lunedì 28 dicembre 2015

Gli affreschi della chiesa di San Pietro al Po in Cremona

Stupendi, ma poco valorizzati, sono gli splendidi affeschi della chiesa di san Pietro al Po in Cremona.
Siamo di fronte ad una superba decorazione che avvolge interamente tutto l'edificio sacro.
Le fastose decorazioni, realizzate tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, sono considerate – nel complesso – un notevole esempio unitario del tardo manierismo cremonese.
Nella volta, sulle navate scandite da altari, sui transetti, sul presbiterio e in sacrestia spiccano molti affreschi dei maggiori pittori dell’epoca.

Ecco alcuni degli affreschi più significativi (cliccando sull'immagine puoi ingradirla per cogliere meglio i particolari).

LA CADUTA di SIMON MAGO, affresco sulla volta superiore di Giorgio Lamberti



San PIETRO fuori porta, affresco di Giorgio Lamberti
La FLAGELLAZIONE dei S.S. PIETRO E PAOLO, affresco di Giorgio Lamberti


LA CROCIFISSIONE di S. PIETRO sulla volta absidale di Giorgio Picchi
Sguardo d'insieme di tutta la volta affrescata
LA CUPOLA con il GIUDIZIO UNIVERSALE
Per questa opera riguardante il Giudizio universale è opportuno prendere in considerazioni le parole dello studioso cremonese Marco Tanzi, da Vascellocr.it, che fa queste opportune osservazioni:
"Il Giudizio universale della cupola, invece, appare ora firmato da un inesistente Giorgio Lamberti nel 1607: nel 1603 però viene pagato per il lavoro Orazio Lamberti, mentre le guide locali inventano un Giorgio Lamberti "fiorentino" come autore di cupola e presbiterio. 

La confusione delle fonti settecentesche verso due cicli di pittori non cremonesi ha favorito l'abbinamento del nome dell'uno al cognome dell'altro. Se il 15 luglio 1603 c'è il saldo finale a Orazio, l'iscrizione "Georgius Lamberti 1607", illeggibile da terra perché nascosta dal cornicione, è il frutto sgrammaticato di una ridipintura più tarda, un po' come era successo alla firma di Boccaccino nell'abside del duomo: il restauro potrebbe restituire un più corretto "Horacius Lambertus MDCIII".
Orazio Lamberti da Cento è quindi l'Orazio ferrarese "dipintore in Asola" ricordato nella bottega di Bernardino Campi.
Il precedente più immediato del Giudizio universale è infatti la vorticosa Allegoria della Redenzione affrescata da Viani a stretto contatto di gomito con Orazio proprio nel Duomo di Mantova, insieme ad altre componenti centroitaliane articolate, ma non c'è ragione di riferire l'impresa di San Pietro ad Antonio Maria Viani. 
Il Giudizio è pagato a Lamberti, che lo firma, mentre Viani non ha nessun documento che lo colleghi al cantiere cremonese, direttamente o indirettamente. 
Inoltre i bellissimi disegni cechi a gesso rosso su carta azzurra preparatori per la cupola, non sono della stessa mano di quelli eseguiti da Viani, sempre a gesso rosso ma su carta bianca, per la cappella Petrozzani in Sant'Andrea a Mantova.
La cupola è a suo modo un capolavoro di invenzione e di realizzazione pittorica, ma è stata vista con una sorta di localistica insofferenza per i fatti artistici non strettamente cremonesi, un corpo estraneo alla nostra cultura figurativa alla stessa stregua di Giorgio Picchi. 
Questo spiega il sostanziale disinteresse o le citazioni occasionali per due cicli pittorici di straordinario interesse.
Bisogna tornare a guardare il Giudizio universale di Orazio Lamberti: la temperatura stilistica e la tenuta qualitativa dell'affresco rivelate dalle fotografie attendono ancora di essere pienamente valorizzate. 
Bisogna anche capire anche quanto Picchi abbia lasciato in eredità a Lamberti in queste invenzioni magiche e macabre: senz'altro la tavolozza smagliante e ricca di contrasti aridi e di cangianti raffinati di matrice baroccesca non deriva al centese solo dalla consentaneità e dalla frequentazione di Viani. 
Il problema più urgente e indifferibile, però, è lo stato di conservazione ammalorato e precario del murale, che merita più circostanziate premure cui faccia seguito uno sforzo di maggiore visibilità e un'adeguata illuminazione che evidenzi i pregi e le crudeltà di un capo d'opera del manierismo internazionale che Cremona ha troppo spesso trascurato."


mercoledì 2 dicembre 2015

Palazzo Mina Bolzesi a Cremona



Si tratta di un imponente edificio situato nel centro storico a poca distanza dalla Cattedrale.
Unico nel suo genere a Cremona in stile impero offre allo spettatore che proviene da via Beltrami il suo migliore prospetto.
Da via Platina, dove è situato, lo si ammira, gigantesco ed imperioso, nel suo insieme di lesene e colonne.
La facciata di Palazzo Mina Bolzesi è in tipico stile impero, chiara ed imponente nei suoi bassorilievi raffiguranti momenti di antiche glorie cremonesi, quali il giurista di età augustea Alfeno Varo, l’umanista cinquecentesco Lampridio e Gerolamo Vida che fu vescovo d’Alba.
Il timpano si conclude con le tre statue dei personaggi.
Esempio del neoclassico cremonese Palazzo Mina Bolzesi è proprietà del Seminario vescovile, lascito della famiglia Mina-Bolzesi.
La costruzione risale  al 1815, dopo la demolizione, in loco, del convento di Santa Marta.
Un grande stemma della famiglia Bolzesi imperia nel frontone, mentre l’interno del palazzo è arricchito con decorazioni del Manfredini, oltre a numerosi splendidi affreschi del Diotti.
Le preziose sculture, dipinti e arredi, tra le quali opere di Hayez, Ronzoni, sculture del Monti o del Canova, che hanno fatto di questo palazzo una vera e propria galleria d’arte contemporanea nell’Ottocento, sono andate disperse.

Rimane il grande valore storico ed architettonico che Palazzo Mina Bolzesi rappresenta, tappa quindi immancabile nell'itinerario dei palazzi cremonesi.  (da cremonacitta.it)









sabato 21 novembre 2015

Ubaldo Ferrari, figura significativa nella storia di Castelverde



Chi era Ubaldo Ferrari?
Un nome importante per Castelverde a cui è stato intitolato l'Istituto Comprensivo e una via del Paese.
Però sul sito dell'Istituto non appare nessuna notizia bibliografica di questo personaggio.
E' quindi importante conoscerlo meglio e mantenere vivo il suo ricordo.
"Sarebbe diventato una delle figure più significative della Resistenza e del dopo-Liberazione, se la morte non l'avesse colto a soli quarantadue anni, il 6 febbraio 1936.
Nato a Castelverde il 18 giugno 1893, da una famiglia di proprietari agricoltori distinta nella provata tradizione cattolica, cresciuto in una comunità che vide fiorire il miracolo della carità (O.P. SS. Redentore, di cui il padre Primo, era stato cofondatore insieme con Mons. Gardinali), laureato in giurisprudenza, con distacco meditato e sofferto si lancia nelle fierissime lotte per il riscatto delle classe più umili, nell'azione sindacale migliolina e nel Partito Popolare.
Passato con l'avvento del fascismo il tempo delle lotte, si dedica alla ricerca scientifica nel campo del diritto penale e processuale, arrivando alla cattedra universitaria.
Letterato, musicista, oratore e cattolico convinto è stato un precursore della presenza dei laici nella
Chiesa e nella società civile." Così lo ricorda, in maniera sintetica e chiara, don Ettore Fontana che fu pure parroco di Castelverde, negli anni sessanta, nel suo volume "Segnali e messaggi dal passato. Lineamenti di una storia del Movimento Cattolico Cremonese" del 1989.
Il discorso di Ennio Zelioli Lanzini, parlamentare cremonese, per l'inaugurazione della Scuola dedicata al nome di Ubaldo Ferrari nel 1967 a Castelverde lo delinea come un "cattolico a tutta prova".
"Un cattolico precursore anche nel mondo della giurisprudenza: uno dei più insidiosi per la retta coscienza di un discepolo del vangelo: "Sia il vostro parlare si, si; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt. 5,37). E' stata la regola aurea per questo straordinario protagonista dell'agone politico e forense, vissuto solo quarantadue anni...
La sua vasta cultura lo rendeva ammirato conversatore, letterato pianista, concertista finissimo, musico
e critico d'arte, sociologo..."



Nelle foto:
- il monumento a Ubaldo Ferrari al Cimitero di Castelverde con la scritta: Oratore, Giurista, Musico, Letterato e Cristiano Esemplare;
- la  lapide di famiglia di Ubaldo con la moglie Rachele  e i figli in ordine cronologico per data di morte.






sabato 7 novembre 2015

Chiesa di San Luca a Cremona

Particolarissima chiesa cremonese è una delle più antiche della città.
Risale infatti al 1100, anno in cui venne costruita una chiesa molto semplice, a capanna come si dice in gergo, secondo lo stile romanico.
Non è in realtà cambiata, ma viene solo abbellita dal protiro quattrocentesco che accoglie all’ingresso, elegantissimo con le sue colonne ed i leoni.


Cremona sfugge alla peste del ‘500 e rende grazie costruendo il piccolo tempietto ottagonale che occupa la parte sinistra della facciata.
Dedicato al Cristo risorto, realizzato in stile
rinascimentale da Bernardino de Lera nel 1503.
Funzionale, poiché protegge anche un preziosissimo affresco del cristo dipinto sulla facciata, e dunque oggi al riparo.
L'interno della chiesa pesantemente rifatto nel corso del seicento, subì nel 1881, quando subentrarono i padri Barnabiti, un radicale intervento di restauro che riportò la chiesa alla sua primitiva bellezza, spogliandola però delle numerose opere d'arte che l'arricchivano.
Della decorazione quattrocentesca rimangono due ambienti nell'attuale sacrestia: nella prima stanza sono affrescati sulla volta prinicpale i quattro evangelisti, nella seconda la leggenda dei tre vivi e dei tre morti sulla parete laterale, affreschi realizzati da Antonio de Ferrara nel 1419, di evidente stile tardo gotico.
Tesoro è la sagrestia, che conserva affreschi quattrocenteschi.

da turismo.cremona.it e lombardiadavedere.it

domenica 25 ottobre 2015

PALAZZO TRECCHI a Cremona



Un'altro palazzo di Cremona che merita attenzione è Palazzo Trecchi.

Edificato nel 1496 come dimora dei Marchesi Trecchi, il Palazzo ha attraversato metà del nostro millennio come un simbolo del prestigio e del potere consacrato all'ospitalità.
Fra queste mura, lontano dai disordini della grande città, nella quieta e ricca provincia hanno trovato ristoro grandi personaggi come Carlo V, Federico Gonzaga, Cristina di Danimarca, Massimiliano d'Austria, il Cardinale Medici, sono solo alcuni dei nomi che qui soggiornano nell'era d'oro del Rinascimento, trasformando il cuore di Cremona in una piccola ma raffinatissima corte.

A metà dell'800 i marchesi Trecchi decidono di rinnovare l'edificio; decorazioni neogotiche, eleganti colonne, preziosi soffitti arricchiscono questa straordinaria architettura che ancor oggi possiamo ammirare nelle sale disponibili al pubblico.
Acquistata nel 1875 una costruzione adiacente, Palazzo Trecchi si isola completamente, enfatizzando la sua grandiosità, circoscritto da quattro strade perimetrali.
Un'iscrizione nel cortile di Palazzo Trecchi ricorda il soggiorno di Giuseppe Garibaldi mentre altri documenti ci parlano della visita di re Vittorio Emanuele III, del principe Umberto di Piemonte e della Regina Elena in occasione della Mostra Na- zionale dell'Antiquariato Italiano.

L'11 aprile 1990 la proprietà è passata al dott. Guido Gradellini che ha dato inizio ad una serie di onerosi e lunghi lavori di restauro che hanno reso palazzo Trecchi la realtà moderna e dinami- ca, pulsante di attività sociali e culturali di ogni tipo: convegni, seminari e corsi di perfezionamento; manifestazioni culturali quali mostre, concerti e spettacoli; esposizioni e sfilate; ricevimenti e serate di gala.

Tutto ciò si è reso possibile grazie ad un intervento di recupero funzionale che, se da un lato ha prestato la massima attenzione al restauro accurato di tutto ciò che il tempo ha fatto pervenire sino a noi, dall'altro si è occupato di introdurre soluzioni tecnologiche che oggi consentono di svolgere al meglio tutte le funzioni cui l'edificio è destinato.

Oggi la struttura è in grado di accogliere diversi tipi di eventi come:

Meeting aziendali / Cerimonie / Private party / Aperitivi / Pranzi e cene da 10 a 300 persone.

Lo scenario è quello suggestivo e affascinante di una antica corte con archi a ogiva da cui si accede alle sale storiche che hanno mantenuto gli originari affreschi e i soffitti a cassettoni.
Il palazzo offre l’opportunità di scegliere tra le innumerevoli sale storiche, diverse tra loro per stile, colori, capienza, ed epoche storiche.
In particolare la Sala del Teatro e la Galleria delle armi costituiscono delle cornici uniche nel loro genere.
Per tutti quegli eventi che necessitano un ambiente elegante e dal sapore storico pur senza rinunciare ai confort e alle attrezzature più moderne,Palazzo Trecchi si propone come la cornice ideale.

da palazzotrecchi.it



lunedì 19 ottobre 2015

PALAZZO RAIMONDI a CREMONA

Un interessante edificio da conoscere a Cremona è PALAZZO RAIMONDI.
Situato in Corso Garibaldi, 178, lungo la classica passeggiata nel cuore del centro storico di Cremona, è ubicato nei pressi di Piazza Sant'Agata, dove si erge l'omonima Chiesa e Palazzo Cittanova.
Ospita la Facoltà di Musicologia e Paleografia Musicale (sede distaccata dell’Università degli Studi di Pavia) e la Scuola Internazionale di Liuteria.
Al suo interno è visitabile il piccolo Museo Organologico-Didattico, che espone strumenti antichi e diverse ricostruzioni. Costruito nell'ultimo decennio del Quattrocento è opera dell'architetto Bernardino de Lera, pare su su commissione di Eliseo Raimondi, noto ed apprezzato umanista.
Facilmente individuabile poiché si differenzia molto dai classici palazzi d'epoca della città, prevalentemente costruiti in cotto, Palazzo Raimondi si caratterizza dalla facciata di marmo bianco e rosa, rappresentando così un atipico esempio di edificio del Rinascimento cremonese.
Decorazioni in bugnato
Le decorazioni in bugnato che riprendono lo stile dei palazzi tosco emiliani si inseriscono in una facciata spartita di lesene binate che muovono l'orizzontalità della copertura marmorea bicromica.
Il fondale prospettico dipinto da Giovanni Motta nel 1780 è uno degli aspetti artistici e cromatici di maggiore spicco del cortile annesso, che offre un’illusione di ampliamento dello spazio, in gusto pre-romantico.

da cremonacitta.it

mercoledì 12 agosto 2015

SONCINO: la chiesa di SANTA MARIA DELLE GRAZIE

Giulio Campi, Decorazione Arco trionfale con la Madonna in gloria
La Chiesa di Santa Maria delle grazie è un prezioso gioiello cinquecentesco da scoprire nelle campagne cremonesi.
All'interno si possono ammirare gli affreschi di Giulio Campi e dei fratelli Scanzi che ornano pareti e volte, i fregi in terracotta ed i monumenti funebri della famiglia Stampa.
Nel  1536 in questa cornice Carlo V nominò feudatario Massimiliamo Stampa del marchesato di Soncino.
La splendida Santa Maria delle Grazie divenne ben presto la chiesa-pantheon della nobile e potente famiglia.

Ho trovato uno studio sintetico e interessante a firma di Mina Gregori sulla chiesa preso dalla pubblicazione del 1992 Associazione PRO LOCO - SONCINO a cura di De Santis e Merlo.


Localizziamo la chiesa Santa Maria delle Grazie. 
Sorge nella periferia di Soncino sull’antica strada per Cremona. 
Occorre spingersi a Crema, a Castelleone, a Martinengo per vedere ergersi nella pianura altri begli esempi del primo Rinascimento lombardo così gravemente falcidiato a Cremona. 
In Santa Maria delle Grazie come in questi edifici i confini tra arte cremonese e arte lombarda sono difficilmente definibili, le tendenze si mescolano e i pittori di varia provenienza si confrontano.
L’interno della chiesa soncinate, è dipinto a tutto campo e prefigura la spinta invasiva che portò ai grandi complessi decorati dai manieristi cremonesi. 

Gravi alterazioni non si sono verificate nel corso dei secoli, nonostante le vicende comuni a tanti edifici ecclesiastici, ma per immaginare quale doveva essere l’effetto d’insieme occorre avere presente anche la pala di Giulio Campi che si trovava sull’altar maggiore e che forse sarebbe possibile ottenere dalla Pinacoteca di Brera per reinserirla nella sua originaria cornice.
La prima fase della decorazione che dovette seguire senza soluzione di continuità alla costruzione della chiesa è stata in parte recuperata in tempi recenti con lo strappo di alcuni affreschi che risalgono alla fine degli anni venti del Cinquecento. 

Negli Evangelisti degli oculi nella volta del presbiterio Giulio Campi continua e aggiorna la visione illusionistica dei Santi carmelitani dipinti sulle pareti in finte nicchie ai primi del Cinquecento (che egli stesso provvederà a ricoprire) e stretta- menti collegati alle ricerche prospettiche milanesi del Butinone e dello Zenale. 
Gli elementi vegetali e i filatteri che si snodano sul fondo chiaro dell’intonaco attestano invece la diffusione nel territorio dell’elegante stile decorativo cremonese.
L’intervento di Giulio Campi nella pala e negli affreschi del presbiterio, dell’abside e dell’arco trionfale è un episodio importante nel suo percorso perchè segna il suo ingresso nella maniera moderna in una lunga serie di trasformazioni che documentano la varietà delle tendenze e delle situazioni di cui un giovane pittore di vivace temperamento poteva fare esperienza in Italia settentrionale alla fine degli anni venti del Cinquecento. 

Negli Evangelisti delle vele della volta del presbiterio è evidente la sua conversione all’illusionismo del Pordenone, mentre la vivacità degli atteggiamenti e dei gesti ha un’accentuazione grottesca, derivata dalla grafica nordica, che si ritrova anche negli Apostoli che assistono stupefatti e turbati all’Assunzione della Vergine dell’arcone trionfale. Quanto ai grandiosi Santi carine litani a mezza figura ambientati in nicchie, che sono stati strappati dalle parcti del presbiterio e sono oggi nel convento, la possibilità di studiarli da vicino permette di apprezzarne il fare «grande» pordenonesco e la velocità e la sprezzatura dell’esecuzione condotta sulla base di cartoni, come indica la presenza di incisioni. 
Queste qualità fanno collocare mentalmente il loro autore anche accanto al Romanino più libero e corsivo.
Nella tavola conservata a Brera e datata nel 1530 è sempre stato notato il raffaellismo di estrazione emiliana, ma mi chiedo se in occasione dei lavori soncinesi Giulio non abbia anche fatto esperienza nella vicina Lodi dell’attività dei Piazza, che, nella combinazione di sontuosità pittoriche e di regolato classicismo, appare un immediato antefatto degli orientamenti che caratterizzeranno d’ora in poi la pittura del cremonese. 

Tali rapporti dovettero continuare con scambi reciproci, evidenti nelle affinità di presentazione dei ritratti nella pala soncinese di Giulio, nell’AssunZio/le della Vergine che Callisto dipinse nel 1533 per la cappella Trivulzio della Collegiata di Codogno e nel quadro dipinto dal Campi per l’altare maggiore di San Sigismondo. 
Le fasi della svolta del Campi a Soncino - raffaellismo e «maniera» -  e le relazioni con Lodi ricevono altre utili chiarificazioni nel confronto con la contigua decorazione coeva della navata, dove sono all’opera, insieme agli aiuti, due principali personalità lombarde che, pur differenziandosi notevolmente, si inseriscono nella diffusione della cultura raffaellesca in Italia settentrionale che precedette l’affermarsi della «maniera» di ispirazione parmense e mantovana a cui Giulio sembra accostarsi per la prima volta nelle parti conclusive del suo intervento nella chiesa, gli Apostoli sottostanti all’Assunta del’arcone centrale (dove qualche erudito afferma di avere letto la stessa data 1530) e gli angeli reggicortina del tramezzo che ripetono in forma moderna un motivo mantegnesco.
Controfacciata, Giudizio Universale (Francesco Carminati da Lodi?)
Il pittore del Giudizio universale della retrofacciata, che il Marubbi ripropone di identificare, sulla traccia di notizie riportate dal Ceruti (1834), con Francesco Carminati alias Francesco Soncino, un artista di origine soncinese con aderenze milanesi e attivo lungamente e a più riprese a Lodi, declina il raffaellismo in modi che sembrano derivare non solo da Marcantonio Raimondi, ma da un’esperienza diretta della situazione bolognese, dove Innocenzo da Imola si stava affermando accanto ai seguaci del Francia.
Questo pittore è responsabile, anche se con l’esecuzione in parte di aiuti (il Marubbi ricorda accanto a Francesco la presenza documentata dal fratello Bernardino), dei tondi della volta della navata, dove si legge per due volte l’anno 1530, delle lunette con i Profeti e delle storie della cappella della Maddalena che mi sembrano corrispondere per la qualità molto elevata e i legami con la cultura milanese, evidenti nella Deposizione, alla fase conclusiva della sua presenza nella chiesa.
Quando questi lavorava all’altezza della volta e delle lunette anche Giulio Campi doveva trovarsi sugli stessi palchi per affrescare la parte alta dell’Assunta dell’arco trionfale. 

Qui si riconosce l’intervento come aiuto del pittore del Giudizio universale, alias Francesco Soncino, che usa i cartoni del cremonese negli angeli musi- canti ai lati della Vergine. 
Se qualche tratto in comune si nota nell’acre grafismo manifestato anche da Giulio nella parte sottostante, firmata, dell’arcone centrale, è opportuno sottolineare la dimensione più grandiosa e moderna, derivata dal Pordenone, dell’affresco del Campi nei confronti delle decorazioni riferibili al Soncino e ai suoi aiuti e all’altra bottega attiva nella chiesa.
Per una vasta estensione opera infatti in Santa Maria delle Grazie una seconda maestranza guidata da un pittore che sembra debba identificarsi col soncinate Francesco Scanzi, al quale, secondo il referto del Ceruti (1834) rammentato dal Marubbi, fu affidata nel 1528 insieme ai fratelli Andrea e Ermete, e per conto di Francesco Il Sforza la decorazione delle cappelle. 

In questi affreschi, sebbene diminuiti da sbalzi di qualità che si spiegano con la diversa levatura dei pittori che vi collaborarono, la copiosità delle invenzioni - derivate direttamente e con disinvoltura provinciale anche da incisioni e da prototipi illustri --  la spazialità aperta e aprospettica, e le luci irrequiete dei saporiti e animati racconti vanno lette come un’altra manifestazione del classicismo eccentrico, che qui accorda Gerolamo da Carpi col Lorenzo Lotto del periodo bergamasco e con le varianti cremonesi di Altobello Melone e di Gian Francesco Bembo.                                             
Mina Gregori
all'anagrafe Guglielma (Cremona, 7 marzo 1924) è una storica dell'arte italiana, accademia dei Lincei (classe di Scienze morali), professoressa emerita di Storia dell'Arte moderna presso l'Università di Firenze.

domenica 9 agosto 2015

Il Vescovo Omobono Offredi e il suo sogno di grandezza

Sin dal Medioevo, quando il Comune di Cremona esercitava il suo  non trascurabile potere lungo le rive del Po, il Vescovo della città — e cioè una delle massime autorità locali, non solo religiose ma anche politiche - ebbe un suo palazzo, una sua sede situata nelle immediate adiacenze della Cattedrale.
Il primo edificio destinato all'episcopio, sarebbe stato eretto sotto il vescovo Oberto nel 1140, l'avrebbe modificato ed ampliato Giovanni Bono Geroldi nel 1256, sarebbe tornato ad occuparsene Cesare Speciani dal 1592 al 1599, vi avrebbe apportato ulteriori e sostanziali miglioramenti il vescovo Alessandro Litta tra il 1728 ed il 1736, ma tutte queste opere non furono sufficienti a conferire alla dimora quell'imponenza e quel decoro che la sua funzione esigeva. 

Fu sul finire del secolo XVIII che un vescovo, cremonese, Omobono Offredi — cavaliere di seconda classe" dell'Ordine della Corona di Ferro — concepì l'ambizioso e dispendioso disegno (42.000 zecchini dei suoi tempi!) di dotare la città d'una degna sede episcopale, d'un palazzo che — nelle intenzioni del mecenate — si sarebbe dovuto estendere sin all'attuale via Sicardo, includendo anche tutti gli edifici che dall'angolo di detta via giungono sino al... manico di piazza Padella. 
E così sontuoso prospetto assumeva nella mente del vescovo importanza tanto grande da suggerirgli un'idea che a lungo tenzonò nel suo capo, anche se poi intervennero provvidenziali ostacoli (forse dettati da celeste ispirazione) a renderne impossibile l'attuazione: 
doversi, cioè, abbattere l'ingombrante Battistero, per meglio valorizzare la gran fronte dell'episcopio. Delle case, d'angolo si opposero alla cessione e l'Offredi dovette diversamente orientare i suoi sogni di grandezza...

 Da un articolo della Provincia, quotidiano cremonese, del 18 dicembre 1954.
 http://www.laprovinciacr.it/news/nella-storia/72881/Un-vescovo-voleva-demolire-il-battistero.html

lunedì 3 agosto 2015

Il Vescovo Maurizio Galli, la semplicità disarmante di un "povero cristiano"...

Ricordare mons. Maurizio Galli significa ripensare ad un uomo coerente che ha vissuto lo spirito evangelico con grande autenticità.
Una persona rigorosa, sobria  e in una costante ricerca di verità senza contraffazioni, ma, nello stesso tempo, sempre gioviale e sorridente.
Maurizio Galli è stato un grande testimone di un cristianesimo fondato su una vera umanità, di cui anch'io, avendolo conosciuto e apprezzato, posso attestare la genuina trasparenza.
Nato nel 1936 a Soresina è diventato sacerdote, a Cremona, nel 1961.
Dopo esser stato a lungo Rettore del Seminario, è stato ordinato Vescovo il 2 maggio del ’98 e ha preso possesso della Diocesi di Fidenza, a lui affidata, il 7 giugno successivo.
Il 30 giugno 2007 le condizioni di salute lo indussero a rinunciare all’incarico.
Si è ritirato a Cremona, presso Villa Flaminia.
Sottopostosi nel novembre seguente a Milano a una delicata operazione chirurgica per l'asportazione di una neoplasia al cervello, è morto, all'età di 71 anni, presso la Casa di Cura "Ancelle della Carità" di Cremona alle 8.15 del 1º giugno 2008.

La gente tende a seguire non tanto chi parla di Dio, quanto piuttosto chi vive di Dio. E’ come se inseguisse, con fiuto infallibile, la testimonianza di chi rende evidente che Dio esiste. Qui Dio esiste non perché è dimostrabile, ma perché è visibile nella persona, nei suoi atti, nei suoi gesti, nelle sue parole, nelle sue scelte. Vi è un’eloquenza rivelativa della persona che non ha bisogno di clamore perché si fa trasparenza da se stessa.
A me pare che nel Vescovo Maurizio, colto e fine ragionatore, si potesse cogliere non tanto la sua cultura teologica, la sua dignità magisteriale o la retorica del bene, tanto cara in certi stili e ambienti ecclesiastici, ma la semplicità disarmante di un “povero cristiano”, trovatosi ad essere Vescovo, suo malgrado...
Vorrei alla fine portare la mia testimonianza e confidarvi che la figura di questo vescovo cremonese mi affascina e mi inquieta per la ragione che sembra quasi appartenere a quella categoria di cristiani rocciosi e determinati, sapienti e lungimiranti, che sanno vivere la dimensione eterna del vangelo nel tempo terreno con una esemplarità unica.

Così lo ha ricordato Mons. Carlo Mazza, suo successore a Fidenza, il 21 novembre 2012 a Cremona nella chiesa di S. Michele.


giovedì 23 luglio 2015

Gli insediamenti rurali di età romana nel Cremonese - uno studio di Gianluca Mete


Nel corso degli scavi del metandotto, realizzato da Snam tra Cremona e Sergnano, sono state individuate diverse evidenze ascrivibili all’età romana.
Anche se, come vedremo, si tratta di ritrovamenti di natura e funzione diversa, la totalità dei dati è relativa direttamente o indirettamente ad aspetti insediativi, che ampliano un quadro sino ad oggi ancora eccessivamente ridotto per la provincia cremonese e contribuiscono alla comprensione del contesto rurale in Cisalpina[1] .
Il popolamento romano della pianura rientrava in un grande quadro insediativo, un progetto di ampio respiro che prevedeva la costruzione di infrastrutture stradali, il potenziamento dei percorsi preesistenti e la grande opera di assetto e bonifica agraria nota come centuriazione [2] .
La fondazione delle colonie di Cremona e Placentia, oltre che legata a dinamiche politico-militari, rappresentava la volontà di creare un avamposto settentrionale, in un territorio che aveva grandi risorse economiche e agricole per finanziare l’apparato statale e, come nel caso di Cremona dopo la battaglia di Filippi, liquidare la richiesta di terre da parte dei veterani [3].
In un contesto così complesso si andavano a inserire gli insediamenti rurali, non solo nella naturale ottica dello sfruttamento agricolo, ma anche, del controllo territoriale, in un quadro ancora complesso e precario agli inizi del II secolo a.C., soprattutto dal punto di vista dei rapporti politici e sociali tra Roma e le popolazioni indigene. Soltanto a partire dal I secolo a.C., con il definitivo e stabile controllo romano sul territorio, possiamo pertanto immaginare una diffusione ampia e capillare degli insediamenti rurali.
In maniera preliminare va sottolineato come gli attuali confini della provincia cremonese non corrispondano esclusivamente a quelli dell’antico ager cremonensis, diviso e assegnato a partire dalla fine del III secolo a.C., ma comprendano anche parte del territorio riconducibile all’ager bergomensis, centuriato verosimilmente molto più tardi, come per la vicina Laus Pompeia [4] , a partire dal 89 a.C., in seguito all’azione della lex Pompeia de Transpadanis [5] .
Tale premessa è indispensabile nella comprensione di un contesto rurale complesso, non solo nelle sue definizioni cronologiche, ma anche spaziali.
I lavori hanno così permesso di leggere in maniera più ampia i caratteri del popolamento in età romana, dal momento che sono stati diversi i siti individuati e attribuibili distintamente ai territori dei due centri antichi.
Nella fascia settentrionale, quella di pertinenza bergomensis, si registra il rinvenimento della villa di Sergnano, di resti di insediamenti e strade nell’area compresa tra Romanengo e a N di Genivolta e Soresina. Nel settore centro-meridionale, quello dell’ager cremonensis, oltre ad alcuni resti insediativi tra Casalbuttano e Soresina, di notevole interesse sono l’area di Olmeneta, con quattro siti, e la villa di Pozzaglio.
La documentazione archeologica
Nella fase più antica, nel II e agli inizi del I secolo a.C., le testimonianze sono piuttosto rarefatte e limitate. A Pozzaglio loc. Solarolo del Persico, sul futuro sito di una villa, si hanno le prime tracce, non a carattere edilizio, a partire dalla fine del II secolo a.C., come emerge dai dati relativi al materiale ceramico presente negli strati più antichi. Al medesimo periodo sono riconducibili le notizie di frequentazioni, anche in questo caso desunte esclusivamente dal materiale ceramico senza contesti edilizi, di Olmeneta (Sito 32), Corte de’ Cortesi (Sito 41), Casalbuttano (Sito 38). È quindi possibile che in questa fase, non essendo il territorio ancora pienamente sotto controllo, l’insediamento fosse non solo rarefatto, ma concentrato in aree più sicure, magari gravitanti attorno alla città e, come nel nostro caso, lungo il settore orientale, comunque in area con presenza cenomane e quindi fedele a Roma, a partire dalla vittoria romana di Gaio Cornelio Cetego.
Nella maggior parte degli impianti individuati tuttavia sembra intensificarsi la frequentazione nel I secolo a.C., forse successivamente al nuovo riassetto della centuriazione di età triumvirale, che dovette provocare significativi cambiamenti dal punto di vista della densità distributiva e delle sorti delle proprietà preesistenti.
I dati si fanno più cospicui a partire dal I sec. d.C. e, nel nostro caso, emergono tre grandi impianti: Pozzaglio (Sito 50), Olmeneta (sito 33) e Sergnano (Sito 22) [6] .
I tre siti pur non essendo, come vedremo, gli unici portati alla luce, si rivelano di maggior interesse in primis per la superficie individuata e, poi, per la tipologia delle evidenze che permette di cogliere una più articolata distribuzione planimetrica.
Tav.1 Pianta del sito di Pozzaglio
A Pozzaglio (Sito 50), pochi metri a E dalla via Brescia, che ricalca in parte l’antico percorso romano, cardine della centuriazione cremonese, è stato individuato un complesso piuttosto articolato (tav. 1). Il sito si sviluppava in due nuclei contigui, uno a N, con la presenza di un’area destinata ad attività di servizio e uno a S, nel quale è stato individuato un edificio.
Il limite N delle strutture è rappresentato da un canale di scolo che doveva servire allo smaltimento degli scarichi dell’edificio.
Immediatamente a S del canale si sviluppa un ambiente le cui caratteristiche fanno pensare a un lungo corridoio di collegamento tra i vani, con un probabile accesso a S e l’andamento di alcune fondazioni suggerisce la prosecuzione dell’edificio verso O.
Lungo il fronte meridionale sono stati individuati un pozzo e alcuni pilastri.
Si delinea così un’area centrale aperta e porticata.
Nel corso degli anni il primigenio impianto venne implementato con la costruzione di nuove strutture che si aggiunsero alla porzione meridionale dell’edificio, rimodulando l’area porticata e i vani collegati al corridoio.
Il nucleo a N della villa costituiva parte del lotto appartenente alla proprietà, destinato all’ambito agricolo e produttivo.
Alcuni canali regolavano il flusso delle acque per le esigenze agricole, mentre una serie di buche di palo costituiva probabilmente l’anima di strutture in legno, utilizzate come ambienti produttivi, rimesse o ricovero per gli animali.
Erano poi presenti un pozzo e i resti di una strada interpoderale.
Nel corso degli anni l’area subì alcune modifiche inerenti il sistema di canalizzazione e comparvero alcune buche, forse per cavare argilla per le costruzioni e ricavarne al contempo spazi per scarico dei rifiuti.
Il sito di Olmeneta (Sito 33) (tav. 2) è stato individuato a NE dell’attuale abitato.
Venne edificato su un dosso fluviale dell’Oglio, quindi in una porzione relativamente vicina al fiume e ai vantaggi che ne derivavano, ma comunque al riparo dal rischio idrico degli allagamenti. Inoltre, la scelta, come per la villa di Pozzaglio, venne dettata probabilmente dalla vicinanza dell’antica via Brescia7 , poco distante.
Il primo sfruttamento dell’area, databile al I secolo a.C. è relativo alla presenza di strutture in legno, come si evince da numerose buche di palo.
Non è possibile stabilire una planimetria o una destinazione funzionale precise, in quanto tale tipo di strutture poteva avere sia carattere residenziale, seppure modesto [8] , sia produttivo o funzionale alle attività agricole (magazzini, stalle et cetera)[ 9] .
Sono state inoltre ritrovate due tracce riconducibili ad aratura, ma la loro posizione ed esiguità lascia alcuni dubbi circa la reale funzione.
Agli inizi del I secolo d.C. si assistette a una rimodulazione generale: furono rimosse le costruzioni di legno dell’area centrale per far spazio a un nucleo in muratura e l’area edificata, sebbene labile, si distribuì notevolmente in maniera eterogenea. Una serie di strutture murarie definiva, nell’area centrale, due vani di modesta grandezza.
Questi facevano parte di un edificio più articolato, ma non è chiaro se residenziale o di servizio.
 All’esterno, a N, erano inoltre presenti due fosse di fusione del ferro, per attività artigianali (fig. 1).
Nel settore meridionale e occidentale invece, erano presenti lacerti murari, pilastri e buche di palo, tra cui alcune che delineavano una struttura rettangolare per contenere attrezzi o derrate.
Dal punto di vista distributivo di un certo rilievo appare la fondazione individuata a N, da mettere in relazione con un edificio più imponente, di cui non si hanno però ulteriori tracce, perché oltre il limite occidentale dello scavo. Va sottolineato tuttavia come la presenza di canalizzazioni di scolo in nuda terra poco distanti potesse rappresentare un limite di proprietà o di destinazione d’uso con le costruzioni individuate a S. È probabile infatti, che le strutture meridionali fossero di servizio alla pars rustica di un complesso ampio e plurinucleato, la cui separazione era sovente prescritta anche per scongiurare rischi di incendio dell’intero complesso [10]. L’edificio di Sergnano (Sito 22) (tav. 3) sorgeva, nella prima metà del I secolo d.C., poco a O del Serio, al riparo dalla valle del fiume, che, come ancora oggi visibile dai numerosi resti di meandri antichi, aveva un percorso tortuoso e instabile.
 Le evidenze ritrovate, nonostante l’esigua area di scavo [11], suggeriscono un impianto di grandi dimensioni che usufruiva di una superficie estesa.
Tav.2 Pianta del sito di Olmeneta
Il limes settentrionale dell’edificio era costituito da un canale, che creava un divario netto tra la superficie edificata, quella a S, e quella destinata probabilmente alla coltivazione. Dell’edificio è stata individuata una serie di vani, con una certa articolazione spaziale (figg. 2-3).
Fig. 1 La fossa per la fusione del metallo
Definiscono una distribuzione ad L e tale perimetro è assecondato dall’andamento di un piccolo canale, da mettere in relazione con il punto di caduta della copertura, come scolo pluviale.
 Il fronte meridionale si affacciava su un portico scandito da una serie di pilastri.
Dei tre pilastri individuati, quello cen- 41 trale aveva dimensioni più modeste e appariva leggermente disassato, forse in conseguenza di un suo inserimento posticcio per rinforzare il sostegno del portico.
 In aderenza a uno dei pilastri è stata rinvenuta parte di un’anfora infissa nel suolo, al cui interno era presente un’olla con coperchio, con funzione attribuibile a un rito di fondazione.
Poco a S del portico una serie di strutture murarie, frutto di un’aggiunta posteriore, sono riconducibili alla presenza di elementi per le attività di servizio.
A S dell’edificio era presente uno sviluppato sistema idraulico di servizio per il complesso. Oltre alla posa di due pozzi venne costruita una vasca rettangolare.
Tav. 3 Pianta del sito di Sergnano
Dalla vasca, che tagliava un canale E-O preesistente, ma forse in parte ancora in uso, si dipartiva ad O un altro canale che proseguiva in direzione dell’edificio e il rinvenimento di elementi di fistula plumbea si ricollega alla presenza di una tubatura.
La vasca costituiva quindi una cisterna di raccolta dell’acqua piovana, tra cui quella proveniente dalla copertura dell’edificio, convogliata nei canali.
Ad un certo momento, tra l’edificio e l’impianto di smistamento delle acque, si inserì una strada interpoderale, disorientata rispetto al complesso, che doveva servire per gli spostamenti interni dei mezzi.
Oltre ai tre grandi nuclei sopra descritti, è stato individuato un buon numero di siti coevi, riconducibili a resti insediativi. La loro descrizione risulta limitata in quanto spesso si tratta di siti appena intercettati dai lavori di posa del metanodotto e quindi non indagati su una superficie estesa.
Si tratta comunque di strutture assimilabili ad aree di servizio o ambiti residenziali di fattorie e ville [12]. Seppur limitati e di non facile lettura essi contribuiscono comunque a completare il quadro generale al riguardo.
L’analisi integrata di tutte le evidenze insediative infatti, permette di presentare diverse osservazioni.
Il primo elemento che emerge è legato all’adattamento di questi siti al territorio naturale.
Dal punto di vista geomorfologico la rete dei lavori ha coinvolto numerose unità, come il livello fondamentale della pianura, dossi e paleomeandri, in una porzione di territorio solcata da importanti corsi d’acqua, come l’Oglio e il Serio[13].
Un assetto quindi abbastanza eterogeneo e complesso, che ha influenzato le scelte insediative sin dall’antichità, soprattutto da parte dei Romani, i quali ben sapevano cogliere le potenzialità e i caratteri di un territorio [14].
La totalità dei siti individuati occupa infatti, aree geomorfologicamente felici per l’insediamento.
Fig. 2 Particolare delle fondazioni di un ambiente dell'edificio di Sergnano
Un caso degno di nota è rappresentato dai numerosi insediamenti rinvenuti tra Olmeneta e Corte de’ Cortesi.
Oltre al Sito 33 infatti, sono stati individuati nuclei molto vicini, tutti impostati sul medesimo dosso fluviale prospiciente l’Oglio [15], indice di un’attenta lettura, ai fini insediativi, del paesaggio naturale.
Le scelte insediative, adattandosi necessariamente al territorio naturale, sottintendono inoltre esigenze di comodità ai collegamenti con le infrastrutture, come dimostra la vicinanza di molti siti alla via Brescia.
Dal punto di vista costruttivo per i tre nuclei di Pozzaglio, Olmeneta e Sergnano la maggior parte delle evidenze è relativa a resti murari, con utilizzo di materiale laterizio e, ma solo nel caso della vicinanza ai bacini di approvvigionamento come a Sergnano, lapideo.
Fig. 3 Panoramica di alcuni amienti della villa di sernano in corso di scavo
Per gli altri siti vi è predominanza di strutture lignee, mentre più limitata, non solo per la destinazione funzionale probabile, ma anche perché in alcuni casi non individuata, appare la presenza di strutture in laterizio.
In questi ultimi casi si trattava probabilmente di resti di fattorie o di aree di servizio collegate ad impianti di grande dimensione.
Va infatti tenuto conto che per ragioni evidenti spesso le proprietà erano plurinucleate, con la conseguenza che, alla luce della lacunosità dei resti e dell’esiguità delle superfici indagate, l’attribuzione funzionale certa diventa rischiosa e fuorviante nell’ambito della lettura distributiva del popolamento [16].
Inoltre, non possiamo escludere la possibilità che alcuni insediamenti potessero appartenere ad agglomerati di edifici, alla stregua di villaggio, come i vici [17].
 Per quanto concerne considerazioni di carattere planimetrico sono ancora i tre siti principali a fornire maggiori spunti.
L’impianto di Sergnano, si presenta con una di stribuzione tale per cui la presenza di aree cortilizie e del portico lasciano ipotizzare una struttura a sviluppo lineare, o, tenendo conto che le due tipologie non hanno una differenziazione così netta [18], più probabilmente ad “U”, organizzata intorno ad un’area scoperta.
Questa articolazione prevede quindi uno sviluppo su tre lati, aperti su un’area di cortile, generalmente verso S, secondo uno schema classico molto diffuso per l’edilizia rurale, che trova confronto in un buon numero di edifici censiti nella Venetia e in Aemilia [19].
I medesimi caratteri sembra presentare la villa di Pozzaglio: un’area porticata su due fronti ed esposizione a mezzogiorno. In entrambi i casi l’esposizione a S, rientra appieno nelle raccomandazioni degli antichi agronomi [20]
In generale però, per tutti i siti individuati, si rivela ardua, se non impossibile, una definizione spaziale e funzionale completa tale da permettere di individuare con assoluta certezza una pars dominica e una pars rustica.
Ciò è dovuto non solo alla esiguità delle aree indagate, ma anche allo stato di conservazione delle strutture, tutte in fondazione, tale per cui non sono più presenti i piani pavimentali e le suddivisioni interne dei vani. Tuttavia, per quanto riguarda gli impianti con distribuzione a “U”, nello specifico Pozzaglio e Sergnano, alcuni confronti e alcune considerazioni legate all’esposizione ottimale, permettono di ipotizzare una dislocazione tra pars dominica nel settore occidentale e nord occidentale e pars rustica nella restante parte dei complessi [21].
Il sito di Olmeneta invece, con la presenza di nuclei distinti, non è di facile interpretazione planimetrica. Le strutture infatti, non sembrano avere carattere residenziale, ma funzionali alle attività agricole, quindi appare rischioso definirne i caratteri secondo categorie precise, anche se è possibile assimilarle alla definizione di “schema centrifugo” [22], cioè in cui diversi nuclei della medesima proprietà non si concentrano attorno ad un’area chiusa.
Per quanto concerne i sistemi idraulici, se si esclude il caso di Sergnano, i dati sono pressoché nulli o limitati ad aspetti più generali di gestione delle acque.
La labilità dei resti infatti non ha permesso di rinvenire condutture di scolo o di approvvigionamento, che pur in alcuni casi dovevano esserci, ma una serie di pozzi e di canali in nuda terra che talvolta fungono anche da perimetrazione o limes dei complessi, come per i già citati siti di Sergnano, Olmeneta e Pozzaglio; mentre altre volte i canali si rivelano funzionali alle attività agricole e irrigue, interagendo nella sintassi degli insediamenti ma facendo parte del più ampio sistema di bonifica e assetto agrario centuriale.
A tal proposito si rivela come l’assetto centuriale abbia chiaramente influenzato l’orientamento della maggior parte dei siti, che risultano coerenti ai due assetti presenti sul territorio.
Per Sergnano è evidente come l’orientamento del complesso corrisponda a quello dell’ager bergomensis e come l’edificio andasse a inserirsi probabilmente sul lato meridionale della centuria. Ugualmente, per l’ager cremonensis, gli edifici, tra cui Pozzaglio, risultano coerenti all’assetto centuriale.
Diversamente si delinea l’insediamento di Olmeneta, il cui orientamento generale non corrisponde a quello dei campi centuriati forse, proprio per la sua vocazione artigianale, non soggetto a uno schema di orientazione rigido, o per altri fattori.
Si può pensare infatti, che l’area fosse attraversata da una strada o da un canale preesistente con un andamento obliquo e che la fattoria si sia organizzata su questo asse, orientata quindi non con la centuriazione ma con un’infrastruttura interna alla centuria che non conosciamo.
Improbabile, per la presenza di alcuni allineamenti ancora visibili, si rivela invece la possibilità di essere in un’area non centuriata, anche se sappiamo che la vicinanza al fiume (in questo caso l’Oglio) come ad altri elementi naturali di impedimento, in fase di limitatio, dissuadeva dal prolungamento degli assi di divisione agraria23.
Per quanto riguarda la cronologia, tutti questi siti non sembrano proseguire oltre il IV-V secolo d.C., in cui si registrano gli abbandoni definitivi, eccetto il sito di Pozzaglio.
Degna di nota infine, oltre che ad alcune necropoli [24] e ai numerosi canali e opere di assetto agrario riconducibili alla centuriazione, è la presenza di tratti stradali antichi individuati [25].
Costituiti da laterizi frammentari pressati nel suolo, similmente alle strade che oggi i contadini utilizzano tra i campi per gli spostamenti dei mezzi, coincidono in massima parte con gli assi della centuriazione e testimoniano, oltre all’attività agricola intensa, l’esigenza di collegamenti interpoderali e con gli assi stradali più importanti.

Gianluca Mete

Dal testo Archelogia preventiva e valorizzazione del territorio
"PROGRESSO E PASSATO".
Nuovi dati sul Cremonese in età antica dagli scavi del metanodotto Snam Cremona-Sergnano
a cura di Nicoletta Cecchini (edizioni ET)



 NOTE

(1) PASSI PITCHER 2003, pp. 211-219; BENEDETTI 2012, pp. 242- 247. (2) In generale: Misurare la terra 1983. Sulla centuriazione cremonese: TOZZI 1972, pp. 7-51; TOZZI 2003a, pp. 110-122. (3) TOZZI 2003b, p. 240 (4) Per l’ager bergomensis: TOZZI 1972, pp. 73-95; CANTARELLI 1992, pp. 188-189. Per l’ager laudensis: TOZZI, HARARI 1987, pp. 41-48; METE 2011, pp. 9-23. (5) LURASCHI 1979; cfr. BONARDI supra. (6) Pozzaglio località Solarolo del Persico; Olmeneta area fienile Zucchelli; Sergnano area cascina Valdroghe. 39 Gianluca Mete, Giordana Ridolfi G
 (7) TOZZI 2003b, p. 248. (8) Varrone, De Re Rustica II, 10. (9) Columella, De Re Rustica, 12, 15. (10) Vitruvio, De architectura, VI, 6, 5: Horrea, fenilia, farraria, pistrina extra villam facienda videntur, ut ab ignis periculo sint villae tutiores (è opportuno situare i granai, i fienili, i magazzini per il farro, i forni, all’esterno della villa per evitare il pericolo d’incendi). (11) Va sottolineato come il sito, indagato parzialmente nel 2010, sia attualmente oggetto di indagini che potranno integrare i dati e chiarire in futuro uno sviluppo pressoché completo dell’edificio.
  (12) Romanengo (18), Olmeneta (32, 45, 63), Casalbuttano (38), Azzanello (4), Corte de’Cortesi (41), Bordolano (65), Robecco D’Oglio (55), Cremona (58). (13) PELLEGRINI 2003, pp. 19-34. (14) DALL’AGLIO 1996, pp. 59-68. (15) MARCHETTI 1992.
 (16) Diverse sono le problematiche legate al popolamento di età romana, soprattutto per la Pianura Padana. Alle difficoltà di attribuzione funzionale delle evidenze (ville, fattorie, aree plurinucleate, ecc.) si aggiunge la mancata corrispondenza dal punto di vista distributivo tra i lotti agricoli e le strutture individuate o individuabili (missing sites). Per un quadro generale sulla problema tica, anche se preannibalica e su altra area geografica: PELGROM 2008, pp. 333-372. Per Cremona un calcolo generale viene fornito da TOZZI 2003a, pp. 122-123. (17) Per un’analisi completa dal punto di vista terminologico e giuridico: CAPOGROSSI COLOGNESI 2002, pp. 5-47
 (18) Fa notare giustamente Gros: ”Il va de soi d’ailleurs que la coupure entre les deux grands types s’avere dans bien des cas moins nette qu’on ne le croit: nombreuses sont les villas à développement linéare qui, par l’adjionction d’ailes laterale délimitant une coeur intérieure”; GROS 2006, pp. 265-349, in particolare p. 325, con numerosi esempi dalle provincie occidentali. (19) Per la Venetia et Histria si vedano i numerosi edifici proposti in: BUSANA 2001, pp 507-538; DE FRANCESCHINI 1999, pp. 189- 191; DE FRANCESCHINI 1999, pp. 175-177; BUSANA 1999, pp. 223-239; BUSANA 2002. Aemilia: ORTALLI 1994, pp. 169-222; SCAGLIARINI CORLAITA 1989, pp. 11-36. Lazio: MUSCO, ZACCAGNI 1985, pp. 90-106. (20) Columella, De Re Rustica 1, 5.; Catone, De Agricultura, 1, 3: Si poteris […] in meridiem spectet (Quando possibile… che guardi a sud).
 (21) BUSANA 2001, p. 524. (22) ORTALLI 1994, pp. 176-184. (23) REGOLI 1983, pp. 98-100; DALL’AGLIO 2009, pp. 279-297.