mercoledì 18 marzo 2015

La crocifissione del Pordenone nella Cattedrale di Cremona


Una scena coinvolgente quella realizzata da Giovanni Antonio de' Sacchis detto il Pordenone, nome della città di provenienza, in cui, nel Duomo di Cremona, rappresenta la scena della Crocifissione.
In questo stupendo affresco l'artista regala vibranti emozioni e dà vita alla rappresentazione di un mondo che slitta e frana in preda a una rabbiosa e divorante violenza che ha come principale riferimento il testo evangelico.
La grande Crocifissione realizzata nel 1521 occupa il registro centrale della controfacciata della Cattedrale di Cremona.
La rappresentazione è legata a precisi significati religiosi per i quali i fabbriceri del Duomo, che commissionarono l’opera, avevano dato chiare disposizioni.
Le loro indicazioni sono descritte chiaramente nella guida "La Cattedrale di Cremona - S. Borsotti S.Botticielli G.E.P. 1997":
"In primo piano, ai piedi del centurione che indica verso il Cristo, la terra è divisa dalla profonda fenditura che, secondo il Vangelo di Matteo, si aprì nell’attimo in cui Cristo spirò e alla stessa interpretazione è legato il cielo scuro e denso di nubi. 
La profonda spaccatura divide le figure ai piedi delle croci in due parti distinte: l’umanità redenta, sottolineata, in primo piano, dal gruppo della Vergine svenuta, dal San Longino a cavallo in atto di pentimento e, nello sfondo, dal buon ladrone sulla croce; l’umanità dannata esemplificata nella truce immagine del manigoldo che, con inaudita violenza, spezza le gambe al cattivo ladrone. 
Anche in questa scena il movimento vorticoso e la direzione degli ‘affetti’ convergono sull’immobile figura del Cristo, fulcro morale della composizione."
Molto interessanti ho trovato pure le considerazioni avvincenti di ArteGrandTour su Facebok che mi hanno proiettato veramente nel cuore dell'opera artistica.
Il centurione in primo piano, rappresentato in vesti cinquecentesche (quasi un ritratto dei soldati che sciamavano per le campagne d’Italia, sotto la guida di capitani stranieri), spinge l’attenzione dell’osservatore, come un ago magnetico, verso la croce di Gesù. 
L’intera scena ruota sul compasso del suo corpo: i gonfaloni si riempiono di vento, un grumo di donne si raccoglie intorno alla Vergine svenuta, e la terra si spacca, secondo il racconto evangelico, nella tensione di un gorgo di emozioni convulso come il pianto. 
Fissata sul diaframma che separa la cattedrale dal mondo, ultima immagine a colpire l'occhio di chi si appresta a lasciare lo spazio sacro, la Crocifissione condensa, in un tempo precocissimo, azzerando ogni filtro e mediazione idealizzante, il senso di tragedia che doveva serpeggiare in un'Italia ormai preda delle monarchie europee. 
Solo più tardi il sentore di questa crisi toccò le coscienze degli artisti impigliati nelle lussuose trame della curia pontificia, e con esiti orientati, all'opposto, alla squisitezza intellettuale ed estetica. Artista geniale e fuori dal comune nel panorama del Cinquecento italiano, il Pordenone intuì forse, all'opposto, la direzione verso cui procedevano le sorti del suo tempo osservando senza timore i suoi stessi istinti. 
Alcuni anni dopo aver rappresentato, nella Crocifissione cremonese, la violenza brutale latente nell’animo umano, l'artista fu coinvolto in un processo che lo accusava di aver assoldato alcuni sicari veneziani, incaricandoli di uccidere il fratello Baldassarre per impadronirsi di una parte dei suoi beni. 
In una testimonianza processuale, lo stesso Baldassarre, a proposito degli sgherri che l’avevano assalito, racconta: “... erano robusti... e ben formati, ed avevano aspetto, e cere de omeni terribili”: quasi un ritratto dei carnefici che popolano l'opera del fratello pittore. 
Tenendo come fondo remoto della memoria gli affreschi romani di Michelangelo e Raffaello, il loro nuovo senso del dinamismo e i bellissimi effetti notturni della seconda Stanza vaticana, Pordenone inventò a Cremona, con una tecnica straordinaria e quasi impossibile su muro, l’effetto turbinoso e del tutto originale di un temporale, che sbatte e torce gli spasimi opposti dei due ladroni. 
L'immagine della croce, introdotta dalla spada del soldato in primo piano, costruisce lo spazio in maniera sghemba e teatrale, come se il Golgota stesso fosse raffigurato in un moto di rotazione, con i tre crocifissi disposti in maniera insolitamente sghemba. 
Il corpo del cattivo ladrone, incurvato dallo strazio del manigoldo che ne spezza le gambe, imposta le forme e i movimenti su traiettorie sincopate, che tracciano vortici emotivi in grado di inghiottire lo spettatore, proiettandolo nel vivo di una scena in cui la scala monumentale delle figure lascia sprigionare un’intensità patetica senza paragoni.
Si tratta quindi di una scena intensa e drammatica che merita attenzione e assolutamente da vedere ed ammirare...


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