giovedì 19 febbraio 2015

Sabbioneta, da scoprire...

Piazza Ducale
Nei dintorni di Cremona, però in provincia di Mantova, esiste una cittadina ricca di arte e di storia da conoscere!
Sabbioneta è una cittadina ispirata e fondata da Vespasiano Gonzaga che, a partire dal 1533, la fece diventare un centro di cultura con l'intento di ricreare i fasti dell'antica Roma.
Polo vitale di artisti e intellettuali, città multietnica con l'estensione al popolo della cultura e dell'istruzione CONTINUA









Il Teatro




La Galleria







mercoledì 11 febbraio 2015

Dov'è l'originale Vittoria Alata di Calvatone?

Rimane ancora un mistero dove sia la vera Vittoria Alata.
Così ne narra le sue vicende il sito della proloco di Calvatone dove si descrive la scoperta di questo reperto nel 1836, quando vengono recuperati dei frammenti di una statua in bronzo raffigurante una Vittoria che si posa su un globo (divenuta poi celebre come la "Vittoria di Calvatone"), la cui iscrizione - Victoriae Avg. Antonini et Veri M. Satrius Maior -, con dedica agli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero, permette una datazione tra il 161 e il 169 d.C.
La sua storia è decisamente travagliata: viene acquistata dai Musei di Berlino nel 1841, restaurata e ampiamente integrata nelle parti mancanti e scompare durante gli avvenimenti che segnano la città tedesca alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Non si sa con certezza dove sia finita l'originale, tuttavia ne esistono tre copie, una è conservata al Museo di Cremona, una al Museo della Civiltà Romana di Roma e una al Museo Puskin di Mosca.
A queste se ne aggiunge una quarta, commissionata dal Comune di Calvatone ed esposta nel Municipio della cittadina. 
Non è improbabile che la copia in Russia possa essere l'originale, trafugata da Berlino dall'Armata Rossa, ma ne mancano, fino ad oggi, prove irrefutabili.
Significativo a questo proposito è il richiamo dello scultore cremonese Mario Coppetti che ho trovato sul oglioponews.it del 7 marzo 2014.
“C’è una scultura scoperta a Calvatone, indubbiamente molto bella. Ce n’è una copia esposta al museo Pushkin di Mosca. Perchè tenere nascosta quella che abbiamo noi? Io vorrei che questa scultura venisse valorizzata e i cremonesi avessero l’orgoglio di esporre davanti a tutto il mondo almeno la medesima copia che c’è a Mosca”. 
E’ questo l’appello che il maestro scultore Mario Coppetti lancia ad autorità e mondo culturale, di Cremona e non solo, perché la scultura in questione, la Vittoria Alata di Calvatone, possa essere esposta e valorizzata come merita.
“Dal 1937 – lamenta Coppetti – la copia della Vittoria Alata donata dal governo tedesco alla città di Cremona non è più visibile al pubblico. E’ sempre stata tenuta nei magazzini, esposta una volta, credo, ma per pochi giorni. E’ un pezzo di scultura antica che bisogna valorizzare”. 
Originale, o no, resta il fatto che esporre e valorizzare la copia cremonese potrebbe contribuire a richiamare su Cremona l’attenzione di appassionati e studiosi di tutto il mondo e aggiungere così lustro alla storia e alla cultura della città.
Anche Fabrizio Loffi nel suo Blog "cremona misteriosa" affronta questa intricata storia con un post interessante.
Il mistero si è riproposto a dieci anni di distanza dall’ultima comparsa della preziosa statua bronzea ritrovata negli scavi di Calvatone, quando, richiesta dall’Apic in vista dell’organizzazione della mostra sulla Postumia in Santa Maria della Pietà, ne venne rifiutato senza motivo il prestito.

martedì 3 febbraio 2015

Agostino Mondini, parroco di Castagnino, uno degli intransigenti cremonesi

Sempre legata alla Storia di Castelverde, una delle figure più eminenti dell’Ottocento è il Parroco Agostino Mondini.

Un mio studio, inedito, del 1982, custodito nell’Archivio Parrocchiale, citato anche da Carlo Pedretti nel libro O.P.SS. Redentore di Castelverde, è incentrato sulla figura di questo austero religioso.
Ora qui lo ripropongo con i dovuti aggiornamenti.




AGOSTINO MONDINI ( 1823 - 1891 )

Mondini e gli intransigenti
Per comprendere la figura di Agostino Mondini, Parroco di Castagnino Secco (ora Castelverde) bisogna collocarlo nella schiera degli intransigenti cremonesi che si opposero in maniera aperta al Vescovo Bonomelli a motivo le su idee innovative.
Mondini è stato parroco per 34 anni e ha lasciato alla Parrocchia tutti suoi beni ed è ricordato per il suo grande zelo apostolico e l’impegno per la giustizia.
Il nome Mondini lo troviamo, nella storia della diocesi cremonese, nella sua “Fotografia morale della Diocesi di Cremona” datata e firmata 23 Maggio 1869 presentata a Roma, su richiesta di qualche autorità della curia pontificia, come documento orientativo per la scelta del nuovo Vescovo dopo la morte di Mons, Antonio Novasconi.
E’ un’immagine a tinte fosche della realtà della Diocesi che si accompagna alle impressioni sfavorevoli ricevute dal Bonomelli nei primi mesi del suo episcopato.
Per Mondini, la “Diocesi cremonese rende perfetta l’immagine dello scellerato scompiglio che la Rivoluzione generò nella moderna società”, responsabile massimo il Clero, troppo malguidato dal “regime passato”. La maggioranza degli ecclesiastici cremonesi è divisa dal Mondini “in quattro categorie ben spiccate” tutte più o meno riprovevoli. (1)
Il Mondini parla un linguaggio tipicamente intransigente, caratterizzato da un pessimismo nei giudizi e mettendo solo in rilievo quella schiera di “sacerdoti zelantissimi, animati da sentimenti e da principi cattolici”, nella quale lui stesso si identifica.
La suddetta schiera di religiosi invece costituisce dal punto di vista del vicario capitolare Mons Luigi Tosi, seguace della linea del Vescovo, la “falange dei retrivi arrabbiati”, devoti a Pio IX e al Sillabo, avversi al liberalismo e alla civiltà moderna. (2)
Modi di pensare direi opposti che si evidenzieranno nel rapporto burrascoso tra Mondini e Bonomelli.
Il Prelato cremonese però, nonostante la divergenza di pensiero, ebbe profonda stima di questo parroco, infatti scrisse di lui il 2 Febbraio 1874 durante la Visita Pastorale “Don Agostino Mondini uomo d’una fibra prodigiosa, d’una vita santa benché di modi in apparenza duri. 
Può tutto per questo popolo”.
Nei primi tempi del suo episcopato Bonomelli, ebbe anche i favori del Circolo Cattolico Conduttori di Fondi, costituito dal Parroco Mondini e dal possidente Giovanni Ferrari di Castagnino.
Si trattava di un Circolo costituito con lo scopo di favorire le opere cattoliche e sostenere i vescovi privi di exequatur attraverso servizi ed offerte.
L'exequatur significava la possibilità di godere dei benefici annessi alla convalida della nomina ecclesiastica da parte dello Stato italiano.
Cosìi Bonomelli, senza i benefici statali, accettò dal Circolo il servizio gratuito della carrozza per la visita pastorale. (3)

Monito della S.Sede nei confronti di Mondini
Il personaggio Mondini, attraverso i carteggi custoditi nell'Archivio Parrocchiale che delineano la storia del Circolo Cattolico dei Conduttori, viene rivelato nella sua integrità.
La vicenda, breve e convulsa del Circolo, andrà a concludersi in accesi dissensi fra i due promotori Mondini e Ferrari, con l’ammonizione formale della Sacra Congregazione del Concilio al Parroco.
Questa questione è spiegata nel ricorso inoltrato dalla famiglia Guarneri di Castagnino alla
S. Sede per la situazione di disagio venutasi a creare dopo la morte del Parroco Mondini, documento conservato in Archivio parrocchiale.
Guarneri Achille spiega cosi il fatto che portò al Monito della S. Sede nei confronti del Mondini 
" Io aveva in affitto unito al podere che tengo anche adesso in Castagnino un ortaglia detta, Brolo Rovida, essa è proprio confinante colla chiesa; anzi la chiesa nuova e il prolungamento trovasi proprio nella Ortaglia stessa. Il Santo Parroco Mondini mostrò il desiderio di poterla avere in possesso, perché così vicina alla chiesa ne potesse usare per quello scopo Pio ch’egli avesse voluto. Io come fittabile feci buon opera presso il proprietario Barbò perché la cedesse, invece di opporsi, ed il Parroco defunto servendosi del Ferrari Giovanni, morto egli pure, come fidecomesso, la comperò sborsando per qualche tempo anticipatamente denari. Quando il Prevosto fu dopo poco tempo, alla portata di versare al Ferrari Giovanni la somma per Pagamento dell'Ortaglia; il Ferrari non ne volle sapere più, e sotto pretesti estranei all’accordo si fece padrone dell’ortaglia tenendosela e rifiutando il pagamento offerto dal Parroco più volte.
Il Parroco vedendo leso i suoi diritti non potendo ricorrere a tribunali civili perchè non teneva scritti, si rivolse a Roma, alla Sacra Congregazione del Conciglio con ricorso ; di quì l’informazione chiesta dalla Sacra Congregazione all’Ordinario Diocesano Cremonese, il quale non aspettava altra occasione per dilaniare la buona fama del defunto Parroco e chi lo avvicinava, poscia il Monito acerbissimo ma fuori di posto anzicchè al colpevole, agli innocenti che aveano inoltrato il ricorso per aver giustizia”
. (4) 
Il monito da Roma che viene a colpire il Parroco, alla luce del ricorso di Guarneri, appare dunque ingiusto.
Sempre a discolpa del parroco, oltre a questo documento, esiste, tra gli allegati della famiglia Guarneri, una dichiarazione del sacerdote Gaboardi Don Gioachimo, dove il presbitero afferma che il Signor Giovanni Ferrari prima di morire, fece chiamare al suo capezzale il parroco e pentitosi restituì formalmente il terreno dell'ortaglia che diceva aver acquistato per se e invece l’aveva fidecomesso  per il Mondini.
Questi diede a Ferrari la somma anticipatagli per l'ortaglia ed egli versò il denaro ricevuto nella cassa Ecclesiastica dei legati pii a favore della Parrocchia di Castagnino.
Ecco la dichiarazione
Cremona il 15 luglio 1893
Il sottoscritto Sacerdote dichiara sotto la fede del Giuramento, che il Signor Giovanni Ferrari, prima di morire, essendo stato in lotta col Parroco di Castagnino D. Agostino Mondini per il possesso della proprietà Brolo Rovida, che provocò una risposta sfavorevole al Parroco da parte della Congregazione del Conciglio, (fondata sulle apparenze legali) riconobbe il proprio torto, e cedette ai detto Parroco Signor Mondini Agostino la stessa proprietà alle condizioni che erario già state prima in coscienza combinate tra di loro.
            In fede
Sac Gaboardi D. Gioachimo


Mondini e Bonomelli: visioni diverse
La primitiva sintonia tra il Mondini e il Bonomelli fu infranta dall’episodio dell' Exequatur.
Infatti, primo tra i vescovi italiani, Geremia Bonomelli ottenne l’Exequatur dallo Stato con relativi benefici il 3 Giugno 1874. (5)
Agostino Mondini disapprovò apertamente questo fatto attraverso una lettera al Vescovo in cui afferma:
‘Io ho detto, dico e dirò sempre che non ho mai approvato, non approvo e non approverò mai il fatto dell’Exequatur “. (6)
Sempre nella lettera giudicò “queste transazioni sovranamente funeste agli interessi della religione”.
Da qui di delinea la fermezza e la schiettezza di rapporto nei confronti del suo superiore.
A distanza di decenni il dottor Ercolano Cappi, testimone oculare e qualificato, scrisse nel necrologio del parroco defunto, pubblicato e conservato in Archivio parrocchiale: 
"Fuvvi un momento difficile quando io venni chiamato a intercedere in favore del grande parroco presso il grande Vescovo. Profondo era il dissenso teorico e pratico tra essi, specie intorno all’ardua tesi dei rapporti fra il potere ecclesiastico e il potere civile. Non meravigliamoci. Il tot capita tot sententie è sempre vero perchè proprio dell’umana natura. Anche fra i santi vi ponno essere dissensi, ricordiamo S. Paolo e S. Barnaba. Ma fra gli uomini virtuosi e retti i dissensi sono oggetto di edificazione, non già di scandalo: anzichè dirimere accrescono la stima e la benevolenza. Il prevosto Mondini non ricusò mai ossequio e ubbidienza al suo superiore. ...  D’altra parte, il grande Vescovo non prese mai alcuna misura disciplinare contro il prevosto di Castagnino, anzi lo disse santo nelle intenzioni e nelle opere, e l’elogio detto pubblicamente di questo piccolo ovile, saliva necessariamente al pastore ... . ... Altronde questi degni ministri di Dio si assomigliavano tanto! In ambedue l’indole schietta, ardente, generosa: la retta intenzione: il coraggio delle proprie opinioni: la perfetta buona fede; in ambedue l’intuito profetico. .... "

Mondini e la questione sociale
Un intuito di limpida profezia emerge lineare dalle parole del parroco cremonese soprattutto nella questione sociale che è anche questione morale. 
Se, infatti, sulla 'questione romana’ le sentenze di Bonomelli e Mondini rimasero fermamente all’opposizione, la loro concordanza, invece, sulla ‘questione sociale’ fu veramente profetica. (7) 
Su questo aspetto cosi si esprime Cappi nel suo elogio funebre:
"Sì, in noi vecchi vivissima è la memoria dei moniti severi che mezzo secolo fa
Egli rivolgeva alle autorità e al popolo, ai ricchi e ai poveri, ai padroni e ai subalterni.
La veridicità di quei moniti è tanta e così luminosa che il prevosto Mondini oggi, dinnanzi a chi lo ha conosciuto, si ripresenta coll’aureola e il manto di profeta. 
Essi mi risuonano ancora nell’orecchio, così fortemente colpito: “Guai a Voi, o padroni, che non rispettate nel lavoratore dei campi o delle officine la dignità di uomo e di fratello, che gli negate un compenso adeguato alle dure fatiche, che lo insultate talvolta e mandate al lavoro le donne già prossime alla maternità! 
Verrà tempo, se non mutate condotta, quando Voi non potrete comandare liberamente a vostri subalterni e neppure liberamente disporre dei vostri armenti.
Perché, quando il bue cremonese sarà conscio della propria forza, vi solleverà sulle corna e vi butterà in aria“. 
Ma non meno gravi erano i. suoi moniti ai lavoratori in genere e specialmente ai contadini: 
“Guai a te, o popolo, se non riconosci Iddio per tuo signore, unico, vero ed assoluto padrone: se diserti gli altari, se oltraggi i sacerdoti, se profani il giorno di Lui! Ti diranno sovrano, e invece diverrai servo di padroni peggiori degli attuali “. (8) 
Infatti, per le sue parole forti, Mondini fu accusato di ruvidezza e denunciato all’autorità politica per “offesa alle istituzioni che ci reggono”. 
Fu merito del sindaco e del segretario del comune di allora “uomini miti, prudenti, religiosissimi se la benemerita Arma dei Carabinieri non mise i ferri ai polsi dei forte assertore delle supreme verità cristiano-sociali.(9)

L'ampliamento della Chiesa parrocchiale
Nell’ambito delle opere parrocchiali effettuate da Agostino Mondini va ricordato il prolungamento della Chiesa.
La decisione per questa opera avviene il 26 Aprile 1861 con il sollecito per il consenso del Consiglio comunale, il quale approva il progetto, ma non s’impegna per il finanziamento.
Questo è frutto, secondo il libro di Predetti, della politica nazionale rigidamente asservita alla ideologia della Destra storica. La quale, infatti, auspicava il parallelismo “Libera Chiesa in Libero Stato” e  pensava alla conquista di Roma con la conseguente fine dello Stato Pontificio.
Tale pensiero si riflette in sede locale con un disimpegno che amareggia il cuore del parroco Mondini.  Egli però non si scoraggia e al silenzio politico degli amministratori comunali e alla indifferenza dei grandi proprietari terrieri sostituisce la maggiore affidabilità e generosità dei fittabili, una nuova categoria sociale che, nella pianura padana, sta prendendo in mano le redini  del potere politico e produttivo.
Mondini, quindi, solo l’aiuto del popolo e dei migliori fittabili, costituisce una “Pia Commissione’ con la quale si rivolge al sabbionetano Carlo Visioli.
Siamo di fronte ad  un architetto di grande fama meritata nella costruzione di altre chiese in diocesi, come Spineda, Cividale e Gadesco, e  molti edifici pubblici e privati di eccellente valore artistico. 
Visioli predispone il progetto di ampliamento e lo completa nel marzo 1874. (10)
Un’altro testimone: il vicario don Giovanni Brugnoli nel 1921 scrive che “ Il Mondini, profuse tutta la sua vistosa sostanza e quella del fratello D. Tobia, nell’ampliamento del sacro Tempio, nel meraviglioso concerto di campane e nell'erezione ex-novo dell’oratorio, ove i nostri Padri ànno imparato ad essere ottimi cristiani e cittadini esemplari. La bella Chiesa di Castagnino è una delle migliori chiese dei dintorni, e si può chiamare: una cattedrale nella piaga canpagnuola”.(11)

La vicenda dell'epigrafe funebre
Anche dopo morto la vicenda dell’epigrafe fa parlare di lui.
Epigrafe al Cimitero di Castelverde
Gli intransigenti cremonesi ne approffittarono per lanciare accuse contro il Vescovo Bonomelli di spingere l’avversione fin oltre i confini della morte. (12)
Il Finestrino, articolo dell’Osservatore Cattolico ricavato da una corrispondenza da Cremona, in data 18 Febbraio 1891, porta un attacco al Vescovo per il silenzio mantenuto sulla morte del parroco Mondini.
Il nuovo parroco don Giuseppe Crespi e il Vescovo non vollero la lapide commemorativa In Chiesa.
Questa, scritta dal Prof. don Eugenio Gamba parroco di S. Agostino, aveva alcune espressioni che potevano apparire una lontana allusione agli atteggiamenti di opposizione, sempre mantenuti dal Mondini nei confronti del Vescovo.
Questa primitiva epigrafe fu trasferita al cimitero, mentre in Chiesa ne venne posta un’ altra dettata dallo stesso Bonomelli in cui si tolsero le espressioni che potevano alludere ad una polemica come “... morendo sulla breccia" e "... vittima del tuo zelo sacerdotale".
Anche  Guarneri Achille nel suo ricorso alla S. Sede polemizza, in toni aspri, contro il nuovo parroco e il vescovo per l’impedimento di mettere in Chiesa la primitiva lapide.
Oltre che alla lapide ci sarebbero state delle accuse nei confronti del defunto parroco di aver malversato le offerte dei fedeli.
Secondo il Quarneri questa accusa è stata una perfida calunnia e cosi si esprime:
 “ ... giacchè il Parroco defunto spese non solo le offerte de’ Parocchiani ma letteralmente anche tutto il suo e quello del suo fratello, pure Sacerdote esemplare, e di suo nipote Missionario ad edificazione e decoro del tempio del Signore ".(13)
Nella nuova lapide affissa in Chiesa, sempre secondo il Guarneri,  si sono levate le espressioni che servivano a designare il vero carattere del defunto.(14)
Se l’intransigenza del Mondini fu segno di contraddizione in vita, da queste vicende, vediamo che lo fu anche dopo la sua immatura morte.

Un uomo austero e forte
Nel complesso emerge una figura forte e ferma che non lascia spazio a facili compromessi, lo confermano le parole dei testimoni del tempo, tutte di ammirazione nei suoi confronti.
La sua figura rimane però legata ad un oltranzismo di idee e di pensiero che sarà poi superato dalla storia.
Quelli come Mondini sono personaggi che rimangono troppo nella monolitica certezza dei loro concetti senza dubbi e ripensamenti, ma, d'altro canto, non cambiano bandiera ad ogni soffiar di vento.
Quindi il plauso della storia va all'uomo di grande temperamento e di solidità morale quale è stato il parroco Agostino Mondini.
Cosi lo ricorda don Giovanni Brugnoli nel suo opuscolo Vita di S. Archelao del 1921:
“Dopo tanto tempo che è morto Egli vive ancora in mezzo al suo popolo con la sua parola, le sue massime e le sue profezie".
Sempre nello stesso anno il Dottor Ercolano Cappi esprime nel Trentesimo della sua morte il “... senso di ammirazione per il sacerdote austero e forte che, nato di famiglia agiata, morì poverissimo dopo aver dato ala causa di Dio tutte le energie del corpo e dello spirito, le sostanze e la vita: per il pastore zelante la cui memoria dopo trent’ anni è ancor così viva come lo dimostra l’odierna magnifica pompa." (15)


NOTE


1) Giuseppe Gallina “Il problema religioso nel risorgimento e il pensiero di Geremia Bonornelli” Roma 1974 — Università Gregoriana Editrice pag. 18
2) idem pag.19
3) Dottor Ercolano Cappi — Elogio funebre “Per la solenne traslazione dal vecchio al nuovo cimitero di Don Agostino Mondini - Parroco di Castagnino - morto il 10 febbraio 1891" Castagnino 13 Febbraio 1921.
4) Allegato unico al ricorso della Famiglia Guarneri a mezzo de uno de’ suoi membri Achille, presentato al Santo Padre. Castagnino Secco Cremonese 19 Novembre 1892
Lettera a Mons. Spigardi.
5)  Giuseppe Gallina (vedi nota 1 ) pag. 24
6) Lettera del Parroco A. Mondini Mons. G. Bonomelli datata Castagnino Secco 19 Novembre 1874.
Da Giuseppe Gallina (vedi nota 1) pag. 473
7) Carlo Pedretti “Castelverde “ Capitoli di Storia Locale - CLC - Industria Grafica Editoriale Pizzorni Cremona 31 Dicembre 1978 - pag. 130
8) Dott. Ercolano Gappi (vedi nota 3)
9) idem
10) Carlo Pedretti (vedi nota 7 ) pagg. 208 209
11) Don Giovanni Brugnoli Vicario “Breve vita del glorioso Martire e Diacono S. Archelao Patrono e Titolare della Chiesa Suburbana di Castagnino” - Alba 1921 Scuola Tipografica Editrice. pagg. 19 - 20
12) Giuseppe Gallina (vedi nota 1 ) pag. 170
13) Allegato unico al ricorso della Faniglia Guarneri (vedi nota 4 )
14) idem
15) Dott. Ercolano Cappi (vedi nota 3 )





domenica 1 febbraio 2015

Ercolano Cappi, medico condotto di Castelverde, il suo viaggio in Terra Santa

Riprendo dal sito diocedicremona.it, dalla pagina dell'Ufficio turismo, una interessante presentazione della figura di Ercolano Cappi, medico condotto di Castelverde, una figura di primo piano per la storia del paese cremonese.
Suggestive sono le sue lettere, mandate alla famiglia, del viaggio svoltosi nel 1887 in Terra Santa.
E' un resoconto estremamente significativo che mette in luce l'abilità descrittiva di Cappi che si evince anche in altri suoi pregevoli scritti.


Ercolano Cappi, nato a Castelleone nel 1854, frequenta la facoltà di medicina all’università di Pavia, ospite del collegio Ghisleri, stringe amicizia con il giovane Pietro Maffi, futuro arcivescovo di Pisa, e fonda con lui il circolo studentesco. Laureato nel 1878, si perfeziona negli studi a Vienna e a Parigi; nel  1882 diventa titolare della condotta di Castagnino Secco ed esercita la professione con spirito di abnegazione. 
Insieme al Parroco don Pietro Gardinali e al Sindaco Primo Ferrari darà vita, nel 1901, all’ospizio dei cronici, splendida testimonianza di carità che tuttora sopravvive.
Sposato ebbe due figli: il maggiore Giuseppe, diventerà una figura eminente nel panorama politico italiano del dopoguerra, esponente di spicco della Democrazia Cristiana: deputato all’Assemblea Costituente, sarà successivamente Presidente della Corte Costituzionale.
Dalle lettere che il dott Cappi invia alla famiglia durante il pellegrinaggio in Terra Santa emerge la spiccata personalità di quest’uomo di fede, ugualmente attento al proprio ruolo di sposo, di padre ed educatore oltre che disincantato e fine osservatore della realtà che incontra nel corso del suo faticoso cammino. In tante occasioni emerge la professionalità, lo stile discreto ma attento alle fatiche e sofferenze altrui, attratto dalle testimonianze di dedizione e di servizio che incontra, soprattutto dei Padri Francescani, custodi dei Luoghi Santi
 Il Pellegrinaggio
Come già ricordato, il pellegrinaggio del dott. Cappi inizia la sera del 13 agosto 1887, con la partenza da Castagnino alla volta di Firenze e da qui a Livorno, da dove si imbarca sul piroscafo Enna che, dopo gli scali di Napoli e Messina, giungerà il 22 Agosto ad Alessandria d’Egitto.
La prima tappa consiste nella visita in Egitto ad Alessandria, poi lo spostamento per ferrovia, al Cairo e zone limitrofe, poi Ismailia e Porto Said; da qui, ancora via mare, fino a Giaffa da dove inizia il percorso in Terra Santa che lo porterà a Gerusalemme, a Betlemme e con una spedizione carovaniera, a Gerico, Nablus, Nazaret, al lago di Tiberiade, fino S. Giovanni d’Acri e ad Haifa, da dove riprenderà la navigazione che lo riporterà a Giaffa, Alessandria d’Egitto, per sbarcare definitivamente a Livorno e da qui a Castagnino dove vi farà ritorno il 9 Ottobre: in tutto il pellegrinaggio era durato 58 giorni; di questi ben 19 di viaggio a cui si devono aggiungere i lunghi e faticosi giorni degli spostamenti interni in Egitto e in Terra Santa, fatti soprattutto a cavallo.
La tappa in Egitto
Non strettamente attinente al percorso del pellegrinaggio nella terra di Gesù, questa tappa è per il dott. Cappi, come una grande introduzione a quello che sarà la Terrasanta: riflette su ciò che vede, contempla la grandezza della testimonianze dell’antica civiltà egizia, apprezza e insieme ne riconosce i limiti: le piramidi, la sfinge, i tesori del museo del Cairo sono muti testimoni di un mondo che non c’è più. Lo affascinano la bellezza e l’armonia delle costruzioni arabe: la Cittadella del Cairo con le moschee; lo irrita però il pensiero che la civiltà musulmana, a volte, ha distrutto patrimoni inestimabili di cultura e di fede.
E’ ammirato dalla contemplazione, dall’alto della grande piramide, del deserto: un luogo di silenzio, di solitudine: gli vengono in mente le testimonianze di S. Antonio, di S. Pacomio e dei tanti anacoreti.
Ma è soprattutto il ricordo della tradizione della permanenza in Egitto della S. Famiglia che anima la preghiera di queste giornate: le visite ai luoghi che la tradizione vuole legati a Gesù fanciullo, Maria e Giuseppe sono per lui motivo di una profonda esperienza di fede
Nella Terra di Gesù: Gerusalemme
Dopo l’Egitto finalmente la terra di Gesù, dove vi giunge il 28 Agosto, sempre via mare, arrivando a Giaffa è ospite nel convento francescano; da qui a Lidda, con il ricordo dell’episodio di Tabita raccontato dagli Atti degli Apostoli e infine Gerusalemme dove vi giunge, stremato dalla fatica e dal caldo, la sera del 30 Agosto.
La salita alla città santa è un’esperienza faticosa ma indimenticabile; scrive: “ci apparve la città santa, colla torre di Davide, le cupole, le terrazze, le mura e il monte oliveto che forma lo sfondo del panorama. La stanchezza ci opprimeva talmente che il sussulto di gioia onde fu preso il cuor nostro, rimase sepolto entro di noi. Scesi da cavallo, recitammo il salmo: Laetatus sum. Riprendemmo la via che fa capo ad una porta, detta di Giaffa, Bab el Khalil per gli indigeni, la porta per la quale entrano a Gerusalemme i pellegrini d’occidente”
A Gerusalemme i nostri pellegrini sono ospiti a Casanova e dividono il tempo tra incontri ufficiali con le personalità locali, visite ai Santuari e ai luoghi santi  e momenti intensi di preghiera.
Della città - che conta 45.000 abitanti, di cui 30.000 ebrei, 7.000 musulmani e 8.000 cristiani, divisi nelle varie confessioni,  e che si ricorda, non è che una povera città di provincia del grande impero ottomano, dipendente amministrativamente da Damasco - il dott Cappi ne fa una descrizione dettagliata: le mura e le porte (non c’è ancora la porta nuova che immette nel quartiere cristiano), i quattro quartieri, le chiese e soprattutto la basilica del S. Sepolcro che viene descritta con estrema precisione: a riscontro c’è la sofferenza nel vedere il luogo poco curato a motivo della compresenza, non sempre tranquilla, delle tre confessioni cristiane.
Dalla descrizione deduciamo che a Gerusalemme non sono ancora costruite la basilica della Dormitio sul Sion, la basilica dell’Agonia al Getzemani, il Dominus Flevit, il Gallicantu, non è ancora stata iniziata la basilica del Pater; c’è solo il convento, mancano alcune stazioni della via Crucis; è in costruzione la chiesa ortodossa di S. Maria Maddalena.
La presenza del Patriarcato Latino, ricostituito da pochi anni, e soprattutto delle comunità dei Padri Francescani della Custodia di Terrasanta sono gli elementi che più consolano e rassicurano la vita dei pellegrini: ospitalità squisita ed estrema disponibilità verso tutti. Ed è soprattutto la carità dei cristiani che edifica: al convento di S. Salvatore accorrono tutti, cristiani e non per farsi  curare dal frate-medico; come pure la distribuzione della minestra a mezzogiorno è fatta senza alcuna preclusione: gesti semplici, forse scontati per il nostro tempo, ma all’epoca no; segni di una carità che costruisce fraternità. Così nella lettera 29 il dott. Cappi scrive: “ho sempre amato e rispettato queste rozze tonache, sotto le quali aveva ammirato le virtù più elette, ma il mio amore è grandemente cresciuto dacchè mi trovo in Terrasanta … nulla ha potuto atterrirli, non il fanatismo musulmano che degenerò più volte in stragi, non l’odio giudaico, non la rapacità dei governanti, non la prepotenza degli scismatici…”
Le celebrazioni avvengono soprattutto nella Basilica del S. Sepolcro o giungono ad essa, come la Via Crucis del venerdì, alla quale i nostri pellegrini partecipano con un misto di stupore per l’unicità del cammino e di intima commozione. Particolarmente intensa la notte di veglia passata in Basilica.
Le visite portano i nostri pellegrini anche agli altri luoghi santi: la Chiesa di S. Anna, il colle di Sion, il monte degli ulivi, il Getzemani, Betania, con il sepolcro di Lazzaro Betfage, Ein Karem; come pure c’è anche tempo per la visita alle moschee  e al muro occidentale della preghiera ebraica.
Da Gerusalemme una tappa particolarmente affascinante è quella nel deserto di Giuda, per la visita al monastero della Quarantena, a Gerico e al Giordano
 Betlemme
“vi sarà facile comprendere la gioia onde fummo presi stamane quando verso le ore sette si spiegò ai nostri sguardi foggiata a semicerchio colle sue casette bianche sul dorso di una collina foggiata ad anfiteatro … Betlemme esaltata dai profeti fra tutte le città di Giuda meta del viaggio dei re d’Oriente e dei pellegrini dell’occidente”
In questa cittadina la presenza cattolica supera del 50% l’intera popolazione che conta meno di settemila abitanti Come oggi, nella grotta, sotto l’altare della natività c’è la stella argentea con la scritta latina “hic de Virgine Maria Jesus Christus natus est. – 1717”,segno della proprietà cattolica, non sempre rispettata, tanto che accanto vigila una guardia turca: da qui nasce una supplica accorata: “si affretti il giorno dell’unità tra i discepoli di Cristo!”
Nelle grotte vicine il dott. Cappi venera l’altare di S. Eusebio da Cremona, amico e discepolo di S. Gerolamo.
In Galilea
Il 17 settembre inizia per i nostri pellegrini una ulteriore tappa, certamente difficile e faticosa che li porta, attraverso la Samaria, fino in Galilea.
A Sichem si sosta in un luogo praticamente in rovina, dove la tradizione colloca il pozzo di Giacobbe; alle pendici del monte Garizim si ricorda il rinnovo dell’alleanza da parte di Giosuè; nella sinagoga di Nablus hanno la possibilità di venerare il famoso Pentateuco Samaritano. Continuando il cammino, passando per Naim, vedono i monti di Gelboe, testimoni della morte di Saul e finalmente giungono a Nazaret dove pregano, commossi, nell’antica piccola chiesa costruita sulla grotta dell’Annunciazione che oggi ha lasciato il posto all’attuale grande Basilica. Hanno tempo per pregare anche nella chiesetta di S. Maria del tremore, sul precipizio della città.
Da Nazaret  toccano gli altri luoghi santi della Galilea: la salita al monte Tabor e la veglia notturna, l’arrivo al lago di Tiberiade con la memoria dei luoghi evangelici di Cafarnao, Magdala, Betzaida: i santuari che oggi vediamo non erano ancora costruiti e il ricordo degli episodi è affidato semplicemente alla bellezza della natura, e finalmente lungo la strada che riporta a Nazaret, la sosta a Cana con la testimonianza di una piccola cappella che ricorda il primo miracolo di Gesù; poi ad Haifa e al monte Carmelo e a S. Giovanni d’Acri con i ricordi crociati, prima del ritorno in Italia.
Dalla lettera n. 21 – Gerusalemme - 1 settembre 1887
Chi osserva la Chiesa del Santo Sepolcro da un’alta terrazza o dal pendio del monte degli ulivi, non iscorge che due cupole: l'una grandiosa, coperta di metallo, che incorona la rotonda, ove è l'edicola del S. Sepolcro: l'altra più piccola, di pietra, che sovrasta al coro, all' antico coro dei canonici, attiguo alla rotonda. Tutto il resto dell'edifizio è circondato, o per dir meglio strozzato, soffocato da terrazze, da case alte e basse, da scale scoperte, da archi, da moschee, da minareti
La facciata solo è scoperta, una, facciata qua­drata, greggia, di stile gotico, che guarda su di una piazzetta coperta di marmo, ornata dei basa­menti di alcune antiche colonne e celebre pel martirio ivi subito da alcuni religiosi francescani uccisi in odio alla fede.
Varchiamo la soglia, e sostiamo per una prece accanto alla gran pietra rossa, illuminata da lam­pade, che segna il punto dell'imbalsamazione. Ec­coci in un ambiente spazioso, scarsamente illu­minato, dove, giusta l'espressione di Frà Lavinio, non regnano né la simmetria, né il buon gusto, nè la ricchezza. Svanì sotto il martello di Cosroe re di Persia lo splendore dell'antica basilica eretta da Costantino: sotto la scimitarra vittoriosa scomparve la Chiesa che sorse sulla rovina dell' an­tica: finalmente anche il fuoco si fece complice dei nemici di Cristo e sul principio del secolo nostro distrusse la Rotonda. Malgrado tutto ciò, il culto pel S.Sepolcro non venne mai meno: esso fu più forte del fanatismo e della sete d'oro dei credenti nello scaltro profeta, più tenace dell'odio ebraico, più ardente delle fiamme che ri­dussero la Rotonda in un cumulo di macerie.
In quell'ambiente sacro e misterioso, il visitatore senza guida si sente smarrito e confuso. Bisogna visitare parte a parte quel vasto edificio: bisogna visitare partitamente la Chiesa del Calvario, la Rotonda del S. Sepolcro, la cappella francescana dell'apparizione, la chiesa sotterranea dell’Invenzione della S. Croce.
A mano destra del portone d'ingresso, vis-a-vis del divano dove ozia, inerme sentinella, la guar­dia turca una scala marmorea di 18 gradini mette su di una piattaforma rettangolare, coperta da volte basse e pesanti, sostenute da grossi pilastri in pietra. La piattaforma è chiusa da un lato da una balaustra in marmo, mentre dagli altri lati le pareti si confondono colle volte, ed è divisa in due cappelle disuguali separate dai pilastri. Di queste la minore porta sullo sfondo l’altare venerabile della morte del Salvatore, l' altra porta quello della crocifissione; in mezzo si erge un terzo e piccolo altare, detto dello Stabat, perché segna il punto dove stava la Regina dei Martiri.
Una finestra a vetri dipinti lascia veder l'interno di una piccola cappella affatto distinta dalla piattaforma ed alla quale si accede per una scaletta sita fuori del tempio, di fianco alla facciata. La piccola cappella indicherebbe il luogo ove si trovava la Madre mentre i carnefici inchiodavano il Salvatore sulla croce.
Tale ai nostri giorni è il Calvario, questo monte venerato al quale ci accostiamo coll'animo per ritemprarlo ogniqualvolta la sventura ci addenta, l'odio dei nemici ci colpisce, il dolore ci strazia. La roccia che è un calcare compatto, come la maggior parte dei monti di Giudea, scompare sotto il rivestimento di marmi la cui finezza è molto contestabile, L'altezza non arriva a cinque metri sul livello del suolo: i fianchi per una parte ta­gliati a perpendicolo, scompaiono pel resto nella cinta dell'edifizio, sepolto esso stesso, come dissi, in mezzo ad altri edifizii. Certamente esso doveva esser ben diverso al tempo in cui venne consu­mato il deicidio. Ma le esigenze della tecnica edilizia, dietro il progetto stabilito di separare il Calvario dal S. Sepolcro, pur comprendendoli in un solo recinto: i saccheggi e le distruzioni ri­petute della città che accumulando macerie su macerie, elevarono l'antico livello delle vie e delle case, siccome avvenne a Roma ed altrove: il livore degli ebrei, il fanatismo spesso feroce dei mussulmani, la pietà indiscreta di molti pellegrini e specialmente dei russi, dolenti forse che Roma, non Mosca, non Kiew, possegga le reliquie venerabili della Passione: tutto ciò spiega le piccole proporzioni colle quali oggi si presenta il monte Calvario. Indarno ivi si cercherebbe l'arte squisita delle nostre basiliche più insigni, il buon gusto degli  ornamenti dei nostri santuari d'Italia o di Francia. Il pavimento è ornato da mosaici già lo­gori dal tempo, dalle genuflessioni e dai baci: dalle volte dipinte a colori oscuri, pendono in gran numero lampade e candelabri. I due altari della crocifissione e dello Stabat, essendo in mano dei latini, si distinguono per la semplicità e la parsimonia degli ornamenti: ma l'altare della morte del Salvatore, ch'è in mano ai scismatici è un affastellamento di candelieri, di croci, d'immagini, dove l'arte è sacrificata alla ricchezza della materia. Lo sfondo dell'altare è formato da un' enorme mezzaluna d'argento cesellato, dove sono raffigurate le scene della Passione: ai due lati due statue di grandezza naturale, in lamina d'ar­gento, raffiguranti S. Giovanni e la Vergine, guardano verso un crocifisso, in dimensioni minori del naturale, che s'innalza da un piccolo altare sorretto da esili colonnine, sotto il quale un disco d’argento forato nel mezzo, indica il punto dov'era piantata la Croce. Presso le statue d'argento, due piccoli dischi di marmo nero segnano, il punto ove si alzavano le croci dei ladri. Verso destra, un' ampia fessura della roccia, os­servabile con un lume, attesta il terremoto che seguì al “consummatum est”
Che cosa si sente in cuore lassù, chiederà il lettore, mentre la destra s'introduce nel vano dov’era piantata la Croce, mentre le ginocchia premono quel suolo ove Gesù venne spogliato delle vesti, ove venne inchiodato sul tronco, dove esanime, insanguinata, sfatta dal lungo martirio, la salma divina si adagiò sulle ginocchia materne?
Il primo sentimento che s'impadronì di me fu quello di un immensa riconoscenza. Chi son io, servo inutile, oscuro e semplice fedele, perchè Voi, mio Dio, mi faceste degno di assistere a questo convito di grazia, d'invocare le Vostre benedizioni sul capo dei miei cari in questo luogo augusto dove Voi siete morto per amor degli uomini? Se io non sento, come Maria l'egiziaca, la mano invisibile che mi trattiene dall'accedervi, sento però che un favore così incomparabile è frutto  elusivo della vostra bontà e della vostra misericordia, ambedue infinite: che gli è per esse ch'io son giunto incolume su questa vetta venerata, verso la quale indarno tendono le braccia tanti piissimi leviti, tante vergini languenti d'amore per Voi….

Dalla Lettera 24 – Gerusalemme 3 settembre 1887
…. Un altro spettacolo, di natura essenzialmente diversa, ma anch’esso lacrimevole ci aspettava sullo scorcio della giornata di ieri. Era il pianto degli Ebrei su un muro superstite della cinta dell’antico tempio. Non v’ha forestiero che, giuntoa Gerusalemme, non cerchi d'assistere a quella scena originale, curiosissima, unica al mondo. Per viottoli sudici, dov'era necessario procedere con molte cautele e cogli occhi ben aperti, giungemmo dinanzi ad un alto muraglione con pietre colos­sali: quelle della base hanno una lunghezza che varia dai 2 ai 3 metri e va gradatamente sce­mando man mano che il muro ascende. Prima della conquista araba, gli Ebrei pregavano sull'area stessa del Tempio: ma dopo l'innalzamento della moschea di Omar, essi debbono accontentarsi di piangere su questo muro deserto.
Prima ancora di giungervi, un sordo mormorio interrotto da alcune grida acute mi colpì l'orecchio: ma il mormorio diventò un rumore alto, confuso, dove le strida delle donne si mescolavano al lamento grave degli uomini, e i singhiozzi ai pianti, quando mi trovai in mezzo a quell'assem­blea giudaica.
Le più infuriate, non occorre dirlo, sono le donne: urlano, stridono e baciano quelle fredde pietre bagnate delle loro lagrime. Natu­ralmente curiose, sembra che non si accorgano nemmeno dei forestieri in quell'ora, ossia alle 4 pomeridiane d'ogni Venerdì. Degli uomini, chi pianta chiodi negli interstizi delle pietre, chi legge ad alta voce libroni vecchi, gialli, con caratteri ebraici: chi manda lamenti sul palazzo reale devastato, sul tempio distrutto, sulle mura abbattute, sulla maestà trascorsa, sui grandi uo­mini morti, sulle pietre preziose abbrucciate, sui re disprezzati.

Se v'ha qualche rabbino, allora si recitano pre­ghiere in coro: Noi Vi supplichiamo, o Signore, abbiate pietà di SionRadunate i figli di Geru­salemme! Affrettatevi, Salvatore di Sion! Parlate in favore di Gerusalemme! Che la bellezza e la maestà circondino SionVolgetevi con clemenza verso Gerusalemme! Che la denominazione reale si ristabilisca sopra SionConsolate coloro che piangono su Gerusalemme!

Castelverde e la sua storia

Municipio
Castelverde negli immediati dintorni di Cremona è una località che ha un interessante bagaglio storico da approfondire.
I testi che narrano la storia di Castelverde si ricollegano principalmente all'opera, dal medesimo titolo, di Carlo Pedretti edita da CLC nel 1978.
Una essenziale sintesi storica, che riguarda le vicende di Castelverde, è anche quella che si trova sul Portale del Comune ( www.comune.castelverde.cr ) dove si ripercorrono in maniera chiara e sintetica i principali avvenimenti che hanno caratterizzato questo paese cremonese.

Nell’Alto Medioevo il paese rispondeva al nome di Castagnino Secco: la prima parte del nome deriva dal latino "castagnetum", per indicare l’idoneità della zona alla coltura del castagno; la seconda parte, invece, dal cognome di origine germanico - longobarda "Sich", da cui provengono anche nomi tipici di quell’epoca, come Sicardo, Sichifredo e Sicco. In seguito, il nome diventò Breda de’ Bugni: Breda è un toponimo diffusissimo in Lombardia ed indica "casa colonica con podere", mentre Bugni è la versione volgare di "stagni". 
La storia di Castelverde inizia nel 218 a.C., quando i Romani fondarono le colonie gemelle di Cremona e Piacenza. 
Il territorio, interamente paludoso, fu bonificato e coltivato a grano e vite (colture ritenute "dominanti" dai romani), nonché a castagno. 
Testimonianze di vita nella zona anteriore al 218 a.C. sono state verificate nel 1898, quando venne scoperto, nel territorio dell’attuale Costa S. Abramo, un insediamento risalente all’età del bronzo, costituito da capanne e palafitte costruite sulla terraferma e circondate da fossi e corsi d’acqua (i reperti archeologici sono custoditi nel Museo Civico di Cremona). 
Tornando ai fondatori Romani, fu loro l’opera di ripartizione delle terre in "centurie", quadrati di terreno formati da cento parcelle di due jugeri ciascuna. 
La vita del paese fu strettamente legata a quella della vicina città sino alle prime incursioni barbariche, poi questa simbiosi si spezzò. 
Cremona si chiuse nelle sue mura, abbandonando la sua provincia e le sue campagne, che furono smembrate ed in buona parte incluse nelle proprietà di Brescia e Bergamo. 
Dopo un lungo periodo oscuro, nel 1183 i monaci cistercensi cominciarono a prendersi cura del territorio, realizzando bonifiche ed arginature. 
Successivamente, furono i Cistercensi dell’abbazia di Cavatigozzi a guidare la comunità ecclesiale di Castagnino Secco dal 1463 al 1677. 
Di quei tempi sopravvivono ancora ai giorni nostri alcune interessanti testimonianze architettoniche: la villa-castello Soresina Vidoni di Terra Amata e il castello Trecchi di Breda de’ Bugni, esempi tipici di residenze feudatarie. 
L’organizzazione del territorio portò ad una differenziazione dei tipi di colture in rapporto all’estensione dei campi coltivati. A tale situazione si adeguarono il catasto di Carlo V, compilato tra il 1549 ed il 1551, e quello di Maria Teresa d’Austria, iniziato nel 1721 e protrattosi per diversi anni.
Chiesa Parrocchiale
Dalle riforme teresiane all’unità d’Italia, Castelverde portò il nome di Breda de’ Bugni. 
A metà del secolo scorso, il comune è descritto come un piccolo villaggio del distretto di Pizzighettone, con meno di 3.000 abitanti. 
Accanto alle coltivazioni tradizionali (frumento, miglio, fave, fagioli e fieno), si incrementa la pianta del gelso, talmente diffuso nella zona da essere probabilmente all’origine del nome di Castelverde, che risale al 1868, anche se era destinato a non essere ancora definitivo. 
Infatti, nel 1928, il capoluogo di questo comune, che sotto la dominazione di Castelverde racchiudeva le frazioni di Livrasco, Ossalengo, Marzalengo, S. Martino in Beliseto, Tredossi, Costa S. Abramo e Castelnuovo del Zappa, tornò all’antico nome di Castagnino Secco (riunendo in un solo paese Tredossi, S. Martino in Beliseto e l’attuale Castelverde) e come tale lo ricordano tuttora gli anziani. 
Fu nel 1954 che con delibera in data 13 Novembre n. 135 il consiglio comunale di Castelverde decise di abolire definitivamente la denominazione di Castagnino Secco per evitare il perpetuarsi della confusione tra il nome della frazione capoluogo ed il nome del comune nel suo complesso. All’epoca del fascismo, il comune contava 5.000 abitanti. 
Il definitivo passaggio a Castelverde, come nome sia del capoluogo che del comune, risale al 1959, quando venne presentata un’apposita domanda al governo centrale di Roma. 
Da allora, il nome di Castagnino Secco non è più comparso sulle carte geografiche.