mercoledì 21 febbraio 2018

La vita monastica a Cremona XI secolo - François Menant


In diocesi di Cremona si contano, nel corso della sua storia, più di 60 monasteri e priorati, in gran parte governati da una delle forme della regola di san Benedetto.
Il monachesimo cremonese non può certamente vantarsi di antiche case o di capi di congregazioni influenti al di fuori della diocesi, tuttavia la vita monastica in diocesi fu sempre curata tra la fine del X e la fine del XVIII secolo.
In questi otto secoli, il periodo tra la metà dell' XI e il corso del XIII rappresenta la fase di maggior fioritura, in tutti i campi: entusiasmo spirituale, potenza economica, influenza sul mondo caratterizzano i monasteri cremonesi dell’epoca, che si moltiplicano rapidamente e beneficiano di notevoli donazioni(1).

Le origini: S. Lorenzo (990) e i precedenti leggendari
Quasi fino all'anno Mille non vi fu alcun insediamento monastico nella diocesi. In seguito. in epoche diverse, furono messe in circolazione delle leggende e fabbricati dei falsi per «invecchiare» alcuni monasteri, ponendo la loro fondazione nel periodo longobardo o nel X secolo; tuttavia la critica moderna ha dimostrato la vanità di tali pretese. Cosi — fra gli altri — un documento redatto dai monaci di Nonantola tentava di far risalire l'esistenza di S. Silvestro al 753 e un falso diploma di Berengario I certificava la fondazione nel 626 di un monastero di S. Pietro a Soncino. D'altronde S. Benedetto di Crema sarebbe stato fondato al termine del VI secolo, secondo una fantasiosa tradizione raccolta da Pietro Terni nel XVI secolo(2).
La più antica presenza monastica debitamente attestata a Cremona data in realtà soltanto dal 927 ed è assai modesta: si tratta della chiesa di S. Silvestro, all'epoca una semplice «cella», cioè una piccola casa senza alcuna autonomia, appartenente alla grande abbazia di Nonantola(3). Il primo vero monastero della diocesi, S. Lorenzo, compare il 31 maggio 990, nel giorno in cui il vescovo Olderico, che l’ha appena costruito nel sobborgo nord-est della città, lo dota generosamente assegnandogli l'immensa proprietà di Piadena (che verrà presto usurpata da Bonifacio di Canossa) e numerose altre proprietà. Il vescovo dispone che i monaci, posti sotto la sua tutela, vivano secondo la regola
di san Benedetto. Nel 1021 il vescovo Landolfo a sua volta dona a S. Lorenzo la chiesa urbana di S. Vittore, che diventerà priorato per almeno due secoli.
Malgrado gravi disordini provocati dall'incuria dell'abate poco prima del 1040, S. Lorenzo rimane uno dei grandi monasteri cremonesi, reso illustre nel XIV secolo dalla cronaca di Alberto de Bezanis; rimane oggi ancora la chiesa del  XII secolo notevolmente rimaneggiata(4).

La fine dell' XI secolo: i grandi monasteri riformatori
Il primo terzo dell' XI secolo assiste al subitaneo moltiplicarsi dei monasteri cremonesi: non meno di sei vengono fondati in città ed altri sei o sette nella regione di Crema, nella quale il movimento di espansione cessa all’inizio del XII secolo. Queste fondazioni, destinate a durare parecchi secoli ed alcune con un ruolo molto importante, presentano caratteristiche del tutto particolari al loro sorgere, poiché sono per lo più ispirate ai due grandi movimenti operanti nella Chiesa del tempo: la riforma gregoriana e l'ordine di Cluny.
Il primo monastero e S. Tommaso, fondato nel 1066 da una coppia di cittadini, Cremoxianus Treseverti e Roza, intorno ad una chiesa che avevano edificata poco tempo prima; istituiscono un collegio di sei preti casti e dotti che vivranno in comunità grazie ad una piccola rendita fondiaria: viene rapidamente adottata la regola di san Benedetto, com'era nel desiderio dei fondatori, e il monastero passa sotto la diretta autorità del papa. La chiesa è consacrata nel 1078 da Bonizone di Sutri, grande figura della riforma ecclesiastica. S. Tommaso — di cui rimane oggi soltanto il nome di una via — sarà uno dei grandi monasteri di Cremona fino al XVIII secolo.
Nel medesimo periodo il notaio Ardingus e la moglie Edina costruiscono S. Pietro Po in riva al fiume, nel quartiere commerciale, e inseguito l'offrono in dono alla Sede Apostolica nel 1071. L’abate Cristoforo è a capo dei primi patarini della città (1067-1068), segno indicativo dello spirito nel quale fu fondata questa comunità; così pure la dedicazione a Pietro e Paolo riflette l'ispirazione pontificia. Nel 1078 Gregorio VII precisa la completa indipendenza del monastero dal Vescovo; S. Pietro Po conserverà una certa influenza fino al XVIII secolo; è rimasta la chiesa e sono stati conservati notevoli archivi.
Nel 1076 s’insedia a Cremona l’ordine di Cluny: Alberto da Fontanella, sua moglie e due altri abitanti della città offrono alla grande abbazia della Borgogna un terreno vicino a S. Pietro Po per costruirvi un priorato. La sua rendita comprende soltanto quattro mansi (fondi agricoli), ma un privilegio pontificio del 1132 indica che nel frattempo vi erano state aggiunte, probabilmente come donazioni, otto chiese rurali e quella urbana di S. Ippolito; il medesimo privilegio vi unisce una decima chiesa, quella d’Olmeneta. Non si conosce bene la storia successiva di S. Gabriele, che non sembra aver esercitato grande influsso sulla città; nel 1367 conta ancora 4 monaci e scompare prima
del XVI secolo(5).
Tre anni dopo (1079) viene fondato un monastero femminile e offerto alla Sede Apostolica dal conte di Sospiro Bernardo: S. Giovanni Evangelista della Pipia si trova sull’omonimo corso d’acqua, a nord-est delle mura. La sua dotazione è notevolmente più alta di quelle degli altri monasteri: consiste in un intero paese, Pescarolo, con castello e signoria, oltre che in alcune terre in altri luoghi. Riparleremo di questa grande comunità che, dopo una grave decadenza, conobbe nel XIII secolo un
nuovo splendore sotto la regola cistercense.
Nel 1089 l’abate di Nonantola fonda a sua volta un monastero, S.Benedetto, concedendo ad un gruppo di donne di stabilirsi su un terreno vicino alla città: la comunità avrà sorti alterne nel XII e XIII secolo.
In data incerta, prima del 1090, sorge infine l’ultimo della serie dei monasteri urbani: S. Salvatore, dovuto all'iniziativa del cremonese Atto, figlio di Astolfo, e offerto alla Sede Apostolica. I pochi documenti rimasti degli archivi di S. Salvatore testimoniano nel XII e XIII secolo un’esistenza tranquilla, sotto la tutela del papa e dei discendenti del fondatore.
I monasteri rurali creati nel medesimo periodo si concentrano intorno a Crema. Nel 1079 si costituiscono prima due dipendenze (cellae) del priorato cluniacense di S. Paolo d’Argon, fondato presso Bergamo dal conte Giselberto IV(6): questi dona, fra gli altri beni, la chiesa della S.ma Trinità di Crema e quella di Ombriano con il castello, in rovina, del luogo: ambedue dipendono dalla diocesi di Piacenza che inglobava una parte del territorio Cremasco. E difficile dire se dei monaci vi abbiano risieduto in seguito. Argon acquisisce inoltre, prima del 1095, S. Pietro di Madignano dove alcuni monaci vivono almeno fino al 1367.
Il 1° dicembre 1097, un cugino di Giselberto IV, il conte Enrico,fonda alle porte di Crema e offre a Montecassino (caso unico nell’Italia settentrionale) il priorato di S. Benedetto, largamente dotato di terre e di chiese nei dintorni. S. Benedetto rimarrà fino al XVIII secolo sotto la tutela di Montecassino. La donazione è fatta "con l'approvazione di tutto il popolo di Crema" di cui Enrico è signore; essa avviene in circostanze molto particolari: nel momento in cui la contessa Matilde scatena una lotta secolare tra Crema e Cremona, assegnando a quest'ultima l'Insula Fulcheria, cioè la piccola regione dove Crema estendeva la propria influenza (1 gennaio 1098). La fondazione di S. Benedetto e la sua dipendenza da un monastero molto lontano ed esente (ciò indipendente dalla giurisdizione episcopale) hanno un obiettivo politico preciso: dare un centro d'unità spirituale ai Cremaschi e sottrarre all'autorità del vescovo di Cremona il maggior numero possibile di chiese rurali.
Per tutto il XII secolo S. Benedetto assumerà il ruolo di sostegno religioso della indipendenza cremasca (7).
I conti di Bergamo fondano ancora un altro monastero nella diocesi di Cremona, S. Fabiano di Farinate (oggi comune di Capralba), offerto alla Sede Apostolica da un gruppo di fratelli o cugini di questo lignaggio nel 1114(8). Si tratta di una piccola comunità femminile, posta sin dal 1169 sotto l'autorità della badessa di S. Damiano di Dovera, probabilmente per la sua povertà. S. Daminao stesso fu probabilmente fondato dalla famiglia da Dovara, una delle grandi famiglie feudali di Cremona, i cui inizi restano oscuri, lo si conosce meglio dopo il 1169: a quell'epoca è una piccola comunità indipendente, la cui influenza è solamente locale monache s'insediano a Lodi nel XV secolo mentre quelle di Farinate raggiungono Crema(9).
Un ultimo monastero creato in quel periodo, sempre nella stessa regione, è S. Ambrogio di Rivolta d’Adda, sottoposto alla Sede Apostolica nel 1106 dal gruppo di monache che si reano insediate presso una chiesa preesistente. Sopravvive fino al 15580, poi viene riunito al Monastero Maggiore di Milano.
All'altra estremità della diocesi, in quel periodo esiste già il monastero maschile di S. Maria della Geronda; nel 1101 il vescovo di Trento lo cede all'abate di S. Tommaso d'Acquanegra sul Chiese (diocesi di Brescia). E un episodio molto oscuro, come il resto della storia della Geronda; si sa soltanto che gli edifici monastici erano pressoché deserti all'inizio del XIV secolo.
L'improvviso moltiplicarsi dei monasteri alla fine dell' XI secolo non è certamente casuale: si tratta di una modalità d'espressione, in terra cremonese, della riforma della Chiesa nei suoi vari apsetti e sfumature. La fondazione di quattro monasteri urbani sottoposti a Roma (S. TOmmaso, S. Pietro Po, S. Giovanni della Pipia, S. Salvatore) rappresenta un elemento essenziale della pataria(10). I primi due sorgono proprio allorché si scatena la lotta contro il Vescovo e il clero corrotto:
l'abate di S. Pietro P0 è il capo dei patarini, S. Tommaso è consacrato da Bonizone di Sutri e gli atti di fondazione delle due comunità sono carichi di diffidenza verso il vescovo e di precauzione per proteggere l'indipendenza dei monaci. Nel medesimo periodo i monaci di S. Lorenzo abbracciano anch’essi il partito della riforma: sono oggetto delle persecuzioni del vescovo e Bonizone sarebbe venuto a morire in mezzo a loro.
Le circostanze della fondazione di S. Giovanni della Pipia sono più sfumate: Bernardo di Sospiro si trova ancora a fianco del vescovo poco tempo prima e la fondazione sembra costituire il primo atto
della sua conversione alla riforma. Riguardo alla creazione di S. Salvatore, realizzata in un’epoca in cui i riformatori hanno appena ottenuto il trionfo, si inserisce di fatto nella via tracciata da essi. Vivai di preti puri e baluardi della lotta contro una gerarchia corrotta, i monasteri hanno una posizione particolare nell’Italia padana del tempo: a Milano, come a Piacenza, i monasteri cittadini sono ostili ai patarini(11).
Forse la scarsa presenza di buoni sacerdoti spinse i riformatori cremonesi a insediare dei Benedettini (a Milano la stessa situazione porta a rivolgersi ai Vallombrosani).
I monasteri femminili poi sono i luoghi di preghiera indispensabili per il successo della riforma e diventano utili per impedire di nuocerealle donne che, esaltate nel proprio zelo, pretendevano poteri esorbitanti come la predicazione: la presenza di monasteri benedettini serve anche, ottenuta la vittoria, a canalizzare l'entusiasmo dei laici patarini e a restaurare l'ordine in una Chiesa la cui gerarchia è distrutta e il cui clero è quasi tutto indegno.
I priorati cluniacensi e S. Benedetto di Crema si inseriscono in un contesto totalmente diverso: i progressi recenti della storiografia(12) hanno dimostrato la creazione di una serie di priorati cluniacensi in Lombardia durante la lotta per le investiture, tra il 1060 e il 1090 circa, ad opera di un gruppo di potenti castellani, di grandi vassalli dei vescovi, fedeli all'imperatore ed ostili ad una riforma radicale della Chiesa che avrebbe minato alla base il loro potere (feudi, canonicati, patronato sulle chiese, influenza sui vescovi...). La loro concezione di riforma è più moderata e vorrebbero vederla diretta da un clero regolare autonomo dai vescovi, secondo il modello di Cluny.
Giselberto IV mette in atto tali concezioni quando fonda Argon e gli dà le chiese rurali che possiede. Enrico di Crema sceglie di porre S. Benedetto sotto l'autorità di Montecassino e non di Cluny, per motivi congiunturali (in quel caso di politica familiare), ma la concezione complessiva del progetto non differisce molto da quella delle fondazioni cluniacensi. S. Gabriele costituisce un caso un po’ diverso nella rete cluniacense lombarda: è l'unico priorato cittadino ed i suoi fondatori sono cittadini senza legami conosciuti con il gruppo dei grandi benefattori feudali di Cluny; la donazione di otto cappelle rurali richiama tuttavia da vicino le dotazioni di altri priorati cluniacensi e suggerisce che S. Gabriele goda di simpatie tra i castellani del contado. Comunque, il significato di tale fondazione, nel 1076, appare chiaro: si tratta di una reazione contro la pataria in quel momento trionfante e, forse, della ricerca di una via moderata, senza compromessi né con il vescovo né con i patarini.
La fondazione di tutta una serie di monasteri alla fine del secolo XI assume un ruolo importante e molto preciso nelle lotte religiose e politiche che agitano la Cremona dell'epoca. Le particolarità di ognuno dei due gruppi di monasteri -  dipendenti dal pontefice o da Cluny e da Montecassino - esprimono la scelta di ognuno dei due partiti che si dividono la classe dirigente.
Quanto ai monasteri di Farinate, di Rivolta e di Dovera (per quanto si possa parlare di quest'ultimo in assenza di fonti coeve), sono creati in ambiente rurale ed aristocratico che richiama, a volte molto da vicino (Farinate), quello degli amici di Cluny; ma sono offerti alla Sede Apostolica. La data della loro donazione a Roma (1106, 1114) spiega perché escano dallo schema ora tracciato: a quell’epoca il grande conflitto per la riforma è terminato e il fatto di mettere un monastero sotto l’autorità
papale non riveste ormai più il significato polemico che poteva avere venti o trent'anni prima.

Studio da "Diocesi di Cremona" a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L Vaccaro
Editrice La Scuola 1988

François Menant (nato nel 1948) è direttore di ricerca presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, dopo aver svolto attività di ricerca e di insegnamento all’École Normale Supérieure di Parigi, all’École Française di Roma e alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Le sue ricerche hanno per oggetto gli aspetti sociali, politici ed economici della Lombardia dei secoli X-XIII
Tra le sue opere: Campagnes lombardes du Moyen Âge. L’économie et la société rurale dans la région de Bergame, de Crémone et de Brescia du Xe au XIIIe siècle (Ecole française de Rome 1993), e in italiano, Lombardia feudale. Studi sull’aristocrazia padana nei secoli X-XIII (Vita e Pensiero 1992).


NOTE
1- Per indicazioni complete sulle fonti e sulla bibliografia riguardanti i diversi monasteri
ci permettiamo rinviare a MENANT, Les monastères. Daremo i riferimenti precisi dei documenti
citati soltanto in caso di impossibilità di reperirli con l'aiuto di questo repertorio.
Segnaliamo, tuttavia, qui di seguito i principali archivi e biblioteche con le relative
segnature.
ASC, Archivio Storico Comunale, INV. VIII/1: Ospedale S. Maria della Pietà, Pergamene;
Inv. VIII/5 cassette 30-31: S. Pietro Po,
BSCR. Pergamene Barbieri (S. Martino di Robecco); Pergamene del Fondo Statale (S. Cataldo
e chiese varie).
Archivio della chiesa di S. Agata di Cremona, Pergamene.
ASM, Archivio diplomatico,Pergamene per fondi: Crema, S. Benedetto, cartt. 141—144; Cremona,
S. Agostino, cart. 150 (documenti provenienti S. Abramo al Morbasco, S. Lorenzo di
Genivolta, S. Leonardo in Capite Mosae, S. Leonardo del Ponte di Preda; Cremona, S. Benedetto,
cart. 155 (S. Leonardo in Capite Mosae, S. Maurizio di Casanova; S.Lorenzo, cart. 166
(S.Lorenzo, S.Eusebio, S.Tommaso,S.Giovanni nel Deserto); Cremona, S.Giovanni della Pipia,
cart. 172; Cremona, conventi vari, cart. 178 (S.Pietro Po e altri); Lodi, SS.Cosma e Damiano,
cart. 186 (SS. Cosma e Damiano di Dovera).
Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, Raccolta Morbio, vol. 25, n. 1 (ms. sec. XVI):
S. Martino di Robecco.
Biblioteca civica di Lodi, Registrum factum per me Alberto de Vignate [...] de maiori parte
scripturarum et bonorum monasterii SS. Cosma et Damiani [...] ac Fabiani de de Farinate,
ms. 1493.
Halle an der Saale (D), Universitats-und Landesbibliothek, Raccolta Morbio (pergamene)cart.
II, III, XVI (Cremona. chiese varie).
Per una informazione complessiva sul monachesimo italiano del medioevo, si veda PENCO, Sto-
ria del monachesimo.
2- Discussione di questo caso e di alcuni altri: MENANT, Les monastères, p. 13, n. 2 e sotto i
diversi nomi dei monasteri.
3- CDL, n. 890.
4- Sugli inizi di S. Lorenzo si veda in ultima analisi G. VOLTINI, S. Lorenzo in Cremona.
5- GUALAZZINI, Il priorato.
6- SIGISMONDI, Il priorato; MENANT, Les Giselbertins.
7- SCHIAVINI TREZZI, Il monastero; PIASTRELLA, I beni; MENANT, Les Giselbertins. Sulle circo
stanze politiche si vedano gli atti del congresso Crema 1185.
8- MENANT, Les Giselbertins.
9- Su S. Damiano: KEHR, Italia Pontificia, VI/1, p. 258; Biblioteca Civica di Lodi, Registrum
factum per me Albertum de Vignate [...] de maiori parte scriptorarum et bonorum monasterii
SS. COsme et Damiani [...] ac S. Fabiani de Farinate, ms. 1493. ASM, Archivio Diplomatico,
Pergamene per fondi, cart. 186: SS. Cosma e Damiano; MANARESI nn. CVIII e CXXVII; gli archivi
di S. Fabiano di Farinate (MENANT, Les monastères, n. 2).
10- Cfr. il mio contributo Da Liutprando (962) a Sicardo (1185): «La Chiesa in mano ai laici
e la restaurazione nell'autorità episcopale» da "Diocesi di Cremona" ED. La Scuola 1988; ZERBI,
I monasteri cittadini, p. 287.
11- SCHIAVINI TREZZI, Il monastero, pp. 78-79; ZERBI, I monasteri cittadini, p. 287.
12- Cfr. Cluny in Lombardia, inoltre L'Italia nel quadro dell'espansione europea.






martedì 20 febbraio 2018

Liutprando da Cremona (920 - 972) - Antapodosis - Liber de legatione constantinopolitana

L' opera di Liutprando da Cremona viene giudicata malamente dagli storici e relegata con qualche sufficienza nell' area della letteratura. Sicuramente molti suoi giudizi sono falsati dalla partecipazione dell' autore in prima persona agli eventi che riferisce, ma è altrettanto vero che nessun libro di quell' epoca ci racconta con altrettanta "verità" le vicissitudini, gli intrighi, le rumorose avventure, le efferatezze e i delitti di un secolo che ha visto scorrazzare lungo la penisola gli eserciti selvaggi e arraffoni di Ungari, Longobardi, Franchi, Sassoni, Goti, che si contendevano territori, città e castelli. Conservo una edizione delle Opere di Liutprando da Cremona (La restituzione, Le gesta di Ottone I e La relazione di un' ambasceria a Costantinopoli) in un solo volume di 271 pagine a cura di Alessandro Cutolo, pubblicata da Bompiani nel 1945. Erano anni di faticosa e avventurosa editoria e i libri venivano stampati su pessima carta che oggi si sbriciola sotto le dita. Non mi risulta che da allora questo splendido libro sia stato ristampato. Similmente alla Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, pubblicato invece più volte e qualche anno fa anche dalla Mondadori-Fondazione Valla, è assai più che un libro di storia, è la cronaca in presa diretta di un' epoca turbolenta, una letteratura a metà fra la tragedia e la farsa: intrighi politici e battaglie, aneddoti, cattiverie e notizie inedite. Chi sapeva per esempio che Arnolfo di Carinzia figlio naturale di Carlomanno re dei Franchi Orientali, dopo la sua ultima spedizione nella Penisola e dopo avere ricevuto la corona di re d' Italia, morì in Germania divorato dai pidocchi? I libri accademici non prendono in considerazione questi molesti parassiti. Ma una morte tanto strana non può essere una invenzione, dev' essere vera per forza. Carattere ombroso e insofferente, al ritorno da una missione presso Costantino VII imperatore di Bisanzio, Liutprando cade in disgrazia presso Berengario II e deve rifugiarsi in Sassonia. Dopo la lite e la fuga si mette al servizio di Ottone I, "gloriosissimo e invittissimo", e si vendica di Berengario e di sua moglie Villa scrivendo La restituzione (Antapodosis).
Frammento dell'opera Antapodosis
"La lingua non può dire - scrive Liutprando - e la penna non può scrivere quanto numerosi dardi menzogneri, quali rapine, quale immensa empietà essi abbiano, senza causa, adoperato contro di me, contro la mia casa, la mia parentela, la famiglia mia". Più che un libro di storia questa Restituzione è dunque un libello pieno di rancore, scritto con la penna intinta nel veleno. Visto che con le armi non gli era riuscito di tener testa alla arroganza bizantina in Puglia e Calabria, Ottone I pensa di ricorrere alla diplomazia e invia a Costantinopoli il vescovo di Cremona per intavolare una trattativa di matrimonio tra il figlio e una principessa Porfirogenita. Naturalmente la missione doveva fornire anche informazioni sulla efficienza militare dei Bizantini. L' astuto imperatore Niceforo Foca capisce subito il doppio intento della missione e tratta il vescovo Liutprando come una spia. Dopo averlo fatto aspettare davanti alla porta di Costantinopoli insieme al suo seguito per una notte intera sotto la pioggia, lo tiene praticamente recluso per tutta la durata della difficile missione. I dispetti e le intimidazioni si susseguono per tutta la durata del soggiorno che si protrae per quattro mesi, tanto da esasperare l' inviato di Ottone che, al ritorno, si vendica dell' insuccesso della sua missione con una relazione diplomatica velenosissima, appunto la Relazione di un' ambasceria a Costantinopoli (Liber de legatione constantinopolitana). L' imperatore Niceforo Foca viene descritto come "uomo davvero
mostruoso, un pigmeo con la testa grossa, che sembra una talpa per la piccolezza degli occhi, imbruttito ancora da una barba corta, larga, folta, brizzolata, deturpato da un collo alto un dito, con una chioma prolissa e fitta che orna una faccia di porco, nero di pelle come un Etiope (col quale non vorresti mai imbatterti nel cuore della notte!) grosso di ventre e magro di natiche, con i piedi piatti, vestito con una veste di bisso vecchissima e divenuta, per l' uso quotidiano, fetida e ingiallita ecc.". Altrettanto feroci sono le osservazioni sul cibo infarcito di aglio, affogato nell' olio e condito con una disgustosa salsa di pesce, del vino imbevibile perché condito con resina e pece. Gli incidenti diplomatici si susseguono senza tregua durante il disgraziato soggiorno del vescovo di Cremona nella capitale dell' Impero bizantino: a tavola viene data la precedenza a un legato bulgaro "che cinge una pesante cintura di rame come un selvaggio" e Liutprando si alza dal tavolo e se ne va. Durante i colloqui Niceforo rifiuta di riferirsi a Ottone con il titolo di "basileus" (imperatore) ma lo nomina come "rega", o re, in segno di disprezzo. E quando Liutprando viene invitato a una battuta di caccia all' onagro si rifiuta di togliersi il cappello che lo ripara dal sole mentre l' etichetta esige che in presenza dell' imperatore nessuno possa stare a capo coperto. Alla fine della sua Relazione Liutprando afferma "dico e dico il vero" ben sapendo invece quanta malizia aveva posto nelle sue parole. Della corte di Bisanzio, nota per le raffinatezze, il lusso, la ricchezza e il fasto delle cerimonie, si riceve qui una immagine pessima, a correzione delle meraviglie che se ne dicevano allora in ogni parte del mondo. Storia e "invenzione" da recuperare per il piacere della lettura.LUIGI MALERBA  da Archivio di Repubblica ( ricerca.repubblica.it)

venerdì 16 febbraio 2018

Privilegio di Carlo III il Grosso - Archivio Storico Diocesano di Cremona

(Foto Pietro Diotti)
Carlo III imperatore, detto il Grosso. (Neidingen 839 - ivi 888) Figlio di Ludovico il Germanico, divenne re di Germania e di parte della Lotaringia nell'876. Incoronato imperatore a Roma nell'881, riconosciuto re in Germania (morte di Ludovico di Sassonia, 882) e in Francia (morte di Carlomanno, 884) ristabilì per un momento l'unità dell'impero carolingio; ma fu incapace di respingere i Normanni dalla Francia settentrionale, e già nell'887 (dieta di Tribur) i Grandi di Germania decisero di offrire la corona a suo nipote Arnolfo.
Nel medioevo la concessione di un privilegio comportava la creazione di nuove norme per singoli o gruppi, norme che assicuravano una posizione di vantaggio rispetto a chi dal privilegio era escluso. Il privilegio accordato a singoli individui poteva essere trasmesso per via ereditaria.
Il diritto di concedere privilegi spettava a chi poteva trasmettere diritti o proprietà ai propri vassalli, ovvero, l'imperatore e il papa.
I privilegi potevano avere per oggetto i più diversi beni e diritti: erano privilegi le donazioni ai propri sudditi, l'assegnazione di un monopolio, il diritto di conio, il diritto di avere uno stemma, l'esenzione da tributi e servizi, la possibilità di esercitare la giurisdizione. Anche il riconoscimento della condizione di città era un privilegio, perché gli abitanti di una città, per il solo fatto di esserlo, ottenevano un gran numero di diritti (per esempio erano uomini liberi).
Nell'archicio Storico Diocesano di Cremona è custodito il PRIVILEGIO di CARLO III il Grosso, (vedi foto) datato 15 febbraio 882. E' il documento più antico, in originale, che si conserva in un archivio ecclesiastico cremonese; proviene dal capitolo della cattedrale.

mercoledì 14 febbraio 2018

Famiglia FERRARI di Castelverde


Per conoscere le vicende più significative legate alla storia di Castelverde bisogna inevitabilmente avere notizie della Famiglia Ferrari che ha lasciato un segno indelebile in questa comunità.
Molti sono i personaggi della famiglia che hanno avuto rilievo sociale anche a livello nazionale. 
Ora tutti riposano nella monumentale Cappella al Cimitero di Castelverde.
"La famiglia Ferrari - come descrive l'introduzione al carteggio custodito nell'Archivio di Stato di Cremona - giunse a Castagnino Secco (od. Castelverde) nel 1789 come affittuaria dei conti Visconti di Marcignago, dai quali avrebbe acquistato il fondo – e con esso acquisito le carte – ad un secolo di distanza, nel 1898. L’ascesa sociale di essa ebbe origine a metà del sec. XIX, quando il secondogenito di Giovanni Battista, Benedetto (1801-1884), riuscì ad accumulare in breve una considerevole sostanza, liquidando i parenti e rimanendo unico conduttore del podere insieme alla cugina Angela (1805-1872), che aveva sposato nell’ottobre del 1827. In un arco cronologico brevissimo, raggiunse una posizione di relativo prestigio all’interno della piccola comunità locale, posizione poi rafforzata negli anni successivi dal figlio Giovanni (1840-1884), promotore di importanti iniziative sociali in parrocchia e fuori, quali il Circolo cattolico dei conduttori di fondi agricoli di Cremona, prima associazione di laicato cattolico presente in diocesi. Alla morte di Benedetto e Giovanni, avvenuta a pochi giorni di distanza nell’ottobre del 1884, l’amministrazione delle sostanze fu assunta dall’unico figlio di quest’ultimo, Primo (1867-1955), il quale, appena diciottenne, dimostrò fin da subito grande senso di responsabilità, tanto da essere poi additato quale agricoltore esemplare, specie nei rapporti coi dipendenti. A Castelverde divenne una delle personalità più insigni, ricoprendo la carica di sindaco dal 1905 al 1920 e di presidente a vita dell’Ospedale del Redentore, da lui fondato insieme al parroco don Pietro Gardinali e al medico condotto Ercolano Cappi. Dei suoi cinque figli, avuti con la possidente soresinese Bianca Robbiani (1868-1926), sorella dell’industriale Amilcare, si distinsero particolarmente il primogenito Giannino (1891-1955), deputato al Parlamento e rappresentante degli agrari contro le leghe bianche di Guido Miglioli, e il secondogenito Ubaldo (1893-1936), avvocato, musicista e cattolico antifascista e padre del dottor Emauele Ferrari (proprietario dell’archivio).
Nell'archivio di Stato di Cremona sono conservate tutte le carte di natura giuridica e contabile riguardanti la conduzione del podere Castagnino di ragione Visconti e le varie proprietà della famiglia Ferrari, prodotte o acquisite da questi nel corso degli ultimi due secoli. Esse comprendono contratti di locazione e compravendita di beni, divisioni di proprietà, costituzioni di doti, registri inerenti l’amministrazione delle sostanze di famiglia, etc. I fascicoli qui descritti sono stati organizzati in ordine cronologico in relazione ai vari membri della famiglia. Ad essi segue l’archivio aggregato di Benedetta Ferrari ved. Grandi (1796-1877), sorella di Benedetto, giunto a questo ramo della famiglia per un complesso di varie circostanze".


* Nella foto d'epoca la famiglia di Primo Ferrari con la moglie Bianca Robbiani e i figli tra cui Giannino e  Ubaldo.