mercoledì 17 giugno 2015

Castelverde: Licengo, Breda de’ Bugni, Terra Amata, Cavallara, Palazzo Comunale monumenti da scoprire e racconti leggendari…



Stemma del Comune di Castelverde
“Castelverde: antichità, storia e leggende” è un articolo del 25 luglio del 1957, a cura di Gianni Zoccoli e Ondina Barbisotti, del quotidiano la Provincia, che narra di vicende e luoghi di grande interesse che riguardano il territorio di Castelverde.
Si parla di monumenti che evocano un passato ricco di storia come Cavallara, Licengo, Breda de’ Bugni, Terra Amata e il Palazzo Comunale.
Sono pagine di notevole importanza che illustrano località da conoscere intessute di aneddoti e leggende che fanno rivivere momenti antichi sempre affascinanti.


E’ una prerogativa tutta propria dei luoghi antichi quella di essere circonfusi nel cupo alone del mistero trasfigurante un po’ quel complesso di fatti e avvenimenti che si sono verificati intorno e dentro le loro mura.
Nella campagna cremonese ne esistono alcuni interessanti che però sono poco conosciuti: ci riferiamo particolarmente al territorio di Castelverde ed Uniti.
Non ci riuscirà facile ordinare le notizie riguardanti il suo passato in stretti rapporti di causa e di tempo, per la pochezza e la frammentarietà delle memorie, che sono inficiate di parecchi motivi leggendari. Ma se noi pensiamo ad una vita ricca di momenti interessanti, centriamo senz'altro il vero: Cavallara, Licengo, Breda de Bugni, Terra Amata e il Palazzo Comunale rimangono le prove tangibili delle loro nobili origini, che richiamano alla memoria i forti feudatari, i potenti casati, gli illustri cavalieri, i capitani di ventura, i duelli, le guerre, gli agguati, figure gloriose e nefande, reali o immaginifiche, agitantisi nel chiaroscuro della tradizione. 
A prescindere però dal mito, le scarse notizie che illustrano i sopraccennati luoghi bastano a mettere in luce quell'importanza che molti scrittori non hanno avuto modo di rilevare. 
Avendo letto con grande interesse alcune pagine del «Codex Diplomaticus Cremonae », in cui Lorenzo Astegiano ordinò cronologicamente con pazienza certosina i più antichi atti legali, abbiamo attinto dati storici probativi che però lasciano sottintendere molto di più e ci hanno potuto orientare verso l’oggetto delle nostre ricerche.
Si avvicendarono nella zona ecclesiastici in genere e illustri signori, come i Trecchi, i Visconti, i Morisio, gli Schinchinelli, gli Zappa, i Picenardi, per non ricordare che i maggiori.
Una vecchia carta notarile, dell'anno 999 parla della ratifica di diritti appartenenti al vescovo cremonese Olderico sopra alcuni poderi di Castagnino Secco che furono riconosciuti da un tale Cesone, messo legale dell'imperatore Ottone. 
Sempre nello stesso paese ed a Marzalengo, il vescovo Sicardo investe, nel 1200 alcuni familiari del nobile casato Sommi Picenardi di estese proprietà terriere con tutti i benefici, gli onori e le condizioni.
Nel 1259 il giureconsulto Omobono Morisio, signore di molti beni nell'agro cremonese, scrive un lungo testamento dove manifesta la volontà di lasciare in donazione i suoi averi di Castagnino alla Casa di Carità di S. Cataldo dell'ordine religioso dei frati Umiliati. 
Due anni dopo, alla morte del benefattore, gli ecclesiastici prendono possesso delle terre e vi stabiliscono la dimora, che oggi può essere identificata, anche se non esistono prove sicure, in un vasto cascinale dalle caratteristiche architettoniche molto affini a quelle dei monasteri, o nella stessa « Corte » di Licengo che, nonostante il suo aspetto signorile, si dice fosse abitata da frati. 
I suddetti beni passarono ai Barnabitti nell’anno 1570 dopo che il Papa Pio V sciolse la congregazione degli Umiliati e nel 1810 furono confiscati dalle leggi napoleoniche.

Licengo: Villa Sommi Picenardi
Licengo è un piccolo agglomerato di case, nella fitta verzura della campagna, sito a circa quattro chilometri a nord di Castagnino: la sua vita parca e severa, ci richiama quella dei borghi antichi, dove gli abitanti non avevano altra alternativa che l'assiduo lavoro diurno e il sospirato riposo notturno conditi di tanto in tanto dalla gioia di patriarcali riunioni interfamiliari. 
Il tacito villaggio, antico feudo dei Sommi Picenardi e quindi proprietà d'altri signori, comprende una vasta fattoria ed un' caratteristico complesso rinascimentale, che un po’ patito dall'usura del tempo, ha tutta l'aria di un vecchio generale vittorioso, assorto nella ammirazione nostalgica dei suoi trofei dì guerra, ma rassegnato infine all'impossibilità di ritornare sul campo della gloria.
Il settore artistico-storico di Licengo è costituito da un elegante loggiato di ampi fornici che viene notevolmente abbellito dal gustoso risalto delle lesene e delle cornici e dalla ritmica sinuosità delle arcate. 
Sopra l'architrave, in posizione centrale, spicca a mezz'aria la piccola torre che plasticamente si muove su quattro snelle colonne sormontate da una leggera cupoletta. 
Sono andati perduti l'orologio e la campana.
A sinistra del loggiato è la casa patrizia che si presenta però priva di una veste propriamente artistica. L'esterno è molto piatto e senza decorazioni; e l'interno, sebbene più vario, è tuttavia scialbo per la mancanza di una chiara struttura architettonica e per l’ampiezza quasi desertica delle stanze, che, gelide d'inverno, hanno se non altro nella stagione estiva il pregio, di conservarsi ariose e sollevanti.
Neanche i pochi affreschi dell'ampia volta dell'atrio riescono a mitigare il freddo aspetto dell'ambiente. 
Di fronte alla casa, sull'altro lato del cortile, sorgono due massicci torrioni ottagonali le cui caratteristiche informano molto bene il tipo della costruzione difensiva. 
Essi dovevano infatti fungere da baluardi e fortezze ; per questo motivo conservano i muri inferiori chiusi e compatti e soltanto in prossimità del tetto lasciano aprire delle feritoie e delle finestrine. 
Tutto il complesso è inoltre posto in una zona depressa, il che fa supporre che l'efficacia del suo apparato non traesse esclusivamente vantaggio dalla solidità dell'impostazione edilizia, ma anche dalla presumibile esistenza di uno sbarramento idrico. 
Del resto Licengo fu senza dubbio uno dei centri militari più importanti durante gli avvenimenti bellici che descriveremo in altra parte.

Breda de' Bugni: Castello Trecchi
Il passeggero che, uscendo da Castagnino per via Trecchi, tocca verso mezzodì il limitare verde della campagna circostante intravvede da lontano entro i pertugi luminosi della siepe arborea gli scorci rossigni del romito cascinale Breda de' Bugni e le spigolose torri merlate del leggendario castello. 
Percorsi millecinquecento metri, si giunge alla fattoria e, dopo averla fiancheggiata in un ampio giro a manca, si converge in un elegante ingresso rinascimentale.
Il suggestivo castello di Breda de' Bugni fu costruito nel secolo XV per ordine dei conti Trecchi e adibito a luogo di soggiorno estivo: le linee architettoniche predominanti nella sua solida struttura sono improntate a caratteristiche medioevali, anche se i particolari richiamano spesso forme estetiche più nuove. 
Massiccio sorge il complesso su ampi contrafforti profondamente radicati in una superficie di gran lunga più bassa rispetto al piano superiore della cascina attigua.
La forte depressione, che nella stagione delle piogge si colma d'acqua, è senza dubbio il resto di un grande vallum di difesa. 
I muri muscosi devono alzarsi da terra parecchi metri prima che la loro continuità venga interrotta da finestre e feritoie. 
Le superbe e vigorose creste delle merlature sono introdotte da dinamici e possenti speroni che conferiscono all'edificio il senso dell'elevazione e quello della maestosa monumentalità.
Ai lati superiori del portale d'ingresso, si aprono ancora le strette brecce che lasciavano scorrere le pesanti catene del ponte levatoio.
Tutta l'impostazione architettonica viene abbellita e fusa armoniosamente nell'eleganza fine e graziosa di moltissime sovrastrutture rinascimentali.

Le monofore a pieno centro sono simmetricamente disposte in due ordini e presentano, lungo il contorno perimetrale, larghi bordi mirabilmente ricamati di fregi che sono scolpiti nella pietra rossa. Al di sopra del portale scruta in lontananza l'oculo caratteristico della vedetta che si allarga in un suggestivo rosone. 
Nell'interno del castello le stanze sono ampie ed alte: fedelmente intonati ad uno stile tipicamente rinascimentale, gli eleganti caminetti marmorei, oltre a rappresentare squisiti motivi estetici capaci anche di dinamicizzare la staticità delle pareti, creano soprattutto una simpatica nota sentimentale e romantica che riproduce, con molta efficacia, il lontano tempo dei fiochi lumi ad olio e dei tenaci ceppi accesi nella fiamma fragorosa. 
I soffitti delle stanze sono formati a cassettoni che, sullo sfondo dorato, risaltano ornamenti graziosi di colore contrastante.
Il più bello sovrasta il vano della scala che conduce al piano superiore: la sua quadratura massiccia si schiaccia a lati in forma romboidale e si organizza in uno spaziale intreccio di travi che determinano parecchie nicchie aperte verso il basso. 
Esse si arricchiscono di singolari decorazioni intarsiate e scolpite e di agili cornici che, a più ripiani, degradano sul fondo del cassettone e circondano, nel dinamico gioco prospettico delle loro linee, un artistico fiore di bronzo. 
L'appartenenza del castello ai conti Trecchi è documentata da un grande stemma che campeggia in una parete della fastosa sala di soggiorno. 
La grossa placca elittica è divisa da una banda verticale in due zone diversamente colorate:
su quella azzurra figura una stella, su quella rossa appaiono un'aquila ed una stellina. 
Il piano superiore dell'edificio è più vario e più arioso del pian terreno: si amplifica infatti in un lungo e largo corridoio aperto alla luce da un ordine di finestre molto ampie che abbracciano un vasto scorcio del ridente scenario agreste. 
La restaurazione interna del castello effettuata nel 1928 non ha per nulla alterato il suo aspetto primitivo, perché ha fedelmente ricalcato le tinte degli intonaci, anzi ha contribuito a rafforzarne la tonalità un po' sbiadita. 
La Sovraintendenza alle antichità non ha tuttavia permesso che si rinfrescasse la zona alta delle pareti più caratteristiche allo scopo di conservare almeno un saggio antico del loro stato decorativo. 
La parte più misteriosa del castello è senza dubbio costituita dal cantinato che, per la sua posizione e per la sua leggenda, mette naturalmente a fuoco l'interesse immaginativo dei curiosi. 
Fra le volte oscure e pesanti delle fondamenta si nascondono infatti retti sgabuzzini e strani loculi, che, secondo le notizie tramandateci, dovevano comunicare con delle gallerie sotterranee. 
Fin qui nulla di inverosimile, poiché in altri luoghi è realmente provata la loro esistenza che permetteva agli assediati l'unica ed estrema possibilità di salvezza e di fuga, ma la loro storia si ingigantisce nel romanzo, sia pure interessante e commovente, quando figurano al centro di una tragicissima vicenda sentimentale. 
I principali attori del dramma sono Arabella e Filiberto. 
Le loro figure colorano di poesia la suggestività del luogo. 
Un tempo il territorio di Castelverde non era totalmente piano, ma alcune zone si sopraelevavano: una di queste si trovava nei pressi di Ossalengo, Livrasco e Cascina Cantarane e formava i famosi Tre Dossi che diedero il nome al vecchio comune. 
Esisteva fra queste collinette, così almeno si narra, un minuscolo laghetto le cui acque abbondavano di mille varietà di pesci che costituivano un ragguardevole patrimonio ittico. 
Venivano a pescare il nobile conte Trecchi, signore di Breda de Bugni e il principe Schinchinelli, proprietario di Terra Amata. 
I due gentiluomini, le cui famiglie da tempo, si odiavano per dei contrasti non ben definiti, si erano riconciliati. 
Erano soliti portare seco, allorché si recavano al laghetto, i rispettivi figli: la piccola Arabella, principessina di Terra Amata e il giovane Filiberto, illustre erede del casato Trecchi. 
Mentre i genitori pazientemente attendevano che un pesce abboccasse all'amo, i figli vagabondavano insieme nei dintorni e ben presto si legarono di profonda amicizia che, col passar degli anni, si mutò in un caldo sentimento d'amore. 
Arabella ci è stata descritta come una elegante figura di donna bionda e slanciata, il cui sorriso esprimeva tutta la squisita bontà del suo animo, degno ornamento alla sua grazia femminea. 
Filiberto, invece, forte e coraggioso cavaliere, quanto mai audace, ma dotato anche di nobilissimi sentimenti. 
L'amore pareva dovesse concludersi nel migliore dei modi, sotto l'auspicio della, felicità, ma un giorno l'odio che sembrava sopito nel tempo si risvegliava in tutta la sua violenza, motivato da un litigio sorto fra i genitori, forse per una questione di pesca. 
Fu così che gli antichi malintesi esplosero più brutalmente di prima, trascinando i due nobili a giurarsi vendetta, quando si fosse presentata l'occasione più propizia. 
Vittime innocenti, furono proprio i due innamorati, che ricevettero il drastico ordine di mai più rivedersi pena la morte. 
Arabella si chiuse in un muto dolore che spense per sempre il suo dolce sorriso. 
Il giovane Trecchi cercò di ribellarsi all'ingiustizia: non volendo assolutamente rinunciare ad Arabella, giurò a se stesso che l'avrebbe rivista contro la volontà paterna a costo di sacrificare la vita. 
Fu così che, servendosi di rudimentali carte topografiche, ideò un sotterraneo che, partendo da Breda de' Bugni avrebbe dovuto sboccare nel cortile centrale di Terra Amata. 
Con l'aiuto di uno scudiero iniziò una di quelle fatiche e di quelle opere che forse neppure una forza erculea avrebbe potuto intraprendere; fu solo la disperata passione che non conosce limiti a spingerlo all'attuazione di quell'arduo e pericoloso progetto. 
Quando poté stabilire con una certa sicurezza il tempo che, gli sarebbe occorso per portare a compimento l'immane impresa, si preoccupò di informare la principessina del suo ardimentoso piano.

Terra Amata: Castello Soresina Vidoni
Inviò lo scudiero a Terra Amata con un biglietto sul quale erano indicati il giorno e l'ora in cui sarebbe uscito dal sotterraneo.
Il messaggio doveva essere consegnato ad Arabella celatamente; guai se il padre di lei avesse sospettato del giovane Filiberto. 
Lo scudiero giunse al castello, ma, per quanta prudenza ed astuzia usasse, fu riconosciuto come un dipendente della famiglia Trecchi e arrestato. 
Si cercò allora di strappargli il segreto del giovane conte, ma, nonostante le torture, non ne sortì confessione alcuna. 
Il principe Schinchinelli fece allora in modo che proprio nel momento in cui il successo dell'impresa stava arridendo al Trecchi, subentrasse fulminea la tragedia che avrebbe falciato le esistenze dei due innamorati. 
Arabella, quasi presaga della fosca ed inumana vendetta paterna, corse al balcone. 
Il giovane Filiberto, all' ora stabilita, uscì dal sotterraneo ignaro della tragica sorte che lo attendeva; alzò lo sguardo al balcone, sorridendo alla leggiadra figura di lei impietrita dal dolore e dallo spavento.
Dalle sue labbra salì un grido d'amore, subito soffocato da una spada omicida.
Arabella rispose con un gemito, pronunciò un nome, poi si lasciò cadere nel vuoto accanto al corpo dell'amato, unita a lui nel sonno della morte. 
Da allora il castello fu chiamato Terra degli Amanti che, col tempo, si mutò in Terramata.

Cavallara: Villa Schinchinelli
Anche Cavallara è un sito molto caratteristico per l'arte che vi è trasfusa e per la leggenda che lo circonda. 
Non era alla fine del secolo XV e al principio del XVI l'industriosa e moderna cascina che è tuttora, ma gli avanzi del suo passato, molti e preziosi, dimostrano il mecenatismo dei vari proprietari e in particolare dell'illustre casato De Poli.
La nobiltà di sangue di questa famiglia è documentata dallo stemma applicato sulle pareti della sala e dello studio, dove si può leggere:
« Giovanni e Giacomo fratelli De Poli, nativi del Cadore dalle vendite delle miniere di rame e di ferro scoperte e scavate in quel posto dai loro antenati, pervennero a comodo stato e potettero donare al governo di Venezia 100.000 ducati pei bisogni della guerra di Candia, per lo che furono fatti nobili dal Senato e dal Maggior Consiglio il 10 luglio 1363. 
Arma d'argento alla fascia d'azzurro caricata di tre stelle d'oro e accompagnata in corpo da tre rami d'olivo di verde, piedi uniti e moventi dalla fascia ».
Cavallara era stata costruita dai principi Schinchinelli, signori di Terramata, tra 1400 e il 1500 come luogo di lieto soggiorno e divertimento. 
Là si svolgevano le più splendide e fastose feste ballo e, nei suoi dintorni, interessanti battute di caccia cui partecipavano rinomatissime eminenze dell'aristocrazia locale e forestiera. 
Il castello si suddivideva in vasti saloni decorati ed affrescati, dove i migliori maestri dell'epoca avevano trasfuso la loro arte. 
Stupendi rosoni e stucchi completavano l'ornamentò del soffitto; meravigliosi scaloni marmorei dall'ampia scena prospettica disposti a due rampe divergenti, venivano introdotti da superbe sculture leonine che, nell'insieme fantastico di tutto il complesso, creavano un gioioso ambiente di fiaba. Numerosi caminetti definivano meglio il gusto squisito dell'epoca; uno di essi è stato trasportato nel castello di Terramata dagli stessi proprietari. 
Intorno alla casa patrizia si estendevano vastissimi frutteti che improntavano il luogo ad un'oasi di freschezza primaverile, mentre poco distante sorgevano una graziosa chiesa dedicata a S. Andrea ed un piccolo cimitero che gli elementi poi demolirono; le salme si trovano ora in una cappelletta edificata dai signori di Cavallara sul terreno Lazzaretto.
Si susseguirono nel luogo diversi castellani alcuni dei quali si sarebbero macchiati di atroci delitti. Narra infatti la leggenda che due fratelli, il cui nome è rimasto sconosciuto, solevano organizzare pomposissime feste e, mentre l'uno s'intratteneva con gli ospiti in lieto conversare, l’altro travestirlo da bandito aggrediva gli invitati per derubarne i gioielli. 
Una notte al termine di un baccanale, mentre alcuni gentiluomini, tra cui “Nonno Turina” ritornavano alle proprie abitazioni site nei pressi di Casalbuttano, giunti all'altezza del Santuario della Madonna Grafignana, incespicarono in una corda tesa attraverso la strada.
Essi capirono di essere caduti in un'imboscata e “Nonno Turina” invocò la protezione della Vergine, gridando:
«Madonna, aiutami».
Subito i cavalli si agitarono e, con l'impeto proprio della selvaggia esuberanza, ruppero la fune, e portarono in salvo i pericolanti. 
La veracità di questo fatto sarebbe suffragata da un medaglione in marmo incastonato nella parete sinistra del Santuario sul quale sta scritto: 
«Li 26 febbraio 1823 - F. Turina - P.G.R. ». 
Un'altra leggenda sostiene pure che nel castello di Cavallara si coniavano monete d'oro false che venivano impiegate per acquisti nella città di Brescia. 
Lo spacciatore di tali denari aveva escogitato un singolare stratagemma per trarsi d'impiccio, prima che il venditore si accorgesse di essere stato frodato con un cavallo velocissimo, ritornava precipitosamente a Cavallara correva fra i suoi contadini e con l'aria più ingenua esclamava:
«Guarda, credevo fosse molto più tardi e invece sono appena le tre ». 
Dando a chi l'ascoltava una nozione sbagliata del tempo. 
In tal modo, allorché la vittima dell'imbroglio indagava sul posto per dare consistenza ai suoi sospetti, era sempre fuorviato dalla questione dell'orario che non coincideva mai con quello della truffa per la connivenza involontaria degli amici del frodatore.
A parte però queste leggende che colorano di tinte un po' scure la fama di Cavallara, è doveroso sottolineare la bellezza artistica del luogo che, nonostante le mutilazioni e le cancellature del tempo rimane sempre un prezioso gioiello degno di ammirazione.

Castelverde: Palazzo Comunale dei Visconti di Marcignana
Altro edificio caratteristico è il municipio, Palazzo Comunale, nonostante il suo aspetto abbia subito alterazioni e mutamenti. Particolarmente rifatto è l'interno che è stato adattato alle necessità dell'ufficio comunale: rimangono tuttavia della vecchia struttura stucchi, cornici e fregi pregevoli oltre a tracce più essenziali della linea architettonica.
II palazzo fu residenza estiva dei conti Visconti di Marcignana, i quali, fra le altre proprietà, avevano in Cremona la casa signorile dell'attuale Collegio Canossiane. 
Nel 1711 essi acquistarono a Castagnino il podere Colenghi. 
Non si sa se il palazzo fosse anteriore alla loro venuta o se essi stessi lo fecero edificare. 
La dimora era circondata da un Grandioso parco: questo particolare induce a farne risalire la costruzione durante il secolo XVIII.

Queste notizie tra la storia e la leggenda sono veramente significative e danno degli utili elementi per costruire le vicende di questo territorio ricco di monumenti che andrebbero meglio valorizzati e conosciuti.


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