giovedì 15 gennaio 2015

La questione agraria e la rivolta dei salariati del 1882 nel Cremonese

Il carrettiere, figura importante nel mondo rurale
anche nel trasmettere informazioni da un paese all''altro
Riporto in questo post un capitolo del libro le "Stagioni del nostro lavoro" di Coldiretti Cremona che entra nel vivo della questione agraria di fine Ottocento.


L’amara delusione di Verdi Giuseppe, ( "fattore di S. Agata", amico di Cavour e agricoltore illuminato) verso la classe dirigente, lo scoramento dinanzi alla stupida violenza a danno dei poveri, l’obiettiva constatazione che prima dell’unità d’Italia si stesse meglio, sono gli stessi sentimenti dell’ex garibaldino Luigi Musini medico condotto di Zibello. 
In un discorso pronunciato a Pieve d’Olmi il 14 maggio 1882, su invito della locale Società Operaia Musini, ebbe a dire: «Più di 20 anni fa si stava meglio». Ed innescò la miccia che fece esplodere la prima insurrezione agraria dei salariati in Italia.
Alcuni dati fondamentali: tra il 1866 ed il 1900 entrarono in funzione i collegamenti ferroviari Pavia - Casalpusterlengo, Codogno - Cremona - Brescia - Mantova - Parma - Fidenza.
La popolazione del Cremonese (persa l’appendice «mantovana») passa, nel corso di 20 anni, a 304.507 abitanti nel 1881. 
Dei 176.257 occupati, i «villici» erano 103.403 persone; nelle «industrie» lavoravano 50.606 persone; nel commercio e trasporti 3.329; in altre attività il 10,7%.
L’attività prevalente è dunque l’agricoltura. Se poi si tiene conto dell’indotto (caseifici, setifici, bachicoltura, linicoltura ecc.) è quasi totalizzante.
Su una SAU (superficie agricola utilizzata) di 163.700 ha. in proprietà di 8.126 titolari, 99.200 sono irrigui (nel Casalasco solo 1.300 ha).
Nel 1881 nel Cremonese si registravano 26.335 vacche da latte (11.417 nel periodo pre-unitario); 2,6 milioni di q.li di foraggio, 500.000 q.li di latte lavorato in 200 caseifici, che producono 11.200 q.li di burro e 20.000 di formaggi.
Siccome nei primi anni ‘70 il frumento era remunerativo, gli imprenditori ne incrementarono la produzione (G. Fiorini, 1882); poi fu la volta del latte.
Tra il 1870 e il 1878 i proprietari stipularono vantaggiosi contratti d’affitto con gli imprenditori o di vendita (considerati i buoni profitti negli anni precedenti). «Il terreno coi 
è tenuto in gran conto», i capitali si dirottarono su di esso, «capitali ingenti» (G. Fiorini ib.).
Dimensione media aziendale: 8,8 ha.; la piccola proprietà (l’84,6 delle «ditte») consisteva in 1,6 ha. (pari al 15,3% della SAU); la media azienda (10,5% delle «ditte»), in 22,2 ha pari al 26,6% della SAU; la medio-grande (2,9 delle «ditte») in 64,5 ha (21,3 della Sau) e quella grande (1,9 delle «ditte») in 165 ha (36,8% della SAU)
(A. Cova cit.).
I personaggi del settore agricolo: proprietari diretto-coltivatori 5.330 pari al 5,2 dei  «villici»; i mezzadri sono 1.019 (l’l%); gli affittuari ed enfiteuti 6.512 (il 6,5%);
fattori, agenti di campagna 502 (lo 0,5%); contadini, bifolchi fissi 57.568 (il 56,6%);
braccianti avventizi 30.687 (30,2%).
Le «floride annate» 1870-78 «fecero girare il capo a non pochi dei nostri affittuari  che, vagheggiando sempre nuovi e maggiori lucri, invasi dalla smania di estendere  la loro industria, si peritarono di portare d’un balzo forti aumenti nei canoni locatizi, che da taluni più audaci e irriflessivi, trascinati da una gara malintesa, vennero persino aumentati del 50%. 
Accecati dalla libidine del guadagno... s’azzardarono a pagare canoni tanto alti comeché i bozzoli a lire 6 al kg., il frumento a lire 30,11 granoturco a 1.. 20 l’ettolitro, il latte a L. 13 al q.le e il lino a L. 1,8 al kg. fossero prezzi stabili e duraturi e sui quali potessero con sicurezza calcolare nelle annate avvenire». Così si esprimeva Giovanni Fiorini (presidente del Consorzio Agrario di Cremona), sindaco di Pieve d’olmi, esperto agricoltore e moralista, mancante di senso politico, vittima — in seguito alla rivolta salariale — dei colleghi agrari, che lo scaricheranno con freddo cinismo usando il loro giornale «Il Corriere Cremonese». 
Ecco un esempio della sua mentalità liberal-conservatrice, quella dominante e radicata nella classe dirigente cremonese: «Il furto campestre non è rado (nel nostro Circondario): è una piaga che non si è ancora riusciti a sanare, è un tarlo continuo che rode la proprietà. Più frequente e generale è il furto di legna; si commette senza scrupolo e ritegno di sorta. Causa impellente è la miseria di tante famiglie di giornalieri avventizi che appena guadagnano di che vivere a loro nulla residua per comprare la legna per farci cuocere il vitto e riscaldarsi d’inverno. Non vogliamo giustificare questi punti che offendono sempre uno dei cardini fondamentali nella società: la Proprietà...».
La riduzione dci prezzi dei prodotti agricoli, annunciatasi a fine anni ‘70, venne interpretata come passeggera. Pochi furono coloro che percepirono il pericolo della concorrenza USA (cereali), asiatica (bozzoli), egiziana (cotone contro lino) (Comizio Agrario, 1887). Tra questi pochi 5. Jacini, ma ben 15 anni dopo Giuseppe Verdi! «Accecati» gli affittuari, incapaci i proprietari di leggere il complesso della situazione agricola, immaginavano questi di andar incontro ai primi, ritoccando un po’ i canoni d’affitto, quando si trattava invece di migliorare la combinazione dei fattori d’impresa per ottenere incrementi (li produttività e reddito (M. Romani. 1977: P Scrocchi. 1995 dattiloscritto) e di disporre di un piano agricolo nazionale in consonanza con le potenze europee (S. Jacini, 1862). Ma in Italia eran assegnati all’agricoltura 4 milioni all’anno; in Francia 44, in Prussia 20, in Svizzera 10. Così negli anni ‘80 il costo per ha. di frumento era di 337 lire, mentre il ricavo non superava le 277,5. Diminuiti anche i prezzi del bestiame del 30% nell’85; quello dei latticini del 15% nell’84. Per pareggiare i conti, il grano doveva costare 25,50 lire al q.le sul mercato, mentre lo si poteva avere a 22,29. Fino al 1896 il mercato europeo è caratterizzato da un’eccedenza di beni, perché sono pochi chi li può acquistare, mentre i bisogni sono diffusi. Usa e Germania offrono una vasta gamma di prodotti industriali (Giuseppe Verdi li acquista in Gran Bretagna) e concorrenziali nei prezzi. 
Che fare? In Italia la risposta governativa fu un aumento delle tariffe doganali nel 1887 nel quadro di «guerre doganali» che si rincorsero in tutta l’Europa liberale. Il protezionismo dei «liberali» fu una cocente smentita della loro «fede» nel mercato libero (A. Cardini. 1981: E. Del Vecchio, 1979), premessa di ben altre e più gravi smentite (le guerre coloniali fino alla conquista della Libia nel 1911) che portarono il liberalismo sulla soglia del fascismo, passando per la «grande guerra» (R. De Felice, 1964 ). 
Fu anche una smentita l’ideologia positivistica, clic sopportava la società industriale ed immaginava (li curarne i mali con la «scienza sociologica». Questa ideologia pervase tanto i liberali come i socialisti col suo fondamentale materialismo ateo.
I guai dell’agricoltura cremonese venivano anche dal mancato adeguamento tecnologico, perché, a detta (li Stefano jacini, eran stati dirottati notevoli capitali, invece che in questo senso, nell’acquisto dei beni della Chiesa (il cosiddetto «asse ccclesiastico» e «mano morta») (S. Jacini, I risultati dell’inchiesta agraria, 1885). «Ma perché ciò avvenga (l’acquisto di terra) — spiegava Jacini — è mestieri che l’acquisto non presenti attrattive maggiori di quelle derivanti dai miglioramenti eseguiti sulle terre clic già si posseggono». Però l’acquisto dei beni ecclesiastici «era una tentazione irresistibile». Così «l’industria rurale — aggiunge — non è progredita come in altri paesi»
La ditta Tommaselli che costruiva aratri, ne vendette 6.000 pezzi nel cremonese in 15 anni 18.500 q.li di fertilizzanti vennero venduti nell’81, mentre l’inadeguatezza delle «casere» (caseifici praticamente aziendali) era pregiudizievole per la qualità e quantità dei formaggi.
Ma a parte tutti questi aspetti, irrisolta, aggravantesi era la questione dei salariati. 
L’erosione lenta, non eclatante delle famiglie mezzadrili, dei piccoli affittuari e proprietari, la loro pauperizzazione accrebbe il numero dei dipendenti fissi ed avventizi in agricoltura orientata verso ampi mercati anche con mezzi inadeguati. Gli avventizi soprattutto eran esposti a vagabondaggi senza speranza da un’azienda all’altra, da comune in comune (Dalle Donne, 1986).
In via di superamento la tradizionale produzione variegata e mirata al mantenimento della famiglia diretto-coltivatrice, oberata dall’imposta fondiaria (E Cuzzoio, 1980); marginalizzati culturalmente da secoli e proletarizzati i piccoli coldiretti, molti di essi si trasformarono in emigranti nell’ultimo ventennio del secolo (E. Sereni. 1974). Gli avventizi cresceranno fino a diventare 1/3 della popolazione agricola nel primo 1900.
Già tradizionale il debito ipoteeario delle aziende agricole cremonesi (era di 121 milioni nel 1863), tende a diffondersi ed a crescere in modo abnorme rispetto al resto dell’Italia: ogni ha. era gravato, nel cremonese, di 639 lire; la media in Italia era di 217,41 lire (C. Carloni, 1863: U. Gualazzini, 1965). 
Alcune operazioni bancarie della Banca Popolare sono significative: «somme date a credito e ricevute in deposito a piccoli agricoltori» son pari a 5 milioni con una media di lire 1.000 per ogni operazione bancaria; stesse operazioni per «Grandi agricoltori»: circa 4 milioni con circa 1.000 operazioni, con una media di 4.000 lire per operazione. Ai «grandi industriali» dati circa 5 milioni con un migliaio di operazioni.
Le denunce di Giuseppe Verdi e di Luigi Musini erano rispondenti al vero, ma venivano rimosse dai governanti. E la rimozione fu di una violenza pari alle illusioni del ceto agrario dominante, che confidava nella presunta ragionevolezza della cultura positivistica.
Sulla pessima situazione degli «obbligati» e degli «avventizi», stilla loro vita umiliante, sulle loro orrende abitazioni malsane, sulla diffusione devastante della pellagra (i pellagrosi erano 5.235 nel 1879), vi furono allora denunce di pochissimi personaggi liberal-moderati come il medico di Castelverde Marenghi (C. Pedretti, 1978), quelle sistematiche del grande vescovo Geremia Bonomelli (C. Bellò, 1975; G. Gallina. 1992) e di Leonida Bissolati (1857-1920) dalla tribuna dell’Eco del popolo», da lui fondato e diretto nel 1889 per contrastare la stampa liberale cremonese e compaginare le forze socialiste.
Sullo sfondo di una cultura aristocratica-borghese, avvezza da secoli a considerare il proprio ceto come l’ombelico del mondo, si scontrarono due tesi: quella liberale di destra e/o di sinistra (Fulvio Cazzaniga, Pietro Vacchelli, Genala, Cadolini, i Vescovi Novasconi - Bonomelli) e quella socialista, tesa ad attuare uno spazio democratico e di partecipazione al potere. 
Le conseguenze politico-sociali delle due tesi furono: da quella liberale le varie forme di «Società di mutuo Soccorso» (1861); la fondazione della Banca Popolare; il Canale Marzano (alias Vacchelli); i era «prestiti d’onore» (pochi i benefìciati) da parte della Banca Popolare (V Gualazzini). 
Insomma: una serie di iniziative benefiche, che però non avrebbero mai messo in discussione il ceto agrario aristocratico e/o ricco borghese. 
Dal versante socialista invece veniva la proposta di un rovesciamento dei rapporti di forza nel senso di un egualitarismo più impregnato di fede vagamente evangelica, millenaristica e — solo successivamente - marxista con la disciplina sindacale e politica che la caratterizzava. 
Emblematiea la grande figura di Giuseppe Barbiani originario di un sobborgo di Spineda, come preparatore dell’insorgenza socialista. Purtroppo molto poco è stato scritto su di lui (volle tutte le sue carte nella propria cassa da morto. Tutto era polvere quando venne riesumato). Figura di raccordo, alla fine anni ‘70 - inizio anni ‘80, tra le province di Mantova, Parma, Cremona, fu un tale «apostolo» dei poveri che Farinacci diede ordine di «non toccarlo». Nell’archivio parrocchiale di Spineda un documento prova che Barbiani morì in seno alla Chiesa dopo essersi confessato e comunicato.
Il socialismo padano, contrariamente alle teorie marxiane, impattò nel cremonese e nella padania non la classe operaia dell’industria (inesistente), ma le masse dei salariati. Il suo ateismo, grossolano e presuntuoso, era uno strumento culturale - politico contro la Chiesa e Mons. Bonomelli (avversato nei modi più volgari), ritenuti reggicoda del potere consolidato. Ma Leonida Bissolati, figlio di un cx sacerdote (Stefano), diverrà esempio di eterogenesi dei tini: da socialista infitocato, diverrà nel 1911 sostenitore della guerra coloniale contro la Libia, perciò espulso dal Psi ad opera di Benito Mussolini. Finì con Ettore Sacchi in lista elettorale accanto a Roberto Farinacci esponente di spicco del fascismo agrario!
Nella cascina vigeva un ordine gerarchieo ferreo: in testa il Fattore o reggitore, braccio destro dell’affittuario o del proprietario, investito di pieni poteri verso gli obbligati e avventizi: li poteva licenziare per «disobbedienza e insubordinazione». 
Segue il primo cavallante (prende due staia di grano in più all’ anno rispetto agli altri dipendenti), il capo bifolco, il sotto cavallante, il sotto bifolco, i braccianti («uomini da badile»), giornalieri a mercede fissa (o disobbligati); all’ultimo gradino gli avventizi. Esser «obbligati» era un grande privilegio: dava diritto all’abitazione con orticello, pollaio, porcile (il tutto però era conteggiato e c’era un limite al numero dei polli).
Gli obbligati (o spesati) prendevano 600 lire/anno, conteggiando la compartecipazione (metà dei bozzoli, un terzo del lino, linseme, granoturco e quarantino); i trecentati eran pagati in natura, i braccianti fissi eran pagati a giornata (35 centesimi d’inverno e 60 d’estate. A loro carico l’abitazione in affitto pari a 35 lire/anno). Non possono lavorare altrove, han diritto alla compartecipazione, alla spigolatura. I braccianti disobbligati, se abitano in caseina, pagano 50-bo lire/anno; salario giornaliero da 0,60 a 1 lira/giorno; avventizi: lavorano spesso a eottimo, prendono da 0,80 a 2 lire/giorno. Sono in balia del mercato della tòrza-lavoro. L’affitto di una casa in paese costa dalle 50 alle 100 lire/anno. (F. Guarneri, 1915). Per comperare un kg. di pane di frumento un salariato doveva lavorare un giorno, una settimana per un paio di scarpe.
Sullo sciopero di Pieve d’Olmi esistono due cronache: quella del parroco (nell’Archivio diocesano) e del sindaco locale Giovanni Fiorini su «Il Corriere Cremonese» del 27.5.1882: la locale Società di Mutuo Soccorso organizzò un banchetto, vi furono invitati anche proprietari e conduttori; presenti «centinaia di persone» compreso il Delegato di Pubblica Sicurezza; tutti gli oratori concordarono sulla necessità «di migliorare le condizioni dei lavoratori del suolo»; prese la parola Luigi Musini, medico condotto di Zibello, ex garibaldino, amico dell’anarchico Andrea Costa; disse che «si stava meglio 23 anni fa». Musini — secondo il Fiorini —  «ha tanto contribuito fatalmente... allo stato di agitazione e di fermento in cui si trovano alcuni Comuni della nostra Provincia». E fu un fuoco nelle stoppie la diffusione dello sciopero (i contadini andavano nei campi senza lavorare; non un gesto di violenza da parte loro), da Cella Dati a Casalbuttano, da Casalmorano a S.Bassano Castelleone, Trigolo,  Maleo lo sciopero dilagò nella Bassa Bresciana, nel Lodigiano, nel distretto di Gonzaga nel Mantovano, nel Reggiano, nel Parmense, nel Pavese e nel Veronese.
 «Dove si andrà a finire? — esclama il Fiorini — desolato e sconcertato, nella lettera al «Corriere», espressione della cremonesità «cullata nella sua larvata sicurezza» (Fiorini). 
 Dietro il perbenismo puritano dei liberal-conservatori si nascondeva piattezza e opacità del ceto dominante, una grande violenza.
La repressione in immediata, l’opera dei tribunali dura e continua dal 23.6.82 fino allautunno. Intervennero squadre di carabinieri e PS., perfino truppe di fanteria di stanza a Cremona «in difesa dell’ordine pubblico». 
I primi ad essere processati furono 5 contadini della cascina Torretta di Cella Dati condannati a 4 mesi con l’accusa di «girare per le campagne coi loro attrezzi di lavoro, di resistenza alla forza pubblica e rifiuto di sciogliere gli assembramenti». 
Nelle condanne si toccarono anche 6 mesi e centinaia di lire di ammenda (Bollettino del Comizio Agrario 1882). 
La stampa agraria non ha mai citato i loro nomi, confermando la sua innata tendenza a colpire i «nemici» con la «damnatio memoriae> (com’era costume all’epoca del dominio napoleonico e massonico) e ad abbandonarsi all’autocompiacimento. 
Le relazioni dei prefetti delle provincie toccate dallo sciopero confermano come la macchina repressiva dello stato fosse espressione dell’aristocrazia agraria (Acs, MiGab. Rapporti dei prefetti 1882-94). 
Scriveva Giuseppe Verdi ad Arrivabene il 26.5.1878: «Ho speso qualche soldo che ha dato da mangiare a molti poveri operai, perché dovete sapere voi abitanti delle Capitali, che la miseria nelle classi povere è grande, grande, grandissima; e se non ci sarà una Provvidenza sia dall’alto o dal basso, una volta o l’altra succederanno guai gravissimi» (F. Cafasi. 1994). 
Dopo l’82 fu tutta una serie di scioperi e agitazioni: nell’84-’85 nel Polesine, nel Mantovano e, in parte, nel Cremonese; mobilitati anche allora reparti militari a cavallo e 800 carabinieri (M.L. Betri. 1994), poi la dura repressione dei «Fasci siciliani» ad opera di Crispi della sinistra (al potere nei 1876 con Depretis) iniziatore delle prime spedizioni coloniali italiane, fino al macello del gen. Bava Beccaris a Milano nel ‘98, quando sparò cannonate su una folla inerme che protestava per il rincaro del pane. 
In quell’anno anche il cremonese venne insanguinato (B. Ruggeri. 1980 tesi dattiloscritta).








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