel segno, raggiungere la verità delle cose, in uno spirito autentico e libero.
Il racconto, fatto a quattro mani, con Gian è risultato quindi un’opera di grande suggestione, qualcosa che lascia il segno, fa piangere, fa sperare ed è una lezione sull’amore vero.
In una pagina del testo Marco D’Agostino, esprime queste semplici considerazioni che riassumono il senso di tutto il libro:
“Incontrare Gian significa avere nostalgia del bene.
Lo raccontano le sue parole, i suoi sorrisi, i suoi occhi, pieni di cielo pulito. Ricchi di amore.”
Il libro vuole raccontare i sentimenti e i pensieri di Gianluca, espressi con semplicità disarmante, sulla sua esperienza di lotta contro un tumore.
Si sviluppa sulle lettere dell’alfabeto ad ognuna delle quali corrisponde una parola che riflette la vita di Gian nel momento della malattia.
Parlare di dolore è difficile e drammatico e come si dice nella presentazione del testo “si rischia la retorica”. Ma in questo caso è proprio chi soffre che conduce la riflessione. Allora veramente la prospettiva cambia.
Il testo risulta allora genuino, puro, sincero, intenso ed è un’iniezione di saggezza per chi lo legge. “Nella malattia con speranza. Nella salute senza superficialità.”
Le parole di Gian
“Il libro mi racconta con verità… E’ una storia di dolore, ma anche di fede, come dovrebbe essere la storia di tutti quanti.
Le esperienze raccontate hanno permesso a me di presentarmi così come sono, anche molto debole in questo momento, ma molto forte in altre situazioni.
Tutto quello che ho imparato nella malattia viene qui condiviso con chi vorrà leggerlo.
Auguro a tutti di leggere questo testo e meditarlo. Lettera per lettera.
Contiene la nostra vita in tutta la sua lunghezza.
In fondo – come ho detto con mio fratello – “Noi siamo fatti per il cielo. Per sempre: Per l’eternità.
Allora, buona lettura!
In questo libro mi ritroverai, in ogni pagina. E io troverò te.
Sento che, in Dio, siamo già amici".
Di Gianluca Firetti possiamo dire che, come ci racconta la copertina del libro, è stato un perito agrario, calciatore, che nel dicembre 2012, a 18 anni si è ammalato di tumore.
Tutto nella sua vita è cambiato, ma ha accettato la sua situazione e, in queste pagine, racconta se stesso, mostrando come, nella lotta, si diventa pienamente uomini.
Muore il 30 gennaio 2015, nel giorno in cui giungono dalla tipografia le prime del suo libro.
Adesso
La lettera A commentata da Gian richiama la parola Adesso, riferita alla preghiera:
"Adesso e nell’ora della nostra morte".
In questa riflessione Marco D’Agostino mette in evidenza la verità di Gian nel rapportarsi a chiunque:
“Gianluca non è triste. E’ vero.
Vero nel porsi, con la sua fragilità che lo stanca e lo consuma.
Vero nel parlare, perché vive con i piedi per terra e sa come funziona il mondo.Vero nelle relazioni, perché sa distinguere correttamente chi va a trovarlo per convenzione, per amicizia, per curiosità, perché gli vuol bene.
Vero nel relazionarsi, perché sa che la prova che sta vivendo è solamente sua e vuole affrontarla, pur nelle stanchezze, come meglio può.
Gianluca attende. Sa che qualcosa succederà.
E come dice lui: “Qualsiasi cosa succeda, sarà qualcosa di bello. Sia che finisca in un modo, sia che finisca in un altro”.
Per Gianluca “adesso” e “l’ora della morte” sono coincidenti. E’ la sua vita. Convince con questo pensiero.
Se pregassimo sempre l’Ave Maria così, come Gianluca, la nostra vita sarebbe migliore. Più bella. Luminosa. Santa. Anche nella sofferenza e nel dolore.

Medaglia
La lettera M ricorda a Gian la medaglia d’oro vinta dal suo amico Emanuele campione di canoa e a lui regalata.
“Mi ha detto che quella medaglia era stata vinta da lui con sacrificio e allenamento, ma è una medaglia datagli per una semplice gara, durata semplicemente pochi secondi”.
“E tu, invece, perché la meriti?”.
“Perché – mi ha detto Emanuele – che le medaglie d’oro si danno ai vincenti, coloro che vincono le battaglie di tutti i giorni e la mia, contro la malattia, è una battaglia che devo vincere”.
Gian toglie dal collo la medaglia e la rimette sul comodino.
Non è ancora ora di indossarla definitivamente.
La battaglia richiede ancora molta fatica e forze.
E’ contento. Sa di essere un potenziale vincitore.
“Ema ha un cuore grande”, commenta mentre depone quell’oro regalatogli da un ragazzo come lui.
Attimi di felicità che squarciano la tristezza del dolore…

Impressioni
La storia di Gian che si legge nel libro emerge nella sua intensa vitalità.
E’ un alfabeto del tutto particolare che sa trasmettere emozioni e comunicare al cuore di tutti e in particolare dei giovani.
Gian ti coinvolge nel suo cammino e il dolore sembra assumere quell’aria e quella ventata di fresca naturalezza. L’amore, l’autenticità di una testimonianza sono una forza dirompente che contagia il mondo.
Mi ricorda le migliaia di candeline al termine del film “Un sogno per domani” (Pay It Forward) ispirato al libro “La formula del cuore di Catherine Ryan Hyde”, dove anche li la morte di un giovane riempie di luce la città.
Anche Trevor, il protagonista del film, alla fine muore per testimoniare la sua idea di migliorare il mondo, ha pensato al bene di tutti più che al proprio, ma la sua proposta non muore con lui.
Il film si conclude con una immagine di coinvolgimento di moltissime persone che hanno capito il suo messaggio.
Così è stata la testimonianza di Gian, che risalta dal libro, essa non è altro che un testamento di amore.
Gian ci invita a non sprecare un solo istante della nostra vita, ci insegna che la sua verità di persona ha portato una luce a tantissime persone che hanno conosciuto la sua storia.
“Gian - sottolinea Marco D’Agostino – è un santo giovane ha il linguaggio fresco e spontaneo dei giovani.
Rappresenta il mistero di una vita – già eterna – che sperimentiamo straordinariamente bella. Un fiore appena sbocciato e così profumato”.

martedì 21 giugno 2016

La COLLEGIATA di CASTELSANGIOVANNI

La predica del Battista- Pietro Melchiorre Ferri da Sissa 1771
La Collegiata di CASTELSANGIOVANNI è una superba chiesa in provincia di Piacenza che merita attenzione.
Ho partecipato alla presentazione del testo di Jo Nani "Solenne viandante nella storia", viaggio nell'arte della Collegiata e sono rimasto ammirato dalla bellezza del suggestivo edificio sacro.
L’interno della chiesa  ha un impianto basilicale.
Alcuni pilastri in cotti reggono la copertura.
Molto bello è l’impianto pittorico del monumento, basato su tematiche dell’antico testamento.
Da vedere all’interno della Chiesa sono soprattutto il fonte battesimale in marmo, il Crocifisso realizzato da Giacomo e Giovanni Angelo del Maino.
L’altare maggiore è completato con la pala d’altare di Pietro Melchiorre Ferrari.
L’opera d’arte riprende il tema della Predicazione di San Giovanni Battista nel Deserto.
Crocifisso- Giacomo e Giovan Angelo del Maino 1496
interno lato sinistro chiesa
Statue barocche Dalmazio della Porta

Madonna del Santo Rosario 1650

Decorazioni a stucco
Ancona con Madonne e Santi - Sebastiano Novelli -1540


decorazioni a stucco




















mercoledì 15 giugno 2016

Collegio ALBERONI a Piacenza: l'appartamento del CARDINALE

Scrivania del Cardinale
Nel prestigioso Collegio ALBERONI, l'omonimo Cardinale si era ritagliato un piccolo appartamento dove ancora oggi possiamo ammirare delle splendide opere.
Se il cardinale Alberoni stabilì la sua residenza piacentina nel palazzo presso San Savino, acquistato nel 1742 dai conti Barattieri, dove infine chiuse la sua dimora terrena il 26 giugno del 1752, anche presso il Collegio, al piano nobile al di sopra dell’ingresso (sul fianco sinistro della chiesa), il prelato aveva riservato a sé un piccolo appartamento di tre camere, con attigua cappella privata.
Prima di accedere all’appartamento si può ammirare, sullo scalone al primo piano, una grande pala d’altare, proveniente dalla collezione piacentina del cardinale, raffigurante il Sacrificio di Isacco: è una buona replica seicentesca di un dipinto di Francesco Cairo (1607-1665), oggi in una collezione privata.
Nel corridoio che porta all’appartamento si può invece vedere una Sacra Famiglia con Sant’Elisabetta e San Giovannino, di anonimo seguace fiorentino di Raffaello (prima metà del XVI secolo), che il cardinale credeva di mano del Sanzio e che invece è una rielaborazione della celebre Madonna Canigiani (Monaco di Baviera, Alte Pinakothek) del grande maestro urbinate; altra replica è la Cena in Emmaus, da un celebre originale di Tiziano oggi al Louvre, in origine eseguito dal grande pittore veneto per il conte Nicola Maffei di Mantova.
Pendola in legno
Proprio all’ingresso dell’appartamento è appeso il celebre Ritratto del cardinale Alberoni di Giovanni Maria delle Piane detto il Mulinaretto (1660-1745), il primo artista contemporaneo con il quale il Cardinale entrò in contatto.

GLI ARREDI

All’interno dell’appartamento del cardinale si possono ammirare alcuni preziosi arredi provenienti dal patrimonio dell’Alberoni: la splendida Pendola in legno laccato decorata con motivi di cineseria, realizzata a Londra dall’orologiaio George Clarke (notizie dal 1725 al ’40), probabile dono della regina Maria Clementina Sobieski, moglie di Giacomo Stuart, pretendente al trono d’Inghilterra.
Sempre legato al gusto per l’esotico caratteristico delle metà del Settecento è anche il delizioso Scrittoio da viaggio con una decorazione in oro su lacca amaranto, un oggetto probabilmente realizzato in Cina per il fiorente mercato europeo. Ascrivibile invece ad un ebanista locale è la Scrivania “grande tutta impellicciata ed intarsiata di vari legni” (Inventario 1749, n. 153), che reca sul casseto centrale lo stemma del cardinale.

I DIPINTI

Le piccole sale dell’Appartamento ospitano alcuni dei più significativi dipinti della raccolta del cardinale e anche alcuni quadri provenienti da successive donazioni, in particolare giunti in Collegio per interessamento di Gian Felice Rossi (1905-1987), che per molti anni fu l’attento custode del patrimonio artistico alberoniano. Fra questi ultimi ricordiamo la Sacra Famiglia con San Giovannino, squisita opera di scuola toscana databile al 1490 circa, che è stata giustamente avvicinata alla mano del Maestro dei putti bizzarri, un pittore attivo fra Volterra e Siena negli ultimi trent’anni del Quattrocento, vicino ad artisti come Bartolomeo della Gatta e il Maestro di Griselda, ma soprattutto a Luca Signorelli. Sempre alla generosità di padre Rossi si deve laMadonna col Bambino col pappagallo, interessante opera di scuola fiamminga dei primi anni del Cinquecento. in un momento nel quale si assiste all’incontro tra la tradizione nordica, evidente nel paesaggio, e le forme rinascimentali italiane, qui ben percepibili nell’ampia monumentalità della Vergine.
Anche il cardinale possedeva nella propria raccolta diverse opere di artisti della tradizione fiamminga che si possono così ammirare tra i dipinti dell’Appartamento: la Madonna col Bambino della Scuola di Jos van Cleve (circa 1484-1540), un piccolo Cristo risorto che appare alla Vergine, tradizionalmente riferito a Dirck Bouts (circa 1400-1475) e la bellissima Visione di San Giovanni a Patmos di Heni Met de Bles detto il Civetta (circa 1510-1555?). (da collegioalberoni.it)



domenica 12 giugno 2016

Collegio ALBERONI di Piacenza: la BIBLIOTECA

Entrare nella biblioteca del Collegio Alberoni significa immergersi in un mondo di cultura affascinante.
Sono presenti libri antichi, incunaboli preziosi: si tratta di un ambiente dove la stessa visione di una grande quantità di libri regala intense emozioni.
La biblioteca nasceva in un momento in cui si formavano le grandi concentrazioni librarie come strumento di supporto agli studi. Papi e cardinali si erano aperti al mecenatismo bibliografico. Nel 1609 il card. Federico Borromeo apriva l’Ambrosiana di Milano.
Seguivano altre biblioteche importanti tra cui a Roma l’Angelica, l’Alessandrina, la Casanatense. Negli anni dell’Alberoni o poco dopo si collocano la Palatina di Parma e la Braidense di Milano.
E’ presente tra l’altro una copia della Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti diGalileo Galilei (Roma, 1613), mentre L’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert venne acquistata a fascicoli man mano che veniva pubblicata nella celebre edizione di Livorno (1770).
Ricca la presenza di incunaboli e cinquecentine. Tra i primi il più antico è la Historia romana di Eutropio stampata a Roma nel 1471;
va poi ricordato il Liber Chronicarum di Hartman Schedel, pubblicato a Norimberga nel 1493, ornato da preziose xilografie dovute ad artisti diversi tra i quali il giovane Albrecht Dürer, la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità di Fra Luca Pacioli del 1494 e l’edizione milanese del 1488 degli Opuscola di San Tommaso d’Acquino.
Tra le seconde, circa un migliaio, vanno ricordati i volumi della Bibbia poliglotta (in ebraico, caldeo, greco e latino), stampati ad Anversa nella celebre stamperia Plantin (1569-72), i dieci volumi delle Opere di San Girolamo nell’edizione basileense di Froben (1524-26), curata tra gli altri da Reuchlin e da Erasmo da Rotterdam, la rarissima edizione del De Asse et partibus eius del grande filologo francese Guillaume Budé, stampata a Venezia da Aldo Manuzio nel   1522. Vi sono poi gli Atti e decreti del Concilio di Trento (Brescia, 1563) e un’edizione ginevrina del 1592 dell’Institutio christianae religionis di Giovanni Calvino.

GLI ERBARI

Di particolare importanza il pregevole materiale naturalistico donato nel 1810 dal francescano minore riformato padre Zaccaria da Piacenza O.F.M., al secolo Carlo Francesco Berta (1721-1814),
botanico e naturalista di gran fama.
Questo studioso lasciò in eredità al Collegio le sue collezioni scientifiche, i suoi erbari secchi e dipinti con la relativa biblioteca specializzata in riconoscenza per averlo accolto a S. Lazzaro dopo la soppressione napoleonica del convento francescano di S. Maria di Campagna.
Eccelle tra questi il suo celebre Erbario, uno dei cimeli storico-artistici più importanti del Collegio Alberoni soprattutto per la valenza storico-scientifica del suo contenuto che ci permette di entrare nello spirito del suo ideatore seguendone gli interessi naturalistici e aprendo
uno spaccato del tempo in cui operò proprio in base alla scelta delle essenze presenti e alle descrizioni delle stesse. (da collegioalberoni.it)










Antonello da Messina: Ecce Homo, capolavoro del Collegio Alberoni di Piacenza





Preziosissimo capolavoro tra i più intensi e drammatici di uno dei maggiori artisti della pittura occidentale.
 A questo assoluto gioiello artistico è interamente dedicata la terza sala dell’appartamento del cardinale nel Collegio Alberoni di Piacenza.
Seguiamo la visita guidata su Youtube

sabato 11 giugno 2016

Sala degli ARAZZI - Collegio ALBERONI Piacenza

Entrare nella Sala degli Arazzi del Collegio Alberoni di Piacenza significa immergersi in un sublime mondo di immagini affascinanti.
La moderna sala è tappezzata da questi antichi arazzi.
Pregevolissima, per numero e qualità dei pezzi, è questa collezione lasciata dal cardinale. Si tratta di diciotto superbi capolavori, suddivisi in tre serie diverse: gli otto pezzi della Serie di Enea e Didone, tessuti dall’arazziere Michel Wauters di Anversa intorno al 1670 su cartoni di Giovan Francesco Romanelli, il maggiore allievo di Pietro da Cortona; gli otto pezzi dellaSerie di Alessandro Magno, tessuti da un ignoto arazziere fiammingo attivo a Bruxelles nella seconda metà del Seicento (forse Jan Leyniers) su probabili cartoni di Jacob Jordaens, uno dei più importanti seguaci di Rubens; e infine i due arazzi più antichi e preziosi, quelli della cosiddetta Serie di Priamo.

GLI ARAZZI DELLA SERIE DI PRIAMO
Sono due pezzi in lana e seta dalle dimensioni eccezionali, quasi quattro metri d’altezza e cinque e mezzo di lunghezza, con due sontuose raffigurazioni: un Corteo regale sul primo e un Ricevimento con banchetto di nozze sul secondo. La narrazione procede da sinistra a destra e tutti i personaggi sono abbigliati con eleganti e fastosi costumi alla moda borgognona.
Nel primo arazzo sopra un alabarda portata da un vecchio con turbante vi è la scritta Preamvs, fatto che ha condotto al riconoscimento della vicenda narrata nei due manufatti: si tratta di episodi tratti dal Romanzo di Troia, probabilmente l’arrivo in nave di Paride ed Elena a Troia, dove essi sono accolti dai genitori dell’eroe Priamo ed Ecuba (primo arazzo), e il banchetto organizzato per festeggiarli, come induce a pensare la presenza di quattro personaggi di rango regale - due più vecchi e due più giovani – presso la tavola raffigurata in alto a destra sul secondo arazzo.
Nulla sappiamo circa la committenza di questi due prestigiosi pezzi, che deve essere comunque stata di alto livello: sono stati sicuramente tessuti a Bruxelles, intorno al 1520, da un arazziere che è stato variamente identificato dagli specialisti, ora in Pieter de Pannemaker ora in Pieter Van Aelst. Anche il nome del “cartonista”, cioè di colui che ha fornito i disegni, rimane di problematica individuazione, anche se il nome speso più di frequente dagli studiosi è stato quello di Jan van Roome,  attivissimo pittore e disegnatore per arazzi, vetrate e sculture a Mechelen e a Bruxelles nei primi anni del Cinquecento.



GLI ARAZZI DELLA SERIE DI ENEA E DIDONE
Significativa pure la serie di otto arazzi con le Storie di Didone ed Enea, i quali raffigurano, con un linguaggio barocco di grande effetto decorativo, gli episodi salienti dalla tragica vicenda della regina cartaginese innamorata di Enea, estrapolati ovviamente dal I libro dell’Eneide di Virgilio.
Leggendo l’inventario dei beni lasciati dall’arazziere Michiel Wauters, morto ad Anversa il 26 agosto 1679, risulta che egli aveva tessuto quattro volte la storia di Didone ed Enea in otto pezzi e che solo una delle riproduzioni giaceva nella sua bottega di Anversa, mentre le altre erano state depositate per la vendita a Vienna, Roma e Lisbona.
Quella di Roma era nelle mani del mercante Antonio Verpennen ed è perciò plausibile pensare che sia proprio questa quella acquistata diversi anni più tardi dal cardinale Alberoni per ornare il proprio palazzo romano.

GLI ARAZZI DELLA SERIE DI ALESSANDRO MAGNO
Forse tessuti dall’arazziere di Bruxelles Jan Leyniers (1630-1686) sulla base di cartoni forniti da Jacob Jordaens (1593-1678), sono invece gli otto arazzi dell’ultima serie alberoniana, con la narrazione delle 'Storie di Alessandro Magno', tratte quasi sicuramente dal De rebus gestis Alexandri Magni di Quinto Curzio Rufo.   da collegioalberoni.it
Allessandro nel cuore della battaglia