giovedì 22 gennaio 2015

Antonio Agnelli: Fare giubileo nella globalizzazione

Il libro di Antonio Agnelli, prete cremonese, è una interessante riflessione sulle tematiche di economia e politica viste da una prospettiva cristiano-missionaria.
Il testo, uscito nel 2000, in occasione del Giubileo rimane sempre molto attuale soprattutto nell'affrontare il potere speculativo della finanza.
L'autore nell'introduzione sottolinea come:
"Viviamo nell’epoca del mito della globalizzazione, presentata come inarrestabile mèta del vivere umano e della storia.
Ebbene, questo mito è nella realtà, per milioni di persone, una nuova forma di colonizzazione e di sfruttamento.
Offre alcune possibilità di miglioramento in territori limitati, particolarmente adatti all’accumulo di profitti, ma genera nella società la dimensione della conflittualità economica come unica via per raggiungere il benessere.
Essa perpetua, invece, condizioni di impoverimento e derelizione in due terzi del mondo, illudendo i miseri che entrando nel sacrario del mercato troveranno salvezza.
Intanto debbono pazientare, in attesa di un domani migliore che, però, si rimanda sempre e non sembra arrivare mai.
Fare giubileo vuoi dire, dunque, contestare il limite antropologico e spirituale della fiducia religiosa nel mercato.
Questo, esaltato fino alla divinizzazione, diviene anche l’unico legame sociale tra le persone."
Agnelli aggiunge che alla stregua di questo:
"I rapporti umani scadono a pura mercificazione.
La logica del dono viene sostituita con quella dello scambio (do ut des).
Il principio sotteso al liberismo mondializzato è, dunque, materialistico, negatore dei valori trascendenti."
Il mercato è mio pastore non manco di nulla 
Agnelli pone questo titolo al centro di una interessante riflessione in cui accenna all'epoca che stiamo vivendo come quella dell'esaltazione del mercato. 
"La caduta del comunismo ha provocato un’ondata di ebbrezza, che vede nella logica della domanda e dell’offerta — sganciate da qualsiasi riferimento — l’equilibrio perfetto delle società. 
La sparizione, inoltre, di forme alternative di gestione economica a quella capitalistica ha spinto ad una progressiva erosione dei confini delle attività produttive. 
Le imprese si trasferiscono oggi liberamente dove ritengono più opportuno; non sono più legate indissolubilmente allo Stato nazionale; benché spesso pretendano, in cambio del lavoro che possono offrire, la difesa dei loro interessi, sgravi finanziari, sostegno delle loro strategie, per districarsi meglio nell’arena della competitività mondiale."
L'autore però precisa, a questo punto che "non si tratta di essere contro un’economia di mercato: quest’ultimo è strumento importante per una migliore allocazione dei beni e per uno scambio di servizi tra le persone. 
Il problema emerge quando si analizza concretamente come si utilizza il mercato, ritenuto un’entità sacralizzata e non uno strumento umano, come di fatto è. 
Esso, infatti, è considerato dagli economisti preminenti come la mano invisibile che guida le sorti dell’umanità verso il miglior futuro possibile. 
Si tende ad evidenziarne le leggi come meccanismi “naturali” inscritti nell’ordine ontologico della realtà. 
Di fatto è, invece, il frutto dì decisioni pratiche determinate da gruppi di persone o da imprese."

Mercato valore supremo
Molto interessante è questa analisi di Agnelli che sottolinea come si vuole far diventare il mercato un'entità suprema, un insieme di norme metafisiche e immutabili.
Questo atteggiamento forse nasce dal tentativo di nascondere le aberrazioni di chi utilizza questo strumento umano per il proprio egoistico tornaconto. 
Se ne può scorgere - a detta dell'autore - anche l’immagine religioso- sacrale: "si richiede agli individui piena fiducia (fede) nelle virtù benefiche che esso possiede. In quanto nuovo spirito elargitore di grazia, consolatore degli afflitti, profeta di futura equità, il mercato infallibilmente porterà a tutti benefici e salvezza."

Competitività
Altro elemento significativo nelle riflessioni del testo è il concetto omnicomprensivo di competitività che fonda l'economia di mercato.
La competitività, entro limiti “umani”, può essere anche benefica; purtroppo, uscita dagli argini, sta divorando le società odierne. 
Sì sostiene da ogni parte che più è alta la tensione competitiva, più benefici porterà alle persone. 
Più si è competitivi, più si offriranno migliori prodotti al miglior prezzo ai consumatori. 
Però per l'autore non se ne vuol vedere la pericolosità intrinseca. 
Anch’essa da mezzo si è trasformata in fine e sta piegando la realtà economica e sociale alla mercé del più forte che, guarda caso, sono sempre le nazioni della cosiddetta Triade (Europa, Giappone e, soprattutto, USA). 
Infatti, per sopravvivere sì deve annichilire l’avversario: non c’è spazio per la cooperazione. 
Le imprese devono fondersi, allearsi con altre più forti e più strategiche per non essere travolte dal vento della competitività. 
Si afferma che l’essere competitivi è un bene per la stessa umanità, ma si dimentica che le dinamiche concorrenziali esasperate hanno la necessità di distruggere l’altro per poter sopravvivere. 
L’altro (sia esso ìmpresa, nazione, lavoratore) è sempre un nemico da abbattere, da espellere dal mercato o da soggiogare alla propria strategia. 
Ecco dunque l'interrogativo di Antonio Agnelli:
"Sono queste davvero le fondamenta per una nuova società del benessere, come il neoliberismo vuol farci credere, o non sono piuttosto elementi che disgregano la coesione sociale, il senso della solidarietà e della comunità? 
Il mercato concorrenziale, dunque, per i suoi cultori e adepti, è davvero il nuovo pastore che ci guiderà ai pascoli dell’abbondanza.
Anche se camminassimo per una valle oscura (crisi economica) non dobbiamo temere, il mercato è per noi, le sue norme ci danno sicurezza. 
Denaro e profitto ci saranno compagni in tutti i giorni della nostra vita e abiteremo nell’abbondanza per lunghissimo tempo."
Veramente interessante è questa rielaborazione un po'sarcastica del Salmo 29 che tende a smitizzare il ruolo del mercato come principio fondativo della realtà. 
Il mercato infatti dovrebbe essere piegato alle istanze etiche che promuovano realmente il bene comune e la solidarietà fra i popoli.
La finanziarizzazione dell’economia
L’esasperazione della corsa al profitto viene a manifestarsi oggi con maggior virulenza anche nella cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”.
Con un linguaggio ironico e provocante così si esprime l'autore:
"Nuovi templi sono oggi le varie Borse del mondo e il santo dei santi è Wall Street.
Nuovi vangeli sono gli indici di borsa e il nuovo incenso sono i miliardi di dollari che ogni giorno e ad ogni ora si spostano da un punto all’altro della terra attraverso un segnale telematico.
Dentro questa massa di liquidità sospesa nel nulla, in questa bolla speculativa, ci stanno anche i nostri risparmi che, accumulati da gestori e banche, entrano nel grande gioco della speculazione."
L’origine della globalizzazione finanziaria è stata resa possibile da diversi elementi.
Ricordiamo, anzitutto, la deregolamentazione, cioè l’abolizione di ogni controllo dei cambi della moneta, divenuta, a sua volta, da strumento di scambio a vera e propria merce per produrre altro denaro.
Così, pure, è stata lasciata via libera allo scambio dei capitali, che possono essere collocati in qualsiasi parte del mondo con un semplice clic del mouse.
Le attività finanziarie avvengono in gran parte per fini speculativi.
I vari strumenti utilizzati, futures, options, swaps, sono intricati contratti sul valore futuro di azioni ed obbligazioni, titoli di Stato, monete, e hanno come fine quello di ottenere accumulo di profitti, scaricando, però, i rischi dagli operatori finanziari all’intero sistema nel suo insieme, provocando crisi gravissime che possono avere influenza negativa su intere nazioni e popoli.
In questo gioco, ormai senza nessun controllo, entra anche l’economia criminale, che se ne avvantaggia e ricicla denaro sporco senza alcun timore.
L’ultraliberismo trionfante vien dunque a configurarsi come una dittatura dell’immediato e dell’istante.
La logica implacabile dei poteri finanziari dei paesi dominanti considera indispensabile un rendimento annuo che non sia inferiore al 4%.
Stati, governi, imprese sono congiuntamente sottomessi al criterio unico della redditività finanziaria immediata e istantanea.
Il mercato finanziario viene, così, a costituirsi come realtà senza finalità etiche, spazio di pura deregolamentazione e di distruzione della vita dei popoli e delle nazioni, mano invisibile, ma diabolica che avversa il progetto di un’umanità solidale.
Succubi della ricerca della redditività ad ogni costo sono anche le imprese che tendono a ridurre gli investimenti produttivi e a concentrarsi nel settore finanziario, da cui sperano di ricavare accumulo di profitti.
In questo modo esse si consegnano nelle mani degli speculatori che ne determinano l’attività.
Questa terribile analisi, oggi più che mai attuale, ci presenta il potere occulto della finanza che governa il mondo nella sua globalità.
Si tratta, nel complesso, di riflessioni di grande intensità che ci portano a veder chiaramente, a mio avviso, come la politica dovrebbe svincolarsi, con un grande colpo d'ali, da questi legami con la finanza.


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