Un personaggio storico cremonese di grande rilievo nel
panorama musicale è senz’altro Amilcare Ponchielli.
Grande genio del bel canto, dal carattere insicuro e
introverso, ha però creato delle melodie di sublime bellezza e armonia che hanno
incantato il pubblico di ogni parte del mondo.
Riprendo un antico articolo di Giulio Mondini dal giornale
la Provincia di Cremona del 1951 in occasione del 65° anniversario della morte di Ponchielli.
L’articolista ne delinea la sua figura e il rapporto con il
paese d’origine.
“Storia di Amilcare Ponchielli, figlio prediletto di Paderno”
Amilcare Ponchielli è nato il 31 agosto 1834 in Paderno
Fasolaro: così si chiamava allora la borgata di Paderno Cremonese che estende
la sua pingue terra ai confini di Casalbuttano.
Questa denominazione, innocua, ma banale, riusciva ostica
alla popolazione ed ai suoi amministratori, i quali, dopo il successo di
Amilcare Ponchielli nell'opera « I Promessi Sposi» (rappresentata il 15 settembre
1856 al Teatro Concordia di Cremona) inoltrarono una «supplica» all'I. R.
Governo perché il nome di Paderno Fasolaro fosse sostituito con quello di
Paderno Cremonese.
Nel registro battesimale dell'anno 1834 della Parrocchia di
S. Dalmazio in Paderno, sotto il n. 49 leggesi:
«Anno Domini millesimo octingentesimo trigesimo quarto:
Die vero
prima septembris ad. m Rev.d us D.uus Aloysius
Cogrossi
curatus coad. Or huius Parocciae baptizavit infantem masculum heri hora undecima
pomeridiana natum ex Ioanne Ponchielli fil. Iosephi. et Catharina Mora fil a Pétri
ex hac Parocia. cui impositum fuit nomen Amilcar Ioseph:
Patrini fuerunt Carolus Chizzini Q. Iosephi ex Paroccia
Sorexinae et Florinda Griffini fi. a Francisci ex hac Paroccia; ac prò fide Carolus Cavagnari Arci p».
Il padre, Giovanni Ponchielli, era insegnante elementare ed
organista, e per migliorare il magro stipendio, teneva aperta una botteguccia di
«sali tabacchi ed altri generi».
L'autore di «Gioconda» ebbe le prime rudimentali lezioni di
musica dal padre che, all'età di 9 anni, lo affidò al Maestro Gorno di
Casalbuttano, autore di varie sinfonie che per mezzo secolo hanno deliziato gli
organisti ed i fedeli delle nostre chiese. Gli allievi (così mi narrava
l'organista Puerari) erano parecchi e pagavano al Maestro due svanziche
mensili: erano però tenuti a spaccare la legna e trasportare sul solaio i
torsoli di granoturco che la Fabbriceria della Chiesa inviava al Maestro a
complemento della paga di organista.
Incoraggiato dal Gorno, Amilcare Ponchielli affrontò gli
esami di ammissione al Conservatorio di Milano dove venne accolto a dodici anni
quale alunno convittore gratuito, per interessamento del senatore Stefano
Iacini.
La leggenda che Ponchielli fosse restio a lasciare la casa
paterna e che il padre sia stato costretto a caricarlo su una « gerla »
affidata alle robuste spalle di un contadino, per il trasporto al Conservatorio, non ha alcun fondamento di verità.
Dal Conservatorio — dove ebbe, fra gli altri, a maestro
Lauro Rossi, e dove compose “Ouverture campestre” che costituì la più luminosa
rivelazione de! suo genio creativo — uscì carico di allori e di diplomi e, col
cuore pieno di speranze, venne a stabilirsi a Cremona.
I primi anni furono assai duri: viveva stentatamente, coi
proventi delle lezioni di pianoforte e con lo stipendio di organista della
chiesa di S. Ilario ( 100 svanziche all'anno).
E quando poteva mettere in serbo qualche svanzica, si
recava, a piedi, a Paderno, per offrirla ai suoi buoni vecchi.
In tali condizioni visse per un decennio, né gli valse il
successo dei « Promessi Sposi » che venne attribuito a campanilismo, per il che
nessun editore volle pubblicare la sua opera.
La rassegnata tristezza del Maestro — congiunta ad una certa
ironia — traspare dalle
sue lettere.
Pur di campare in vita e mantenere il vecchio padre (la
madre era morta ed il negozio passato ad altri)
Ponchielli aveva accettato il posto di capo musica della
Guardia Nazionale di Piacenza.
Da questa città scriveva all'amico Bignami (in modo ironico):
«Stiamo facendo acquisto di pignatte
ed altri insetti. D'ora in avanti le mie cure saranno
rivolte ad una pignatta da schiumare,
al fuoco da attizzare, all'acqua ecc. ecc. Vagheggio anche l'idea
di scopare! Ah si!
Attendere alle cure famigliari è una grande compiacenza! Se un
giorno si è in collera con
qualcuno, si compera un pollastro vivo, e poi si va a casa e
tract! Una tirata di collo per sfogo di bile... ».
Ed in altra lettera: «Sento che così continuando potrebbe venire
un giorno da pericolare la mia testa; c'è caro mio, da diventar pazzi. Le
relazioni e le famiglie più amiche non possono mettermi di buonumore che per un
po' di tempo: quando sono solo, penso che il mio avvenire è perduto...
Scusa se ho delirato un po': un'altra volta, quando sarò completamente
pazzo, ti scriverò con più raziocinio».
Ma, dopo tante sofferenze, spuntò finalmente l'alba radiosa
della gloria: la sua opera « I Promessi Sposi » aveva trionfato al Teatro Dal
Verme di Milano e, sulla fronte corrucciata del Maestro, passava finalmente un
lampo di luce serena.
Teresina Brambilla, la impareggiabile «Lucia» che col
Maestro aveva condivisi gli onori del successo, gli donava il suo amore e
Ponchielli, incoraggiato da impresari ed editori, preparava all' arte i due
gioielli musicali: «Lituani» e « Gioconda ».
Paderno Cremonese, che seguiva con orgoglio i trionfali
successi del suo grande figlio, era in festa: il Consiglio Comunale si radunava
in seduta straordinaria, ed, insieme alla cittadinanza, deliberava di conferire
al Maestro una grande medaglia d'oro.
Amilcare Ponchielli — sempre modesto — rispondeva con questa
lettera, gelosamente custodita nel Museo del Comune:
Per una, strana
circostanza so, appena da ieri, la deliberazione presa a mio riguardo dal
Consiglio Comunale di costi, mediante la di lei gentile lettera che mi ha
vivamente commosso. lo non credo certamente di meritare il dono onorifico che
Paderno mi offre, sapendo di aver fatto troppo poco.
Ho appena cominciata
una carriera spinosissima il cui proseguimento non so se potrà essere felice quanto
ne fu il principio.
In ogni modo io
accolgo questa bella prova di stima con vero trasporto e come una rara memoria
del mo amatissimo paese.
La prego per tal cosa
di evitare possibilmente ogni solennità, e di partecipare alla Giunta ed al Consiglio
Comunale i sensi della mia più riva riconoscenza e gratitudine.
La riverisco
distintamente, e mi creda di Lei Dev. e riconoscentissimo
Amilcare Ponchielli
La medaglia d'oro venne consegnata al Maestro a mezzo del
Sindaco di Milano.
Ponchielli, che mai aveva dimenticato la sua terra natale,
così
si esprimeva:
Ill.mo Signor Sindaco.
E’ coll’animo pieno di
commozione che io La prego di aggradire i miei più sentiti ringraziamenti per
la magnifica medaglia d'oro statami consegnata dall'Onorevole Sindaco di Milano
in di Lei nome. Io andrò sempre lieto interprete presso l'Onorevolissimo Consiglio
Comunale dei sentimenti della mia più profonda gratitudine e credermi con
profonda stima di Lei umilissimo e devotissimo.
A. Ponchielli
La situazione era invero « spinosissima » in quel periodo di
tempo, per quanti volevano scrivere di musica, perché, in questo campo,
dominava da assoluto padrone Giuseppe Verdi. (Ponchielli lo definisce: «il Gran
Cancelliere Bismarck») mentre da oltr'Alpe mandava i suoi raggi luminosi
l'astro wagneriano.
Inoltre Ponchielli era sempre dubbioso della sua opera e
paventava oltre misura i giudizi del «gran pubblico».
Nel 1874 da Paderno scrive allo stesso Maini: «Qui si danno i
« Promessi Sposi ». Ti avverto che, in proposito, ho già accaparrata una barca
per fuggire, subito dopo la rappresentazione, sul Monte Santa Rosalia ».
A confortare l'animo trepidante del Maestro valse il trionfo
dell'opera « I Lituani » (1875).
Da Milano l'editore Ricordi così informava il Sindaco
di Paderno: «Esito colossale, entusiasmo indescrivibile, trentun chiamate, tre pezzi
replicati, esecuzione stupenda».
Narrasi infatti che alla soprano Fricci furono
in quella sera gettati trecento mazzi di fiori ed una signora fu vista staccare
dal braccio un prezioso monile e gettarlo in dono.
Al successo dei « Lituani », seguì quello ancor più
grandioso dell'opera « Gioconda » (Scala, 8 aprile 1876). E fu nell'allestimento
di quest'opera - da lui prediletta, perché scritta « col cuore » - che, recatosi a Piacenza in un crudo inverno,
si ammalò di violenta polmonite che lo trasse alla tomba.
Paderno reclamò le spoglie del Figlio, ma tale onore venne
riservato alla città di Milano per riporle nel Famedio dei Grandi.
Ora, il popolo di Paderno che ha raccolto il Suo primo vagito,
che lo ha seguito con amore nei primi passi verso l'arte e sente l'orgoglio del
suo genio creatore che ha commosso le folle di tutto un mondo, facendole
palpitare in un'atmosfera eccelsa, creata dalle onde divine della sua musica,
avendo raggiunto la costante aspirazione di vedere unito il nome di Paderno a
quello del suo illustre Figlio, si appresta a celebrare solennemente il lieto
avvenimento. (riferendosi al 65° anniversario della morte)
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