mercoledì 22 giugno 2016

Marco D'Agostino - Gianluca Firetti: SPACCATO IN DUE l'alfabeto di Gianluca

Leggere il libro “Spaccato in due” di Gianluca Firetti e Marco D’Agostino significa immergersi in una storia che apre il cuore, commuove, ma soprattutto fa comprendere come tanto dolore è intorno a noi.
Ci sono tante famiglie che hanno a che fare con malattie inesorabili e magari ci sono accanto e non ce ne accorgiamo.
Diventa un’esame di coscienza sui nostri “enormi” problemi che sembrano insormontabili, ma che invece sono ben poca cosa dinanzi a testimonianze come queste.
Conosco Marco D’Agostino, prete cremonese, un amico, so quanto le sue parole vogliono cogliere nel segno, raggiungere la verità delle cose, in uno spirito autentico e libero.
Il racconto, fatto a quattro mani, con Gian è risultato quindi un’opera di grande suggestione, qualcosa che lascia il segno, fa piangere, fa sperare ed è una lezione sull’amore vero.
In una pagina del testo Marco D’Agostino, esprime queste semplici considerazioni che riassumono il senso di tutto il libro:
“Incontrare Gian significa avere nostalgia del bene.
Lo raccontano le sue parole, i suoi sorrisi, i suoi occhi, pieni di cielo pulito. Ricchi di amore.”
Il libro vuole raccontare i sentimenti e i pensieri di Gianluca, espressi con semplicità disarmante, sulla sua esperienza di lotta contro un tumore.
Si sviluppa sulle lettere dell’alfabeto ad ognuna delle quali corrisponde una parola che riflette la vita di Gian nel momento della malattia.
Parlare di dolore è difficile e drammatico e come si dice nella presentazione del testo “si rischia la retorica”. Ma in questo caso è proprio chi soffre che conduce la riflessione. Allora veramente la prospettiva cambia.
Il testo risulta allora genuino, puro, sincero, intenso ed è un’iniezione di saggezza per chi lo legge. “Nella malattia con speranza. Nella salute senza superficialità.”
Le parole di Gian
“Il libro mi racconta con verità… E’ una storia di dolore, ma anche di fede, come dovrebbe essere la storia di tutti quanti.
Le esperienze raccontate hanno permesso a me di presentarmi così come sono, anche molto debole in questo momento, ma molto forte in altre situazioni.
Tutto quello che ho imparato nella malattia viene qui condiviso con chi vorrà leggerlo.
Auguro a tutti di leggere questo testo e meditarlo. Lettera per lettera.
Contiene la nostra vita in tutta la sua lunghezza.
In fondo – come ho detto con mio fratello – “Noi siamo fatti per il cielo. Per sempre: Per l’eternità.
Allora, buona lettura!
In questo libro mi ritroverai, in ogni pagina. E io troverò te.
Sento che, in Dio, siamo già amici".
Di Gianluca Firetti possiamo dire che, come ci racconta la copertina del libro, è stato un perito agrario, calciatore, che nel dicembre 2012, a 18 anni si è ammalato di tumore.
Tutto nella sua vita è cambiato, ma ha accettato la sua situazione e, in queste pagine, racconta se stesso, mostrando come, nella lotta, si diventa pienamente uomini.
Muore il 30 gennaio 2015, nel giorno in cui giungono dalla tipografia le prime del suo libro.
Adesso
La lettera A commentata da Gian richiama la parola Adesso, riferita alla preghiera:
"Adesso e nell’ora della nostra morte".
In questa riflessione Marco D’Agostino mette in evidenza la verità di Gian nel rapportarsi a chiunque:
“Gianluca non è triste. E’ vero.
Vero nel porsi, con la sua fragilità che lo stanca e lo consuma.
Vero nel parlare, perché vive con i piedi per terra e sa come funziona il mondo.Vero nelle relazioni, perché sa distinguere correttamente chi va a trovarlo per convenzione, per amicizia, per curiosità, perché gli vuol bene.
Vero nel relazionarsi, perché sa che la prova che sta vivendo è solamente sua e vuole affrontarla, pur nelle stanchezze, come meglio può.
Gianluca attende. Sa che qualcosa succederà.
E come dice lui: “Qualsiasi cosa succeda, sarà qualcosa di bello. Sia che finisca in un modo, sia che finisca in un altro”.
Per Gianluca “adesso” e “l’ora della morte” sono coincidenti. E’ la sua vita. Convince con questo pensiero.
Se pregassimo sempre l’Ave Maria così, come Gianluca, la nostra vita sarebbe migliore. Più bella. Luminosa. Santa. Anche nella sofferenza e nel dolore.

Medaglia
La lettera M ricorda a Gian la medaglia d’oro vinta dal suo amico Emanuele campione di canoa e a lui regalata.
“Mi ha detto che quella medaglia era stata vinta da lui con sacrificio e allenamento, ma è una medaglia datagli per una semplice gara, durata semplicemente pochi secondi”.
“E tu, invece, perché la meriti?”.
“Perché – mi ha detto Emanuele – che le medaglie d’oro si danno ai vincenti, coloro che vincono le battaglie di tutti i giorni e la mia, contro la malattia, è una battaglia che devo vincere”.
Gian toglie dal collo la medaglia e la rimette sul comodino.
Non è ancora ora di indossarla definitivamente.
La battaglia richiede ancora molta fatica e forze.
E’ contento. Sa di essere un potenziale vincitore.
“Ema ha un cuore grande”, commenta mentre depone quell’oro regalatogli da un ragazzo come lui.
Attimi di felicità che squarciano la tristezza del dolore…

Impressioni
La storia di Gian che si legge nel libro emerge nella sua intensa vitalità.
E’ un alfabeto del tutto particolare che sa trasmettere emozioni e comunicare al cuore di tutti e in particolare dei giovani.
Gian ti coinvolge nel suo cammino e il dolore sembra assumere quell’aria e quella ventata di fresca naturalezza. L’amore, l’autenticità di una testimonianza sono una forza dirompente che contagia il mondo.
Mi ricorda le migliaia di candeline al termine del film “Un sogno per domani” (Pay It Forward) ispirato al libro “La formula del cuore di Catherine Ryan Hyde”, dove anche li la morte di un giovane riempie di luce la città.
Anche Trevor, il protagonista del film, alla fine muore per testimoniare la sua idea di migliorare il mondo, ha pensato al bene di tutti più che al proprio, ma la sua proposta non muore con lui.
Il film si conclude con una immagine di coinvolgimento di moltissime persone che hanno capito il suo messaggio.
Così è stata la testimonianza di Gian, che risalta dal libro, essa non è altro che un testamento di amore.
Gian ci invita a non sprecare un solo istante della nostra vita, ci insegna che la sua verità di persona ha portato una luce a tantissime persone che hanno conosciuto la sua storia.
“Gian - sottolinea Marco D’Agostino – è un santo giovane ha il linguaggio fresco e spontaneo dei giovani.
Rappresenta il mistero di una vita – già eterna – che sperimentiamo straordinariamente bella. Un fiore appena sbocciato e così profumato”.

martedì 21 giugno 2016

La COLLEGIATA di CASTELSANGIOVANNI

La predica del Battista- Pietro Melchiorre Ferri da Sissa 1771
La Collegiata di CASTELSANGIOVANNI è una superba chiesa in provincia di Piacenza che merita attenzione.
Ho partecipato alla presentazione del testo di Jo Nani "Solenne viandante nella storia", viaggio nell'arte della Collegiata e sono rimasto ammirato dalla bellezza del suggestivo edificio sacro.
L’interno della chiesa  ha un impianto basilicale.
Alcuni pilastri in cotti reggono la copertura.
Molto bello è l’impianto pittorico del monumento, basato su tematiche dell’antico testamento.
Da vedere all’interno della Chiesa sono soprattutto il fonte battesimale in marmo, il Crocifisso realizzato da Giacomo e Giovanni Angelo del Maino.
L’altare maggiore è completato con la pala d’altare di Pietro Melchiorre Ferrari.
L’opera d’arte riprende il tema della Predicazione di San Giovanni Battista nel Deserto.
Crocifisso- Giacomo e Giovan Angelo del Maino 1496
interno lato sinistro chiesa
Statue barocche Dalmazio della Porta

Madonna del Santo Rosario 1650

Decorazioni a stucco
Ancona con Madonne e Santi - Sebastiano Novelli -1540


decorazioni a stucco




















mercoledì 15 giugno 2016

Collegio ALBERONI a Piacenza: l'appartamento del CARDINALE

Scrivania del Cardinale
Nel prestigioso Collegio ALBERONI, l'omonimo Cardinale si era ritagliato un piccolo appartamento dove ancora oggi possiamo ammirare delle splendide opere.
Se il cardinale Alberoni stabilì la sua residenza piacentina nel palazzo presso San Savino, acquistato nel 1742 dai conti Barattieri, dove infine chiuse la sua dimora terrena il 26 giugno del 1752, anche presso il Collegio, al piano nobile al di sopra dell’ingresso (sul fianco sinistro della chiesa), il prelato aveva riservato a sé un piccolo appartamento di tre camere, con attigua cappella privata.
Prima di accedere all’appartamento si può ammirare, sullo scalone al primo piano, una grande pala d’altare, proveniente dalla collezione piacentina del cardinale, raffigurante il Sacrificio di Isacco: è una buona replica seicentesca di un dipinto di Francesco Cairo (1607-1665), oggi in una collezione privata.
Nel corridoio che porta all’appartamento si può invece vedere una Sacra Famiglia con Sant’Elisabetta e San Giovannino, di anonimo seguace fiorentino di Raffaello (prima metà del XVI secolo), che il cardinale credeva di mano del Sanzio e che invece è una rielaborazione della celebre Madonna Canigiani (Monaco di Baviera, Alte Pinakothek) del grande maestro urbinate; altra replica è la Cena in Emmaus, da un celebre originale di Tiziano oggi al Louvre, in origine eseguito dal grande pittore veneto per il conte Nicola Maffei di Mantova.
Pendola in legno
Proprio all’ingresso dell’appartamento è appeso il celebre Ritratto del cardinale Alberoni di Giovanni Maria delle Piane detto il Mulinaretto (1660-1745), il primo artista contemporaneo con il quale il Cardinale entrò in contatto.

GLI ARREDI

All’interno dell’appartamento del cardinale si possono ammirare alcuni preziosi arredi provenienti dal patrimonio dell’Alberoni: la splendida Pendola in legno laccato decorata con motivi di cineseria, realizzata a Londra dall’orologiaio George Clarke (notizie dal 1725 al ’40), probabile dono della regina Maria Clementina Sobieski, moglie di Giacomo Stuart, pretendente al trono d’Inghilterra.
Sempre legato al gusto per l’esotico caratteristico delle metà del Settecento è anche il delizioso Scrittoio da viaggio con una decorazione in oro su lacca amaranto, un oggetto probabilmente realizzato in Cina per il fiorente mercato europeo. Ascrivibile invece ad un ebanista locale è la Scrivania “grande tutta impellicciata ed intarsiata di vari legni” (Inventario 1749, n. 153), che reca sul casseto centrale lo stemma del cardinale.

I DIPINTI

Le piccole sale dell’Appartamento ospitano alcuni dei più significativi dipinti della raccolta del cardinale e anche alcuni quadri provenienti da successive donazioni, in particolare giunti in Collegio per interessamento di Gian Felice Rossi (1905-1987), che per molti anni fu l’attento custode del patrimonio artistico alberoniano. Fra questi ultimi ricordiamo la Sacra Famiglia con San Giovannino, squisita opera di scuola toscana databile al 1490 circa, che è stata giustamente avvicinata alla mano del Maestro dei putti bizzarri, un pittore attivo fra Volterra e Siena negli ultimi trent’anni del Quattrocento, vicino ad artisti come Bartolomeo della Gatta e il Maestro di Griselda, ma soprattutto a Luca Signorelli. Sempre alla generosità di padre Rossi si deve laMadonna col Bambino col pappagallo, interessante opera di scuola fiamminga dei primi anni del Cinquecento. in un momento nel quale si assiste all’incontro tra la tradizione nordica, evidente nel paesaggio, e le forme rinascimentali italiane, qui ben percepibili nell’ampia monumentalità della Vergine.
Anche il cardinale possedeva nella propria raccolta diverse opere di artisti della tradizione fiamminga che si possono così ammirare tra i dipinti dell’Appartamento: la Madonna col Bambino della Scuola di Jos van Cleve (circa 1484-1540), un piccolo Cristo risorto che appare alla Vergine, tradizionalmente riferito a Dirck Bouts (circa 1400-1475) e la bellissima Visione di San Giovanni a Patmos di Heni Met de Bles detto il Civetta (circa 1510-1555?). (da collegioalberoni.it)



domenica 12 giugno 2016

Collegio ALBERONI di Piacenza: la BIBLIOTECA

Entrare nella biblioteca del Collegio Alberoni significa immergersi in un mondo di cultura affascinante.
Sono presenti libri antichi, incunaboli preziosi: si tratta di un ambiente dove la stessa visione di una grande quantità di libri regala intense emozioni.
La biblioteca nasceva in un momento in cui si formavano le grandi concentrazioni librarie come strumento di supporto agli studi. Papi e cardinali si erano aperti al mecenatismo bibliografico. Nel 1609 il card. Federico Borromeo apriva l’Ambrosiana di Milano.
Seguivano altre biblioteche importanti tra cui a Roma l’Angelica, l’Alessandrina, la Casanatense. Negli anni dell’Alberoni o poco dopo si collocano la Palatina di Parma e la Braidense di Milano.
E’ presente tra l’altro una copia della Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti diGalileo Galilei (Roma, 1613), mentre L’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert venne acquistata a fascicoli man mano che veniva pubblicata nella celebre edizione di Livorno (1770).
Ricca la presenza di incunaboli e cinquecentine. Tra i primi il più antico è la Historia romana di Eutropio stampata a Roma nel 1471;
va poi ricordato il Liber Chronicarum di Hartman Schedel, pubblicato a Norimberga nel 1493, ornato da preziose xilografie dovute ad artisti diversi tra i quali il giovane Albrecht Dürer, la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità di Fra Luca Pacioli del 1494 e l’edizione milanese del 1488 degli Opuscola di San Tommaso d’Acquino.
Tra le seconde, circa un migliaio, vanno ricordati i volumi della Bibbia poliglotta (in ebraico, caldeo, greco e latino), stampati ad Anversa nella celebre stamperia Plantin (1569-72), i dieci volumi delle Opere di San Girolamo nell’edizione basileense di Froben (1524-26), curata tra gli altri da Reuchlin e da Erasmo da Rotterdam, la rarissima edizione del De Asse et partibus eius del grande filologo francese Guillaume Budé, stampata a Venezia da Aldo Manuzio nel   1522. Vi sono poi gli Atti e decreti del Concilio di Trento (Brescia, 1563) e un’edizione ginevrina del 1592 dell’Institutio christianae religionis di Giovanni Calvino.

GLI ERBARI

Di particolare importanza il pregevole materiale naturalistico donato nel 1810 dal francescano minore riformato padre Zaccaria da Piacenza O.F.M., al secolo Carlo Francesco Berta (1721-1814),
botanico e naturalista di gran fama.
Questo studioso lasciò in eredità al Collegio le sue collezioni scientifiche, i suoi erbari secchi e dipinti con la relativa biblioteca specializzata in riconoscenza per averlo accolto a S. Lazzaro dopo la soppressione napoleonica del convento francescano di S. Maria di Campagna.
Eccelle tra questi il suo celebre Erbario, uno dei cimeli storico-artistici più importanti del Collegio Alberoni soprattutto per la valenza storico-scientifica del suo contenuto che ci permette di entrare nello spirito del suo ideatore seguendone gli interessi naturalistici e aprendo
uno spaccato del tempo in cui operò proprio in base alla scelta delle essenze presenti e alle descrizioni delle stesse. (da collegioalberoni.it)










Antonello da Messina: Ecce Homo, capolavoro del Collegio Alberoni di Piacenza





Preziosissimo capolavoro tra i più intensi e drammatici di uno dei maggiori artisti della pittura occidentale.
 A questo assoluto gioiello artistico è interamente dedicata la terza sala dell’appartamento del cardinale nel Collegio Alberoni di Piacenza.
Seguiamo la visita guidata su Youtube

sabato 11 giugno 2016

Sala degli ARAZZI - Collegio ALBERONI Piacenza

Entrare nella Sala degli Arazzi del Collegio Alberoni di Piacenza significa immergersi in un sublime mondo di immagini affascinanti.
La moderna sala è tappezzata da questi antichi arazzi.
Pregevolissima, per numero e qualità dei pezzi, è questa collezione lasciata dal cardinale. Si tratta di diciotto superbi capolavori, suddivisi in tre serie diverse: gli otto pezzi della Serie di Enea e Didone, tessuti dall’arazziere Michel Wauters di Anversa intorno al 1670 su cartoni di Giovan Francesco Romanelli, il maggiore allievo di Pietro da Cortona; gli otto pezzi dellaSerie di Alessandro Magno, tessuti da un ignoto arazziere fiammingo attivo a Bruxelles nella seconda metà del Seicento (forse Jan Leyniers) su probabili cartoni di Jacob Jordaens, uno dei più importanti seguaci di Rubens; e infine i due arazzi più antichi e preziosi, quelli della cosiddetta Serie di Priamo.

GLI ARAZZI DELLA SERIE DI PRIAMO
Sono due pezzi in lana e seta dalle dimensioni eccezionali, quasi quattro metri d’altezza e cinque e mezzo di lunghezza, con due sontuose raffigurazioni: un Corteo regale sul primo e un Ricevimento con banchetto di nozze sul secondo. La narrazione procede da sinistra a destra e tutti i personaggi sono abbigliati con eleganti e fastosi costumi alla moda borgognona.
Nel primo arazzo sopra un alabarda portata da un vecchio con turbante vi è la scritta Preamvs, fatto che ha condotto al riconoscimento della vicenda narrata nei due manufatti: si tratta di episodi tratti dal Romanzo di Troia, probabilmente l’arrivo in nave di Paride ed Elena a Troia, dove essi sono accolti dai genitori dell’eroe Priamo ed Ecuba (primo arazzo), e il banchetto organizzato per festeggiarli, come induce a pensare la presenza di quattro personaggi di rango regale - due più vecchi e due più giovani – presso la tavola raffigurata in alto a destra sul secondo arazzo.
Nulla sappiamo circa la committenza di questi due prestigiosi pezzi, che deve essere comunque stata di alto livello: sono stati sicuramente tessuti a Bruxelles, intorno al 1520, da un arazziere che è stato variamente identificato dagli specialisti, ora in Pieter de Pannemaker ora in Pieter Van Aelst. Anche il nome del “cartonista”, cioè di colui che ha fornito i disegni, rimane di problematica individuazione, anche se il nome speso più di frequente dagli studiosi è stato quello di Jan van Roome,  attivissimo pittore e disegnatore per arazzi, vetrate e sculture a Mechelen e a Bruxelles nei primi anni del Cinquecento.



GLI ARAZZI DELLA SERIE DI ENEA E DIDONE
Significativa pure la serie di otto arazzi con le Storie di Didone ed Enea, i quali raffigurano, con un linguaggio barocco di grande effetto decorativo, gli episodi salienti dalla tragica vicenda della regina cartaginese innamorata di Enea, estrapolati ovviamente dal I libro dell’Eneide di Virgilio.
Leggendo l’inventario dei beni lasciati dall’arazziere Michiel Wauters, morto ad Anversa il 26 agosto 1679, risulta che egli aveva tessuto quattro volte la storia di Didone ed Enea in otto pezzi e che solo una delle riproduzioni giaceva nella sua bottega di Anversa, mentre le altre erano state depositate per la vendita a Vienna, Roma e Lisbona.
Quella di Roma era nelle mani del mercante Antonio Verpennen ed è perciò plausibile pensare che sia proprio questa quella acquistata diversi anni più tardi dal cardinale Alberoni per ornare il proprio palazzo romano.

GLI ARAZZI DELLA SERIE DI ALESSANDRO MAGNO
Forse tessuti dall’arazziere di Bruxelles Jan Leyniers (1630-1686) sulla base di cartoni forniti da Jacob Jordaens (1593-1678), sono invece gli otto arazzi dell’ultima serie alberoniana, con la narrazione delle 'Storie di Alessandro Magno', tratte quasi sicuramente dal De rebus gestis Alexandri Magni di Quinto Curzio Rufo.   da collegioalberoni.it
Allessandro nel cuore della battaglia




















domenica 5 giugno 2016

Storia di Cremona nel Medioevo

Palazzo Comunale
Nel 1098 la contessa di Canossa donò ai rappresentanti della Chiesa e del Comune di Cremona l'isola Fulcheria, territorio compreso tra i fiumi Adda e Serio nel cremasco: è in questa occasione che venne per la prima volta nominato il Comune ed è pertanto a questa data che si fa risalire la costituzione della città in libero Comune.
Nel corso del XII secolo Cremona raggiunse una notevole ricchezza e floridezza grazie allo sviluppo del commercio fluviale rafforzando al contempo le varie forme di governo comunale. Nello stesso periodo l'importanza politica ed economica della città portò ad un rinnovamento edilizio, culminato nella costruzione dello straordinario complesso monumentale della piazza del Comune: l'unità fra Chiesa e Comune venne sancita con l'erezione nel 1107 della nuova Cattedrale.

Essa divenne il primo centro della vita comunale, luogo non soltanto di preghiera, ma casa di tutti i cittadini: in essa o nell'antistante piazza venivano benedetti carroccio e stendardo, si prestavano giuramenti, si tenevano le prime riunioni degli uomini del Comune per assumere le decisioni riguardanti la vita pubblica, finché non venne costruito nel 1206 il Palazzo Comunale di fronte alla Cattedrale.
Tra il 1169 ed il 1187 lo sviluppo urbano fu completato dall'edificazione di una nuova imponente cerchia di mura, che portò il centro storico ad assumere quella configurazione che lo caratterizza ancora oggi.

Gli imperatori concessero a Cremona numerosi privilegi, testimonianza questa della politica filoimperiale tenuta dal Comune fino alla prima metà del Duecento: aderì alla politica di Federico Barbarossa contro Crema e Milano, ma pur entrando a far parte della Lega Lombarda nel 1167, assunse un ruolo di mediatrice fra l'Imperatore e i Comuni e nessun soldato cremonese combattè nella battaglia di Legnano del 1176.

Sempre caratterizzati da fedeltà e sostegno reciproco furono i rapporti tra Cremona e Federico II, nipote del Barbarossa: la città fu il quartier generale dell'esercito imperiale nelle lotte contro i Comuni lombardi e ospitò più volte l'Imperatore e la sua corte in occasione dei suoi frequenti soggiorni. Dopo la morte dell'Imperatore nel 1250 per la città iniziò un lungo periodo di lotte interne fra le opposte fazioni guelfa e ghibellina che durarono fino al 1334, anno in cui Cremona fu conquistata da Azzone Visconti, signore di Milano, ponendo così fine all'autonomia comunale.

Cremona divenne il porto fluviale di Milano, il commercio e la navigazione sul
Veduta dal Torrazzo
Po ne trassero beneficio con risultati positivi per l'economia che poteva contare anche su una fiorente agricoltura e una ricca industria tessile. A partire dal 1420, dopo un breve periodo di crisi del dominio visconteo all'inizio del XV secolo, la città entrò definitivamente a far parte del Ducato di Milano, seguendone le sorti fino all'unità d'Italia.

Nel 1441 vi furono celebrate le nozze tra Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, che recò in dote la città: la tradizione fa risalire a questo avvenimento la nascita del torrone, che sarebbe stato servito per la prima volta in forma di torre durante il banchetto.

Per Cremona fu un periodo di benessere e tranquillità, conseguenza del saggio governo di Bianca Maria, molto amata dal popolo: la duchessa ne favorì il rinnovamento urbanistico con numerose opere pubbliche, a cui si adeguarno ricche famiglie di mercanti che costruirono sontuose dimore patrizie.
Nella seconda metà del XV secolo Cremona assunse quella dignità elegante e raffinata in stile rinascimentale ancor oggi visibile sia nei palazzi che nelle chiese cittadine

 Da  cremonacitta.it   Il Medioevo a Cremona